ANDREA ZANGARI | La prima volta che ho ascoltato La Rappresentante di Lista era estate, ero a Sud. Ma se cerco di focalizzare la circostanza, mi accorgo che forse sbaglio: forse non era estate, non era Sud. Forse il ricordo è costruito dalla qualità corporea e irrefrenabile di quella musica, che chiama a uscire da sé, a spogliarsi, a mescolarsi, a dilungarsi fino all’alba sullo stipite di casa. A cercare qualcosa negli altri, avvicinati da un immaginario comune che Veronica Lucchesi e Dario Mangiaricina evocano e ricostruiscono con sensibilità sempre originalissima.

Un’esuberante gestualità implicita nella musica su cui questo confinamento, il social distancing, le pratiche di (auto)controllo, gettano una luce contrastata.

Così, con un po’ nostalgia per quella corporeità pervasiva, accalorata, performativa, mi sono chiesto cosa pensano Dario e Veronica, cosa attraversa il loro immaginario. Abbiamo costellato questo scambio con qualche link musicale, per chi non conoscesse La Rappresentante di Lista, o per chi ne ricordasse giusto la presenza sul palco dell’Ariston qualche settimana fa. E con la confidenza di qualche scatto dalle loro mura domestiche.

Un leitmotiv: dare senso a questo tempo. Qualche giorno fa, in una delle ormai proverbiali conferenze stampa, persino il Presidente del Consiglio suggeriva di vivere queste giornate come un’opportunità per ritrovare (lui ha detto persino: migliorare) se stessi…che tempi incredibili! E voi, come lo state vivendo questo tempo?

V: Forse l’unica cosa che si muove davvero dentro la mia casa è il mio umore, un umore altalenante. All’inizio mi ripetevo che avrei dovuto rendere piene quelle 24 ore, che il tempo non me l’avrebbe ridato nessuno e che sarebbe stato tempo perso se vuoto. Anche questa è vita, pensavo. Oggi ascolto quello stesso vuoto o meglio quel sottofondo costante che risuona mentre leggo, mentre mangio, mentre scrivo queste risposte e lo lascio libero di cambiarmi il morale, di scombinare i miei piani, insomma lo accolgo.

Questo vuoto produrrà sicuramente qualcosa dentro di me e si manifesterà fuori da me in svariate forme.

D: Penso che sia importante coltivare la solitudine in questi giorni e provare a immaginare cosa manterremo di questo periodo. Non so se hai presente il gioco “Cosa porteresti con te se dovessi andare su un’isola deserta?” Bene, il gioco adesso è al contrario: siamo in un’isola deserta e ci dobbiamo chiedere cosa porteremo con noi quando torneremo sulla terra ferma.

Avete trovato delle strategie, dei riti per attraversare le giornate?

V: Scrivo, leggo molto, ripasso i movimenti del mio amato Kung Fu con la mia sciabola, cerco di migliorare il tedesco orale e scritto attraverso un sito e sto imparando a giocare a scacchi.

D: Ho attraversato, anzi direi meglio, sto attraversando diverse fasi. All’inizio ho provato a essere programmatico. Ho scritto su una lavagnetta un piano per i giorni a seguire. Programma che ho puntualmente disatteso. Nonostante questo sono riuscito a leggere un bel libro (anzi te lo consiglio per quando potrai andare in libreria a prenderlo: La Nazione delle Piante di Stefano Mancuso) e ho ripreso a scrivere un vecchio racconto, un quasi-romanzo che, chi lo sa, magari un giorno pubblicherò. Penso che vista la natura straordinaria del tempo che stiamo passando sia giusto ragionare secondo schemi straordinari. Per esempio mettere da parte la produzione e pensare allo studio. Da qualche giorno ho iniziato degli scambi telefonici con un mio amico compositore (Francesco Leineri). Gli mando delle cose che scrivo (degli studi per pianoforte) e lui mi dà dei consigli. Non credo che queste composizioni andranno mai a finire in un disco, ma mi stanno aiutando a capire delle cose.

In questi giorni ascolto molto la vostra musica, e mi rendo conto di come nasca da un corpo in movimento costante e frenetico. Ora che siamo fermi, o costretti a ripetere traiettorie minime, cosa vi dicono i vostri corpi?

V: Questo corpo che mi vuole bene, oggi per esempio mi ha detto che non ha bisogno di nutrirsi più di tanto se l’energia che riceve dal cibo non la può effettivamente sfruttare. Mi ci ha fatto pensare l’animale in letargo che non si nutre. Lo sento affaticato questo corpo seppur immobile, lui è fatto per stare nel mondo, stare seduto gli fa male eppure si abitua anche facilmente, ma con sofferenza. Mi serve il movimento, il contatto e vedere occhi e bocche che si muovono e si parlano, toccare ed essere toccata, avvinghiare i miei cari.

D: È una sorta di letargo. Anche se ho ricominciato ad allenarmi e a fare attività fisica. Un pensiero che ho fatto durante una di queste sessioni di allenamento è: com’è strano allenare il corpo senza che ci sia uno scopo di sopravvivenza. Il nostro corpo non ci serve per scappare, per inseguire, per cacciare, per arrampicarci sugli alberi; lo alleniamo per evitare che le articolazioni si irrigidiscano, che i muscoli si sfibrino, o addirittura per distendere i nervi. Un paio di giorni fa abbiamo fatto una passeggiata, perché stavamo patendo più di altre volte la clausura. I corpi a camminare senza una direzione sembrava tremassero. Al solo pensiero di riabbracciare un amico (mi è capitato di incontrarne e di rimanere a debita distanza) mi corre un brivido lungo la schiena. Forse i corpi ci saranno utili per quando tutto sarà finito. Ci guideranno nella ripresa.

Memorie sanremesi

Però in questi spazi minimi possiamo trovare delle sorprese. Un angolo della casa dove sentire una pace inaspettata, una finestra che diventa sguardo sul fuori…

D: A casa c’è un terrazzo, molto ampio, dove la mattina batte il sole. Al di là del terrazzo, oltre un sottile cancellino, c’è il giardino del vicino. Uno di questi giorni di nascosto andremo lì a fare una passeggiata e accarezzeremo gli alberi.

V: C’è un terrazzo grande che si affaccia sul giardino del vicino, ma è separato da una ringhiera che non ci è permesso attraversare. Allora respiriamo l’aria buona delle piante, sogniamo di mettere le mani nella terra, di toccare i fiori, di salire sugli alberi e nuotare nel mare verde erba.
Molti altri palazzi affacciano sul giardino segreto, lo osservano, un prete fa messa dal balcone la domenica mattina e tutti i fedeli stanno affacciati e ripetono in coro; sembra che le suppliche siano rivolte al giardino, come un giardino che raccoglie speranze.

Ma se poteste passeggiare in un luogo qualunque, quale sarebbe?

Come sempre sulla luna!

Il giardino

Poi c’è lo spazio virtuale. Molti artisti stanno vivendo i social come un palcoscenico in cui continuare a performare, magari già nel tentativo di raccontare il tempo presente; altri propendono per un silenzio che permetta di riflettere con maggior distacco. Voi cosa ne pensate?

Al momento abbiamo un po’ messo da parte le attività on line, visto che il tour è sospeso e non vediamo all’orizzonte la possibilità di recuperarlo. Ci stiamo concentrando sulla scrittura. Siamo entrati (un po’ forzatamente a dire il vero) nella fase che spesso precede la stesura di un nuovo disco. Stiamo chiusi in casa per mettere ordine alle idee. In generale crediamo tantissimo nella possibilità di comunicare attraverso i social, ma proprio per questo non vogliamo abusarne. Ci piace pensare di far confluire la nostra poetica dentro tutti gli strumenti a nostra disposizione, dai video ai post su Facebook, e quindi di utilizzare questi canali con un criterio etico ed estetico. Non ci spaventa il silenzio, la riflessione che sostituisce per un po’ il riflettore. Non ci piace il mero intrattenimento, ma l’arte sensibile e responsabile. Del resto, non ci va nemmeno di giudicare questa presenza massiccia degli artisti su Instagram. Immaginiamo che c’è chi ha paura di essere dimenticato, chi sente il dovere di aiutare gli altri ad elaborare questo vuoto, chi si sente solo o chi vuole stare vicino al proprio pubblico in un momento così difficile. Chissà cosa succederebbe se nei prossimi giorni tutti gli artisti decidessero di restare in silenzio. Magari un silenzio che sia di protesta verso l’esclusione dalle misure di sostegno dell’ultimo decreto ministeriale. Speriamo che l’arte, forse anche in modo più potente, continui a essere la guida per trovare un altrove. Personalmente, la diretta Instagram non ci fa “evadere”, ma ci ricorda questa condizione di cattività. L’arte dovrebbe far crescere la voglia utopica di un altrove, di un mondo altro, di un miglioramento del proprio mondo, così che poi le persone vogliano ricercarlo nella vita vera. Speriamo bene!

Pensando al dopo, qual è la vostra più grande paura e quale pensate possa essere la più grande possibilità di cambiamento?

Di getto avremmo risposto: paura che siano per sempre compromesse le relazioni tra le persone, paura che lo stato ci prenda gusto con questi decreti che riguardano direttamente la libertà dei cittadini di muoversi, di circolare, di agire; paura del disastro economico a cui assisteremo. Ma in realtà il timore più grande è che questa possibilità di cambiare rotta non venga assecondata. Per la prima volta in quasi 80 anni di storia un problema di portata mondiale sta investendo l’umanità. Il caso (si fa per dire) vuole che in questi 80 anni l’umanità abbia rovinato il pianeta Terra più di quanto abbia fatto negli ultimi millenni. Speriamo ci sarà spazio per affrontare con piglio diverso questo problema. L’ecologia dovrebbe essere il macrotema da cui ripartire. Dopo penseremmo a una distribuzione diversa delle ricchezze. Poi tutto il resto.

Per finire, vi va di regalarci una playlist, una partitura immaginaria per i tempi della giornata?

eccola!

Sarà