LAURA CARUSO* | Dopo aver parlato delle possibili diverse verità nell’articolo precedente, abbiamo interrotto il nostro discorso sulla valutazione delle misure di questo assaggio di Fase 2 che è partito due giorni fa.
Osservare che sia solo un assaggio ci dà qualche indicazione sul fatto che chi ha disegnato queste regole contenute nel DPCM del 26 aprile, in vigore dal 4 maggio, abbia una certa consapevolezza del divario tra i numeri reali che riguardano il fenomeno e quelli ufficiali.

Certe informazioni, a guardarle combinate, non fanno tornare i conti. Ricorderete quella “regoletta” su cui gli esperti concordavano e che suonava più o meno così: fatti 100 gli ammalati, di questi 80 guariscono spontaneamente, 20 vanno in ospedale e, di questi, 5 sono in condizioni gravissime (uso le parole di Walter Ricciardi in una conferenza stampa, ma queste proporzioni sono state spesso ripetute sino ad oggi).
I conti non tornano perché secondo i dati ufficiali, al 5 maggio, il tasso di letalità (decessi su totale contagi) è pari al 13,8%, e non è possibile che solo il 5% sia in condizioni gravissime, se il 13,8%muore.
L’asimmetria tra i “gravissimi” e i deceduti è rappresentata qui sotto:

Questa discordanza si può rimettere in ordine solo se si ipotizza un ben diverso denominatore (cioè numero dei contagiati), riportando il numero dei deceduti ad una quota dei gravissimi, e non il bizzarro viceversa:

Sono convinta che chi ha lavorato su questo primo scorcio di Fase 2 abbia ragionato su numeri non ufficiali, perché quelli ufficiali sono così bassi che tutta la cautela usata non avrebbe senso.

Veniamo al Decreto.
Ci sono alcuni aspetti apparentemente formali, e riguardano un ampio uso di formulazioni pronte per essere riempite con il senso di responsabilità e con il buon senso.
Purtroppo un decreto costruito su queste basi mostra alcune significative fragilità.
Si è parlato molto della parola “congiunti”: non è un termine strettamente riferito al piano giuridico, sul quale sono definiti irapporti di parentela, di affinità e di coniugio. “Congiunti” è un termine a cui bisogna dare un contenuto specifico.
Così, alle immediate critiche, c’è stato un affannoso tentativo di specificare scivolando sulla stessa buccia di banana: sono i parenti, sì, ma anche gli “affetti stabili”. E che cosa sono gli affetti stabili?

Abbiamo visto il Vice Ministro Sileri, su Rai Uno, a domanda rispondere: anche gli amici “veri” sono “affetti stabili”, ma anche poi ritrattare qualche ora dopo limitando la nozione all’unica persona cara che abbiamo in città:

È rimasta la formulazione “situazioni di necessità”, ma di che cosa si tratta?
Anche qui si fa appello alla responsabilità, ed è un bellissimo richiamo, ma bisogna che poi, alle Forze dell’Ordine, qualche istruzione in più vada data. In modo che non si ripetano, in ordine sparso e a solo titolo di esempio:

volontari attivi per aiutare persone senza casa, multati per assembramento,
cardiologi in corsa verso l’ospedale per un’urgenza, fermati in lunghe discussioni sul significato di “urgenza”,
mariti che vanno a prendere al porto mogli infermiere che tornano con un traghetto dopo il turno in ospedale, multati,
genitori che conducono la figlia (bambina) con leucemia alle terapie, multati,
signore sessantenni che attendono il loro turno al supermercato sedute su una panchina, multate,

figli che accompagnano padri ultraottantenni alla chemioterapia, multati.

La circolare che il Ministero ha inviato ai Prefetti, tuttavia, invita a un “prudente ed equilibrato apprezzamento”: ancora generiche formulazioni che si prestano ad essere interpretate arbitrariamente.

Ci sono, insomma, diversi aspetti trattati facendo appello a vaghe nozioni di responsabilità e buon senso che dovrebbero essere invece specificate.
Potremmo dire che buon senso è quello austriaco, che in una passeggiata tra persone coabitanti non richiede loro la distanza di sicurezza (immaginate la famigliola che una volta chiusa la porta di casa si distanzia: non è un’immagine ridicola?). Ma noi abbiamo applicato un buon senso differente e sono state fatte multe per “assembramento” a familiari che viaggiavano nella stessa automobile.

Di “buon senso” pare anche l’accorato appello di Giuseppe Conte,che ha chiesto alle banche “un atto di amore” per concedere velocemente i prestiti alle imprese in crisi di liquidità, ma forse in luogo di atti d’amore servirebbe una modifica al Decreto Legislativo 1° settembre 1993, n. 385, altrimenti noto come “Testo Unico Bancario”, nella parte in cui disciplina la vigilanza regolamentare e gli obblighi riferiti al sistema dei controlli interni che impongono alle banche certi rigori nel processo di concessione del credito.
Non puoi mantenere un sistema normativo che obbliga le banche a seguire certe procedure prevedendo sanzioni se non vengono rispettate, e poi chiedere di non rispettarle come “atto di amore”: devi meno romanticamente aggiungere un comma a un articolo e prevedere che in questo periodo queste regole non si applicano.

Ma proviamo a riprendere la lista di “ingredienti” che immaginavamo per cucinare il piatto della Fase 2 e vediamo se sono stati utilizzati.
Un primo ingrediente era la considerazione del numero reale: questo è stato fatto, anche se non dichiarato.
Lo studio che è stato utilizzato dal Comitato Tecnico e di cui si è molto parlato – quello che prevedeva il numero di 151 mila potenziali pazienti in terapia intensiva – ha tenuto conto dei contagi effettivi (in una conferenza stampa è stato detto “fino a 4 milioni”).
È un documento che non contiene tutto quanto è sufficiente per comprenderne i risultati (chi volesse può consultarlo qui).
L’ipotesi dibattuta è che tutti i settori riaprano, che non ci siano limiti di età, che non ci sia telelavoro, che le scuole riaprano e che i contatti sociali siano al 100%. Questa ipotesi è collegata ad un fattore di riproduzione pari a 2,25, che in realtà “assomiglia” molto a quanto si registrava per il periodo sino al 23 marzo (poi è sceso).

Ovviamente gli scenari del documento sono moltissimi, e quello era solo lo scenario limite. Sono state sollevate eccezioni a quel numero, da Giovanni Cagnoli, di Carisma, e le ho trovate condivisibili, ma la risposta è stata: “non ci sono errori: è solo un caso limite”.

Senza entrare nei dettagli che suscitano le mie perplessità, facciamo solo un piccolo calcolo. Il picco di 151 mila in terapia intensiva è previsto per l’8 giugno. Il numero di riproduzione di base ipotizzato è 2,25. Moltiplicate il numero degli “ancora” positivi non ufficiale a fine aprile per 2,25 elevato al numero di periodi che stanno in una quarantina di giorni, e tutti gli italiani non vi basteranno.
Certo: è una modalità grossolana, ma se il riferimento al numero di riproduzione di base non è esplicitato se non con riferimento alla metodologia, senza indicare nel dettaglio i valori dei parametri utilizzati, non saprei fare altro.
Per combinazione (ma è una combinazione? Non credo) alle stesse considerazioni di Cagnoli, che riferisce quel numero a una popolazione di 200 milioni di abitanti giungono anche i miei calcoli: per avere 151 mila pazienti in terapia intensiva l’Italia dovrebbe avere 192 milioni di abitanti.

Quindi sì, l’ingrediente è stato considerato, ma mi pare se ne sia usato troppo, e dalla cautela che immaginavo si è giunti a scenari tanto disastrosi quanto inverosimili, che disorientano.
Inoltre, da un lato sono stati utilizzati scenari poco credibili per giustificare il senso di responsabilità e il buon senso, dall’altro nulla di quanto era stato annunciato come ragionevole misura di contenimento (tamponi, test sierologici, sistemi di tracciatura e isolamento dei nuovi casi) pare sia stato seriamente programmatoprima del 4 maggio.
Insomma: consapevolezza di grandi numeri ma approccio basato sulla speranza “capiamo come va e poi si vede”, con quella minaccia adatta a bambini di quattro anni “altrimenti richiudiamo tutto”.

Gli altri ingredienti erano gli aiuti alle imprese, ma siamo rimasti ai 600 euro che diventano 800 per aprile, e forse saranno vincolati a certe condizioni per maggio, e nessun aiuto a fondo perduto alle imprese. Non si capisce perché un imprenditore in difficoltà dovrebbe indebitarsi, seppur a tassi di interesse moderati, per riaprire a condizioni comunque difficili: direi che è umano cedere alla tentazione di chiudere baracca, contare sugli aiuti alle famiglie temporanei e sperare in un futuro migliore, chissà.

Poi avevamo pensato alla scuola, all’arte e alla cultura, ma tutto questo è assente nei piani del governo.

Certo, è difficile gestire una situazione come questa, ed è facile criticarne la gestione comodamente seduti alla propria scrivania, ma forse anche la somma delle nostre voci di cittadini può aiutare chi si trova nella posizione di guida a considerare per il prossimo futuro quello che ci sembra necessario: chiarezza nelle formulazioni usate dalle norme, informazioni quantitative trasparenti, un sistema diagnostico e di tracciatura ragionevole e qualche sforzo in più su lavoro, imprese, scuola, arte e cultura.

Insomma, anche a distanza di molti giorni mi sentirei di confermare il mio giudizio a caldo sulla conferenza stampa di Giuseppe Conte per l’annuncio del DPCM del 26 aprile:

*Laura Caruso è titolare a Milano di uno studio che si occupa di assistere banche e istituti di ricerca per l’applicazione degli standards internazionali e la valutazione degli strumenti finanziari.
Si occupa anche di altre cose molto diverse: è facilitatrice dei gruppi di auto mutuo aiuto dell’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere e fa parte del Gruppo di Ricerca Interuniversitario “Nuove Soggettività Adulte” presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.