ALICE CAPOZZA | È lo storico Teatro Niccolini, il più antico di Firenze, la casa de iNuovi, la giovane compagnia nata per volontà della Fondazione Teatro della Toscana. Il Niccolini accoglie il debutto dell’ultima produzione, un adattamento teatrale del classico della letteratura Il Quartiere di Vasco Pratolini, con il coordinamento artistico di Sebastiano Spada, alla sua prima esperienza registica. In replica al Teatro Studio di Scandicci a gennaio.

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Foto Filippo Manzini

Quindici giovani attori danno vita alle speranze e alle inquietudini di una generazione cresciuta tra le due guerre, inseguendo i sogni tra le crepe dei soffitti delle povere case del quartiere, tra i ciottoli delle strade sconnesse dello storico rione Santa Croce a Firenze, una zona popolare di panni stesi alle finestre, di uomini che bevono e scherzano e donne discinte. Il «popolo minuto» dentro un microcosmo, oltre i cui confini c’è l’Eldorado, l’America, un misterioso mondo sconosciuto, temuto e agognato.
Bettole, botteghe, caffè, osterie, luoghi di raduno per falegnami, artigiani e operai, dove riunirsi la sera a smaltire le fatiche del lavoro e i dispiaceri della vita, con un bicchiere di vino in mano. La strada. Firenze com’era.
Ci sono Via Rosa e la casa di tolleranza, Via delle Pinzochere, l’Arco di San Piero con il suo bar e Porta Santa Croce. Strade buie di case piccole, basse sotto i tetti rossi, strette dalla sponda dell’Arno, spumoso per il rigurgito della pescaia. È il ritratto di un quartiere antico che con la scellerata “riqualificazione” del Ventennio è stato completamente demolito. Un quartiere che si respira ancora oggi, con l’eco lontana di quella povertà patita con orgoglio, aggrappata ai cenci, legata da affetti difesi con i denti, le uniche cose che la miseria non può demolire.

49211705698_c73be25a5a_wL’affresco del romanzo si traduce con efficacia nella interessante scenografia allestita da Federica Francolini: una struttura di tubi innocenti addossata alle quinte laterali, con assi di legno e giunti di ferro grezzo; sul fondale pennellate incompiute, rovinate da fessure come un muro dalle crepe. Nella semplicità dell’idea, la scena rende perfettamente lo scarno paesaggio del rione, le casupole, la polvere; un cantiere pronto a essere abbattuto.
L’immagine è anche specchio di una dimensione interiore: la precarietà dell’esistenza dei giovani protagonisti, impegnati nella costruzione dell’età adulta, per dare corpo a progetti di vita. Ancora incapaci di indagare nella propria intimità, procedono a tentativi, anche leggeri, freschi, audaci come gli azzardi dell’adolescenza, compiuti con slancio vitale, ancora con gli occhi chiusi a sognare.

Felice intuizione quella de iNuovi di sentirsi parte dello stesso quadro, pur con settant’anni di distanza, perché le incertezze di una generazione che svolta il proprio destino, crescendo e abbandonando la fanciullezza, sono oggi ancora le stesse. Gli amori e le passioni, le speranze e le delusioni di Valerio, Giorgio, Gino, Maria, Luciana e gli altri, sono le medesime di chi alla stessa età cerca di costruire il proprio futuro tra difficoltà di affermazione, errori, rimpianti, successi, gioie. Semplicemente: la vita. Còlta in quel momento magico quando gli occhi la vedono per la prima volta, quando lo stomaco sobbalza per un bacio, quando la paura agita l’animo tanto da farti muovere goffamente, quando non si hanno ancora segreti, perché si è appena iniziato a vivere.
Anche i costumi, realizzati dal Laboratorio d’Arte del Teatro della Pergola, sono atemporali, senza tratti distintivi dell’epoca, universali nei colori neutri del grigio, argento, ardesia e chiari toni di lilla e rosa antico. 

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L’intreccio degli affetti unisce i destini dei personaggi, un’unione indelebile e incancellabile tra le loro anime. Un quadro corale, dove nessuno prevale sull’altro, dove il protagonista è lo sfondo, il Quartiere, da cui tutto si dipana e a cui tutto torna.

Il rione diventa culmine ma anche limite, reale e simbolico, solco invalicabile: le colonne d’Ercole della responsabilità di essere adulti, confine più mentale e interiore che spazio-temporale. Le vicende sentimentali dei ragazzi si uniscono alla formazione di una coscienza politica collettiva – il romanzo è scritto nel biennio ’43/’44, anni in cui lo stesso Pratolini si avvicinò alla Resistenza.
Questo allestimento, pur senza riferimenti specifici alla Storia, non rinuncia al tratto politico e ideologico dell’opera: gli attori si fanno testimoni di un’innocenza che si sgretola a causa dei tempi nuovi, quelli della guerra, delle aspirazioni di un paese allo stremo delle forze.

La prima scena si apre con il baccano che gli attori provocano battendo sui tubi di ferro, saltellando sulle assi di legno con aria di festa, il chiasso delle chiacchiere scambiate sulla via davanti alle porte di casa, fischi e risate, rumori e grida di un coro. Ma è la festa di una generazione in attesa della propria fine. La distruzione del quartiere e lo sgretolarsi delle vite dei protagonisti sono svelati al pubblico solo nella scena finale, ma le note malinconiche pervadono tutta la rappresentazione in un crescendo drammatico.
Giorgio, il più maturo del gruppo, dichiara il proprio amore a Maria, salvandola dall’infamia di aver passato una notte fuori casa in compagnia di uno sconosciuto. Marisa racconta con vergogna al proprio innamorato Valerio la ferita da un amore divenuto violenza. Colpisce il dialogo tra le madri, donne mature con lo sguardo disincantato, due vite di privazioni che portano con sé il peso dell’esistenza e riconoscono nelle figlie la fine delle illusioni come sorte ineluttabile. Carlo, il più irruento del gruppo, parte volontario per la guerra, dove troverà la morte.

49212414462_92ff5a1381_wSpicca la scena dedicata alla storia del giovane e fragile Gino, introverso e intimamente irrequieto, tormentato dal senso di colpa e inadeguatezza per il suo amore omosessuale: le assi dell’impalcatura sono utilizzate per creare un altrove dove è il giovane in galera, in un dialogo immaginario con i propri amici d’infanzia cui confessa l’omicidio del proprio amante; le luci illuminano dal basso la rappresentazione emotiva degli stati d’animo di Gino, affidata al gruppo dei compagni, il buio avvolge la scena, staglia nitidamente le figure sullo sfondo aumentando l’angoscia evocata dalle parole.

La resistenza alla vita logorante della povera gente: donne e uomini che cadono, precipitano dopo un’eternità in piedi con la sola forza della disperazione. L’ingenuità dei protagonisti salva l’opera dallo scadere nel melodramma. La regia mantiene la freschezza della recitazione, l’assenza di giudizio nel susseguirsi di scene fatte solo con le parole semplici dei dialoghi di strada.

La trama è arricchita da alcuni momenti corali, tratto ormai distintivo della compagnia, presente anche nei precedenti allestimenti: Mandragola, il loro debutto per la regia di Marco Baliani, e Eduardo per iNuovi diretto da Gianfelice Imparato. Ai momenti di gruppo si uniscono il canto e il ballo, con chiari richiami alla musica degli anni Trenta, unico legame diretto con l’epoca del testo. I corpi energici degli attori affollano la scena, corrono, si agitano nell’arena, si disperdono nelle direzioni che incontrano le loro vite, per tornare a riunirsi.
Le dinamiche delle scene, le battute talvolta gridate e lanciate al vuoto dei momenti corali, distolgono il pubblico dall’atmosfera intima che invece avvolge alcune scene della pièce come fossero confidenze sussurrate di nostalgica malinconia, più in sintonia con il romanzo. Da premiare l’impresa della compagnia perché per la prima volta è stata autonoma nell’ideazione, la regia e la realizzazione. Tuttavia è forse mancato il coraggio di dare una propria impronta, proponendo un formato corale già sperimentato nelle esperienze precedenti con regie esterne.

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Questo lavoro de iNuovi restituisce fedelmente lo spaccato di vite un po’ provinciali, messe in scena con grazia bonaria e una giusta dose di cattiveria, in parte documentario neorealista e in parte nostalgico incanto per l’innocenza prima di essere adulti.
«Il vero amore è dei poveri», degli essere a cui tutto il resto è negato, anche il desiderio, la lotta e il riscatto: «anche l’aria e il sole sono cose da conquistare dietro le barricate».

IL QUARTIERE

tratto dal romanzo di Vasco Pratolini
adattamento e coordinamento artistico Sebastiano Spada
con iNuovi (in ordine alfabetico) Maddalena Amorini, Davide Arena, Maria Lucia Bianchi, Alessandra Brattoli, Federica Cavallaro, Anastasia Ciullini, Fabio Facchini, Ghennadi Gidari, Filippo Lai, Athos Leonardi, Claudia Ludovica Marino, Nadia Saragoni, Sebastiano Spada, Erica Trinchera, Lorenzo Volpe
costumi Laboratorio d’Arte del Teatro della Pergola
scene Federica Francolini
disegnatore luci Loris Giancola
sarta Eleonora Sgherri
canto Katia Magnani
si ringrazia Andrea Ottani per l’editing dei brani musicali
produzione Fondazione Teatro della Toscana

Teatro Niccolini, Firenze
15 dicembre 2019
Teatro Studio, Scandicci
10 gennaio 2020

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