GIORGIO FRANCHI | Dialogare con un testo di Caryl Churchill è sempre una sfida. Nessun appiglio è lasciato al fruitore: il quadro dei fenomeni sociali dell’epoca è frammentato nelle rifrazioni di una galassia di approcci distruttivi, pensieri proibiti e strategie fallimentari di personaggi smarriti in una realtà brutalmente simile a quella di tutti i giorni e per questo impossibile da afferrare.

La sfida è tanto più insidiosa quando il testo in questione è Ancora tre notti insonni (1980), soprattutto per la predominanza solo parziale del linguaggio realistico sull’abisso antinaturalistico dell’autrice, spesso sostitutivo, nella sua produzione, di un simbolismo di immediata interpretazione. Scritta subito dopo Settimo Cielo (1979) e subito prima di Top Girls (1982) e per questo spesso annoverata nella produzione minore di Churchill, l’opera si compone di tre scene, incentrate su altrettante coppie – tutte interpretate da Elena Callegari e Mario Sala – che non riescono a prendere sonno, tormentate dalle ansie accumulate nel giorno.

Lorenzo Loris, regista stabile del Teatro Out Off di Milano, sembra privilegiare la chiave di lettura naturalistica dell’opera per il suo Sleepless. Tre notti insonni. La prima coppia, esplicita e aggressiva nel testo inglese, ci si mostra stanca, annoiata da quella che appare come una ciclicità estenuante. Alle possibilità di salvezza, una nuova relazione e un lavoro che le dia l’indipendenza economica, lei fa giusto qualche accenno svogliato, come consapevole che nulla possa effettivamente cambiare. L’inferno churchilliano diventa purgatorio: è il primo segnale della trasposizione geografica del testo in questo monotono anfratto di Europa meridionale, lontano dall’epicentro dei cambiamenti economici e culturali che era la Londra di David Bowie e Margaret Thatcher. Il pubblico non sbircia più dalla serratura, ma si vede chiamato in causa, attraverso una quarta parete in parte rovinata al suolo, come testimone del teatrino insensato della relazione.

Nel cambio scena Loris spinge sull’acceleratore della comicità, proiettando su un pannello messo a mo’ di sipario il video di un sogno di violenza di lei, già apparso in forma di sfogo verbale, realizzato da Davide Pinardi. La scelta di mostrarlo rischia però di spostarci dal microcosmo ripetitivo e ineludibile costruito nella prima scena.

Con la seconda scena le sfide per il regista si moltiplicano: protagonista una coppia composta da una lei tormentata dalla morte e un lui che le risponde raccontandole la trama del film Alien di Ridley Scott. La violenza verbale del primo uomo si travasa qui in un atteggiamento altrettanto distruttivo che, a seconda della lettura, può scaturire dall’inadeguatezza o dal disinteresse. Loris opta per la seconda strada, senza accentuare più di tanto la condizione del personaggio femminile, centrale in buona parte della prima produzione della drammaturga inglese. Ancor più che nella prima scena, il ritmo si articola all’insegna della valorizzazione dei tempi comici. Le pause tra le richieste d’aiuto di lei e la logorrea incontrastata del compagno cinefilo vengono estremizzate oltre la soglia della credibilità, distaccandosi dal tipico british humour per enfatizzare la cifra grottesca e paradossale della relazione. Anche qui ci viene mostrata una possibilità di redenzione di lei attraverso la violenza, ma, per quanto creativa sia la trovata, lo scarto dal piano realistico a quello onirico-immaginativo è forse introdotto con troppa rapidità.

La proiezione durante il secondo cambio scena, sempre con la firma di Pinardi, non aggiunge molto alla narrazione, limitandosi a mostrare un episodio di vita quotidiana della coppia. Ancora una volta non è immediato ricondurre un senso al video, per quanto questo sia ben realizzato a livello tecnico.

Con la terza coppia, composta dalla lei della prima e dal lui della seconda, culmina, secondo il critico britannico ed esperto di Caryl Churchill Michael Billington, l’idea di rimanere intrappolati nel proprio ego anche cambiando partner, rivelata dall’ossessività tragica con cui i personaggi si ripetono come un mantra di essere cambiati. La recitazione, in questa scena finale, si appoggia maggiormente al testo, proponendo di meno rispetto alle altre due e a volte senza un’apparente direzione: assenza forse volontaria, coerentemente con il panorama nichilista del testo, ma mancano gli elementi per stabilirlo con certezza.

Il pubblico si diverte, partecipa, rimane incollato alle vicende delle tre coppie con crescente interesse e le percepisce come reali e vicine a sé; tuttavia, se consideriamo come scopo della rappresentazione, oltre che intrattenere, restituire l’essenza del pensiero dell’autore, il riarrangiamento di alcuni punti del testo secondo i modelli socioculturali italiani, nelle parti comiche e drammatiche, lo rende orfano di gran parte del potenziale churchilliano. Ne scaturisce la restituzione un buon lavoro, ma che forse non valorizza fino in fondo l’opera di partenza.

 

SLEEPLESS. TRE NOTTI INSONNI

di Caryl Churchill
regia Lorenzo Loris
traduzione Paola Bono
produzione Teatro Out Off con il contributo di NEXT 2019 – Regione Lombardia
Margaret/Dawn Elena Callegari
Frank/Pete Mario Sala
scena Daniela Gardinazzi
costumi Nicoletta Ceccolini
luci e fonica Luigi Chiaromonte
collaborazione ai movimenti Barbara Geiger
video Davide Pinardi

Teatro Out Off, Milano
dal 14 gennaio al 09 febbraio 2020 (prima nazionale)