MARCO IVALDI * |

“La felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi,
se solo uno si ricorda… di accendere la luce.”

 Albus Percival Wulfric Brian Silente,
in: Harry Potter e il prigioniero di Azkaban (1999)
di J. K. Rowling.

 

Sono d’accordo con Dario Brunori che in una recentissima intervista ha dichiarato: “ sono incapace, in generale, a scrivere le cose che mi passano per la testa, non riesco a metabolizzare se non con il passare di un limite di tempo che mi dia una distanza”[1].

Anche a me capita così.
Quello che faccio è riempire la mia scrivania di appunti scritti su qualsiasi supporto: tovaglioli, scontrini, fogli di riciclo. In attesa della decantazione. In attesa della filtrazione. Non mi è quindi difficile ora, a distanza di due mesi, farvi partecipi di ciò che è rimasto, dopo il labor limae perpetrato da una forza inarrestabile: il tempo.

Questi, che ne conseguono, sono dodici brevi ragionamenti fatti in 60 giorni di isolamento sociale.

[1] Francesco Raiola, 27 aprile 2020, Brunori Sas: “Speravo che questo momento ci rendesse solidali, ma temo che ci stiamo chiudendo”  Fanpage.

Numeri

Numeri di morti, di vivi, di contagiati, di malati, di asintomatici, di guariti, di intubati, numeri di tamponi, percentuali, confronti, andamenti. E appena l’onda mediatica si è smorzata rispetto alla materia medica hanno iniziato a essere usati come proiettili i numeri economici: del PIL, dell’export, dell’import, dei disoccupati, del debito. Viviamo in un tempo iper-scientificizzato. Volgarmente quantificato. Ma i numeri hanno una caratteristica. Sono neutri e, come i singoli tasti di un pianoforte, suonano solo una nota: la loro. Da tempo ormai i media si sono accorti che plasmando e manipolando adeguatamente i numeri è estremamente facile ed anche molto soddisfacente plasmare e manipolare una popolazione. Unendo più numeri tra loro, esattamente come unendo più note, si possono suonare accordi meravigliosi. Non mi pare questo il caso, sento solo cacofonia.

Sergio Quinzio, nella sua introduzione a: Il regno della quantità e i segni dei tempi di Guénon scrive: «merita di essere letto per togliersi dalla comoda illusione che il mondo sia necessariamente come noi siamo abituati a pensare che debba essere».

  • Suggerimenti di lettura:
    -Guénon, Il regno della quantità e i segni dei tempi, Adelphi, Milano, 2009
    -Vinci, Le illusioni statistiche, Giornale degli Economisti e Rivista diStatistica Serie quarta, Vol. 66 (Anno 40), No. 2 (Febbraio 1925), pp. 61-84
  • Suggerimenti di ascolto:
    Alban Berg, Tre pezzi per orchestra, op.6, 1914

 

Immobilità

La ripetizione continua, ostinata, di ore e giorni che potrebbero essere sempre uguali a sé stessi (e che, invece e fortunatamente, non lo sono mai) produce due risultati dicotomici. C’è chi sembra mutare, crescere, decadere ed invece rimane sempre uguale. Passano giorni, come potrebbero passare mesi o anni. Senza un cambiamento che non sia meramente fisico. C’è invece chi sembra rimanere in ascolto, in una fissità contemplativa di cui, forse, collettivamente abbiamo perso la meraviglia. Ripetere – Osservare – Imparare – Scoprire – Approfondire sono azioni travolgenti, compiute spesso in situazioni di apparente fissità.

 

Relatività (del tempo) – Parte 1: lo stato di consapevolezza

I latini usavano la parola tempus con il solo significato cronologico, mentre per quello atmosferico esisteva una locuzione precisa, tempestas, che per noi è rimasta solo come espressione di un brutto, pessimo e pericoloso tempo, che sia figurato o meteorologico.

Fermo, in coda, presso l’ingresso della piazza del mercato del paese in cui vivo, con transenne a impedire la libera entrata e volontari della protezione civile a presidiarne l’accesso, aspettavo pazientemente il mio turno e osservavo, ascoltavo. Ciò che fino a pochi mesi prima svolgevo in modo meccanico, repentino, sbrigativo, adesso era necessariamente rallentato; come se le mie azioni fossero entrate in una melassa temporale: ciò che mi occupava mezz’ora, ne richiedeva adesso due, quello che mi concedevo per dieci minuti ora me lo permettevo per quaranta, ciò che facevo istintivamente diveniva programmato.

La prima considerazione, forse folle: per dilatare il tempo, per sporgerti verso l’eternità, devi obbligatoriamente rallentare. La corsa contro il tempo lo comprime, il cammino lo dilata.

Scritto così, ne convengo, sembra una delle ormai ridondanti e stucchevoli massime zen. Le leggi, sei convinto della loro saggezza ma poi torni beatamente a fare esattamente quello che facevi prima della lettura e che ti soddisfaceva, ma di una soddisfazione non appagante. Come quando da piccolo mangiavi lo zucchero filato e poi avevi bisogno di mezzo litro d’acqua per diluirne il sapore. Ma oggi, a trenta, quaranta, sessanta, ottant’anni cosa rappresenta quel mezzo litro d’acqua? Personalmente – e non so se la mia ricetta possa entrare in tutte le case come una trasmissione culinaria pop – l’unico modo che conosco per camminare verso il tempo, per rallentarlo a mio piacimento (e a mio sfinimento) è andare in profondità.

Per dilatare il tempo devo rallentare e per rallentare devo scendere in profondità.

Nella profondità di pensiero in cui il tempo è dilatato ho potuto fare la seconda considerazione, grazie all’aiuto di una valida compagna di riflessione.

Quando dormiamo, le sei, sette, otto ore di sonno passano in un attimo. Siamo dormienti. Per molti aspetti incoscienti se non nel timido tentativo mattutino di ricordare, fallacemente, immagini e sensazioni che credevamo aver vissuto attraverso il sogno.
Allo stesso modo, nel sogno della vita, maggiore è lo stato di dormienza, maggiore sarà la velocità con cui passeranno gli anni e maggiore sarà l’oblio del loro ricordo nei primi istanti di risveglio.

Tutti noi abbiamo vissuto momenti di divertimento, in cui è stato palese come il tempo fosse accelerato, repentino. Anche se la sensazione primariamente era di pienezza, il ricordo era frammentario, lacunoso e estremamente parziale (potremmo chiamarle fasi REM della vita).
Nei momenti di noia e apatia abbiamo invece sperimentato un tempo rallentato, ridondante; anche in questo caso il ricordo è manchevole e incompleto. A tratti il ricordo di quel tempo sembra addirittura scomparso (potremmo chiamarle fasi di sonno profondo della vita).
Quando viviamo invece uno stato di felicità, il quale, se reale, si accompagna a una forte presenza metafisica e una integra consapevolezza e coscienza di sé, ecco che diviene palese come il tempo si stia riempiendo e dilatando. Il ricordo allora è minuzioso e ricco di particolari e ci sembra di aver vissuto molto e per molto tempo (potremmo chiamare questo tempo lo stato di veglia della vita).

  • Suggerimenti di lettura:
    -Savinio, Gli uomini di pensiero tornano alla bicicletta, Edizioni Henry Beyle, Milano, 2013
    -Flaiano E., Il tempo dietro il tempo, Edizioni Henry Beyle,  MIlano, 2020
  • Suggerimenti di ascolto:
    Arvo Pärt,  Für Alina, 1976 

 

Relatività (del tempo) – Parte 2: le entità biologiche

Il tempo è respirazione. E la cosa più straordinaria è che la misura di questa respirazione non vale – in termini di tempo come siamo abituati a considerarlo – per tutte le entità biologiche che conosciamo, allo stesso modo.

Un essere umano respira ogni cinque secondi circa. L’umanità respira ogni ventiquattro ore, assecondando i cicli giorno/notte astronomici. E lo stesso fanno le piante, invertendo la produzione di ossigeno e anidride carbonica, in presenza o assenza di luce. Quindi la respirazione di una singola unità biologica non corrisponde alla respirazione dell’intera vita organica. L’alternanza giorno/notte per un essere vivente (sia esso un umano, un animale o una pianta) dura 24 ore. Il giorno e la notte per l’intera vita organica durano almeno 70 anni.
Questo ragionamento, di cui questo breve testo vuole essere solo incipit di riflessione, non deve essere solo proiettato dall’uomo verso entità organiche più grandi o elementi astronomici. Andrebbe anche proiettato verso entità organiche minute e elementi microcosmici. Analizzato con il telescopio e con il microscopio.
Il tempo di permanenza di una specie sul pianeta corrisponde, sempre, in termini proporzionali. Va da sé, quindi, che per un microbo la durata di una vita intera corrisponde alle nostre ventiquattro ore e la durata della sua specie a qualche centinaia di giorni.

 

Pontefice

Origine incerta, secondo molti eminenti etimólogi, quella del vocabolo pontefice. Alcuni la ricercano nella radice delle parole pons e facere con il significato di ‘fare’, ‘creare un ponte’. L’etimo si rifarebbe a un fatto raccontato da Varrone, che descrisse come il massimo sacerdote di Roma fece gettare sul Tevere il ponte Sublicio (chiamato così a causa delle tavole di legno da cui era composto, proprio per tradizione religiosa, oltre che di difesa), reputato poi sacro, per poter accedere al tempio che si trovava sull’altra sponda del fiume.
Per allegoria si rimanda a una figura in grado di gettare ponti verso la divinità, in grado di schiudere porte altrimenti impenetrabili. In lingua sanscrita pathi-kr’t ovvero ‘via’ e ‘fare’.

Il 18 marzo 2020 il vaticanista di Repubblica riporta le parole del Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica: “Ho chiesto al Signore di fermare l’epidemia: Signore, fermala con la tua mano. Ho pregato per questo”.
Oggi, a distanza di 43 giorni, pare che il ponte gettato tra questa sponda e l’altra non si sia pienamente completato e che la preghiera sia rimasta pressoché inascoltata (nonostante in questi giorni, casualmente, un altro ponte stia per essere terminato).
La mancata risposta verrebbe spiegata da alcuni ecclesiastici appartenenti a correnti cattoliche ultraortodosse, i quali hanno accusato Bergoglio di eresia, a causa, tra altri fatti, di un presunto atto di adorazione idolatrica della dea pagana Pachamama.
Questo atto di devozione nei confronti di un idolo avrebbe, a detta di questi detrattori, generato la furia divina che ha generato questo contemporaneo flagello apocalittico.

Pachamama significa in lingua quechua ‘Madre Terra’.
Papa Francesco è un Gesuita, il primo membro della Compagnia di Gesù della storia del pontificato romano. L’istituto da sempre è stato attivo in molti ambiti scientifici: ai Gesuiti si devono le scoperte del barometro, dell’orologio a pendolo, dei telescopi, dei microscopi; permisero l’avanzamento degli studi negli ambiti del magnetismo, dell’ottica e della cosmologia.

Il pensiero che mi pervade, e mi persuade, è relativo a un enorme, profondo errore di presunzione e arroganza. Secondo la teologia cristiana ed ebraica l’essenza di Dio ha caratteristiche esclusive, attributi incomunicabili e attributi comunicabili. Le caratteristiche che segnano una distinzione netta, assoluta tra colui che non si può nomare e l’uomo sono: l’indipendenza, l’immutabilità, l’infinità e la semplicità. Le caratteristiche comunicabili, presenti nella Sua essenza in modo illimitato e perfetto ma comunque possibili anche per l’uomo, in misura limitata e imperfetta, sono: la conoscenza, la sapienza, la bontà, l’amore, la grazia, la misericordia, la longanimità, la santità, la giustizia, la veracità e la sovranità.

Davvero possiamo ragionevolmente e placidamente accettare che l’unica figura pontefice che abbiamo, tra noi e la divinità, l’unico psicopompo che riconosciamo, si occupi di interloquire cercando di cambiare il corso degli eventi, la natura delle decisioni, le scelte di una entità illimitata e perfetta? Di una essenza che conosce ogni cosa, invasa di misericordia e amore, giusta, verace e sovrana?
Non sarebbe forse più corretto, modesto e accettabile, pensare che questo essere arrogante, virale e meschino, bieco, supponente e malevolo che chiamiamo uomo, debba, correttamente e divinamente, essere funestato?

Il Pontefice starebbe quindi pregando (ovvero starebbe raccomandando al divino, chiedendo con umiltà ed insistenza,  stando ritto, con le braccia aperte verso il cielo e le palme delle mani aperte ed unite insieme) di interrompere ciò che è nell’ordine delle cose, ciò che Egli stesso nella sua infinita ed eterna sapienza ha deciso fosse meglio per l’uomo?

La preghiera del Pontefice verso la Madre Terra sarebbe quindi tacciata di idolatria. La preghiera in comunione con un popolo che rispetta, agisce in simbiosi e ama la propria Madre Genitrice sarebbe eresia. La preghiera che invocherebbe un perdono senza pentimento o, in maniera ancora peggiore, la richiesta di riconoscimento che ciò che sta avvenendo sia sfuggito al perfetto e saggio piano divino sarebbe invece considerata ortodossia.

Penso che i cristiani, a immagine e somiglianza divina, dovrebbero imparare a pregare Pachamama.

Reale da RE-S: cosa: che concerne fatti o cose esistenti.

Vero da una radice VAR-: scelgo, voglio, credo, desidero, ovvero degno di fede.

Fede da una radice FID-: sono persuaso, credo, lego; ma anche osservo, conosco, so.

  • Suggerimenti di lettura:
    Cechov, Zio Vanja – Atto I, 1896 
  • Suggerimenti di ascolto:
    Bach, Dies Irae, 1757

Creme abbronzanti

In una recente intervista il climatologo e collega accademico Luca Mercalli ha espresso un concetto potente e lapalissiano al contempo: “[…] dobbiamo trovare un equilibrio tra un pianeta che ha risorse finite ed una specie che non può avere desideri infiniti e non può espandersi all’infinito”.

Praticamente tutta l’attività umana agisce in costante rottura con l’equilibrio del biosistema nel quale si svolge. Sembra che automaticamente questo equilibrio tenti di ristabilirsi, ripristinandosi ogni volta su una scala energetica maggiore. Disastri ambientali dovuti a cataclismi meteorologici, pandemie, carestie, siccità sono elementi che hanno sempre fatto parte di un sistema che ha scale temporali, spaziali e di complessità inimmaginabili ma di cui, incredibilmente, l’uomo sembra aver trovato un grimaldello in grado di essere perturbante, almeno nel contemporaneo. Ricordiamoci infatti che in una scala geologica, se rapportiamo un anno terrestre con la vita del pianeta Terra fino a questo momento, la nostra specie appare alle 23:56:15 del 31 dicembre e Dante scriverebbe la Divina Commedia 5 secondi allo scoccare del capodanno.

Molte volte le stesse perturbazioni della vita umana sulla Terra sono causate dalle sue stesse attività. Pensiamo per esempio alle problematiche mediche e alimentari dovute alla sovrappopolazione e al depauperamento di risorse, oppure alle patologie connesse con la produzione di inquinanti industriali e civili o alla eccessiva densità abitativa. Sistemi naturali volti a ripristinare un equilibrio che si scontrano con la resilienza umana, in grado di sottrarre ad altre specie o altri ambienti le risorse necessarie per superare, almeno temporaneamente, quella che riconosce come minaccia per la sua specie.

La soluzione a una pandemia sembrerebbe, secondo molti pseudo-scienziati (sarebbe più opportuno chiamarli tecnici) un sistema sociale basato sul distanziamento fisico dagli stessi membri della sua specie, con barriere verso l’aria e verso gli elementi naturali (mascherine e guanti). Un mondo sterilizzato, iper igienizzato. Un mondo innaffiato dalla conegrina.[2]

Di fronte a queste prospettive mi sovvengono quattro immagini, simili.
La prima: le spiagge bianche di Rosignano Solvay, un tratto di quattro km di costa con scenari paragonabili alle coste tropicali. L’effetto è prodotto dagli scarichi di carbonato di calcio del gruppo Solvay che rendono la spiaggia, meta turistica e balneare tra le più frequentate della Toscana, tra i 15 siti costieri più inquinati d’Italia.

Scenario simile per il Lago Novosibirsk, uno dei luoghi più inquinati della terra. Il lago è stato utilizzato come deposito di rifiuti e i suoi colori, che fanno da sfondo a immagini e foto di carattere maldiviano di giovani turisti russi, è dovuto ai sali di calcio e agli ossidi di metallo che la centrale elettrica scarica costantemente nello specchio d’acqua.
Sempre un lago, quello di Braies, un lago alpino in Alto Adige, è diventato meta improvvisa di un turismo invadente e irrispettoso dopo essere stato scenario naturale per una serie televisiva di successo. Ora l’ingresso è contingentato per evitare di danneggiare in modo irreparabile un bene naturale che era rimasto nascosto per millenni.
Ultimo luogo naturale di questa carrellata di immagini è Maya Bay, in Thailandia, la spiaggia del film The Beach. La zona è stata interdetta al pubblico perchè danneggiata gravemente dall’improvviso e massiccio accesso di visitatori che, a causa dell’uso di creme abbronzanti, ha distrutto l’80% dei coralli presenti nella baia.

Nei confronti della natura l’uomo non si limita, purtroppo, ad addolcire con la sua opera rispettosa, razionale, ordinata ed equilibrata l’ambiente selvatico. L’uomo devasta, gode degli effetti della devastazione e poi si sposta in un ambiente ancora incontaminato dalla sua mano. La storia delle creme abbronzanti è emblematica. Nessun animale, perduto il pelo, starebbe ore adagiato al sole durante le ore e i mesi più caldi della stagione estiva. Si riparerebbe all’ombra e, passate le ore più assolate, uscirebbe dal riparo. Noi agiamo nel modo più naturalmente insensato e, di conseguenza abbiamo dovuto creare creme solari artificiali. Ci diciamo che il sole è pericoloso, che l’esposizione ai raggi solari produce malattie. Ma basterebbe stare all’ombra.

[2] Il lessico piemontese riporta una delle probabili ipotesi etimologiche del termine dialettale, che secondo il Grande dizionario italiano dell’uso (De Mauro, Torino, Utet, 2000-2007 vol.II, p.237) parrebbe ricondursi a e négher ovvero letteralmente testa nera, con riferimento al teschio, simbolo di morte, raffigurato un tempo sulle etichette dei contenitori.

 

Coscienza

Esiste una teoria, nota come panpsichismo, che destruttura totalmente la nostra idea di coscienza, riportandola a una concezione filosofica, metafisica e ad un livello concettuale sicuramente più consono.

Il nostro approccio al tema della coscienza risente dell’apporto scientifico dato alla nostra cultura da Galileo Galilei, dapprima e da Isaac Newton, dopo, i quali cercarono di trovare un metodo quantitativo in grado di spiegare ogni fenomeno. L’analisi noumenica invece (ovvero basata sull’indagine del concetto, in diretta contrapposizione, in questo caso, con l’indagine di ciò che appare ai nostri sensi) ha le sue radici nel pensiero, per citare alcuni eminenti, di Talete, Platone, Campanella, Giordano Bruno, Leibniz, Leopardi. In altre parole abbiamo sempre avuto l’illusione di spiegare di cosa fosse fatta la materia, ma nella realtà abbiamo sempre osservato un effetto della materia, non la sua proprietà intrinseca. Abbiamo posto la nostra attenzione su un effetto osservabile e quantificabile; cosa non possibile per definire in maniera univoca lo stato di coscienza.

Quindi secondo il nostro contemporaneo modello di pensiero (fenomenico e quantitativo) soltanto gli esseri viventi altamente evoluti avrebbero una condizione definibile come coscienza. Seguendo questo ragionamento, per induzione, soltanto la specie umana in tutto l’universo conosciuto avrebbe un tale stato.

È perciò abbastanza evidente, ed è anche facilmente intuibile, sia seguendo i principi del Rasoio di Occam sia quelli ancora più maggiormente inconfutabili del Paradosso di Fermi, che non sia possibile  pensare che gli unici esseri con coscienza siano gli esseri umani.

Oltre che ad un trasferimento sul piano qualitativo e noumenico, infatti, il panpsichismo attua un radicale cambio di punto di osservazione rispetto alla nostra attuale idea di coscienza. Se analizziamo, sempre più microscopicamente, la nostra attività cerebrale, dove reputiamo risiedano gli elementi fisiologici a capo di quello che consideriamo uno stato di coscienza, ecco che scopriamo che vi sono cellule, molecole, neurotrasmettitori: fenomeni elettrici, fenomeni fisici, fenomeni chimici e atomici basilari. Gli stessi fenomeni che possono essere ritrovati in tutte le più primitive forme di vita e, in forma ovviamente semplificata e rallentata, in tutte le forme essenziali in cui si trova una sostanza.
Quindi lo stato di coscienza altro non sarebbe se non una complessa interazione di elementi basilari che, secondo la teoria attualmente in vigore, non si manifesterebbe se non giunti a un punto di rottura, a una massa critica. Come se noi ci soffermassimo sui singoli granelli di sabbia per definire una spiaggia: aumentando i granelli, a un certo punto (il punto di rottura) passeremo da un semplice mucchio di sabbia a quella che, incontrovertibilmente, dovremmo chiamare spiaggia. Questo è il modello quantitativo.

Secondo la definizione scientifica attuale della coscienza, essa si manifesterebbe solo quando si è raggiunto il passaggio da mucchio di sabbia a spiaggia. E questo, attualmente, varrebbe principalmente per gli esseri umani e in misura estremamente limitata, per qualche specie estremamente evoluta, come in alcuni altri primati non umani e nei tursiopi.

Il cambiamento di paradigma si compie quando consideriamo ogni granello come elemento di coscienza. Un elemento semplice, basilare ma frattale. La coscienza diventerebbe quindi una qualità intrinseca alla materia permeante l’intero universo. Questo è il modello qualitativo.

È palese che più ci spostiamo verso una numerosità di elementi di coscienza ridotta, più vi saranno principi di coscienza ridotti, fino ad arrivare in un limite nel quale lo stato di coscienza non sarà più riconoscibile in quanto tale ma soltanto da un punto di vista estremamente esterno e lontano. Pensate, per esempio, a piccoli mucchietti di sabbia distanti 20-30 cm gli uni dagli altri. Non potremmo mai dire che questi mucchietti di sabbia siano una spiaggia (pur riconoscendone gli elementi basilari, ovvero i granelli di sabbia). Pensate ora a un osservatore che guardi da 9000 metri di altezza una distesa di milioni di questi piccoli mucchietti di sabbia, sempre distanti 20-30 cm tra loro. Ecco che milioni di mucchietti potrebbero diventare, ai suoi occhi, una distesa di sabbia, esattamente come se la distanza tra di essi fosse scomparsa. In questo caso si parla di una forma di coscienza diffusa, come nel caso della materia inorganica.

A proposito di coscienza diffusa mi pare sensato fare due piccoli approfondimenti. Uno riguarda una immagine, che mi sovviene ogni volta che guardo quei filmati in cui si vede l’attività umana in una città, diurna e notturna, accelerata. Si scorgono queste piccole quantità di puntini neri, gli uomini, e luci, gli autoveicoli, correre veloci avanti e indietro, affaccendati in attività ovviamente invisibili da quella distanza e a quella velocità. Allora l’immagine che subito appare nella mia mente è quella di un formicaio e mi pare straordinariamente simile l’attività dell’uomo e quella delle formiche.

Immaginiamo ora che a 20 km di distanza dal formicaio qualcuno stia costruendo una autostrada. Pensate forse che le formiche possano accorgersene?

Il secondo riguarda il concetto di malattia come unico e solitario essere vivente, estremamente evoluto, complesso e immenso. Un essere vivente con una durata della vita di millenni, quasi interminabile. Un sistema evoluto per usare spazi microscopici, interstizi della materia, un organismo di cui noi vediamo solo gli elementi basici, le strutture costituenti, microscopiche. Come se non vedessimo l’uomo perché impegnati a individuarne singolarmente, ogni cellula. La malattia, come corpo che abita i corpi, si occupa di insegnare i principi evolutivi, e nella sua immensità accomuna i popoli, le culture, le generazioni, i censi e le religioni.

  • Suggerimenti di lettura:
    -Goff, Galileo’s Error: Foundations for a New Science of Consciousness, Pantheon, New York City, 2019
    -De Caro, Lavazza, Sartori, Siamo davvero liberi?, Codice Edizioni, Torino, 2010
    -I.Sibaldi, I maestri invisibili, Mondadori, Milano, 2013
  • Suggerimenti di ascolto:
    Max Richter, Sleep, 2015
  • Suggerimenti di visione:
    Thomas Torelli, Un altro mondo, 2013

 

Politici

Il concetto di politica (politikè che attiene alla città e tékhne arte, sottinteso di governare gli stati) e consequenzialmente della figura del politico, ha subito trasformazioni nel corso dei tempi. Aspetti rappresentativi: di fazioni, di idee, di classi, di mestieri e quindi di interessi, si sono succeduti ad aspetti statistici, intesi nel significato originario del termine, ovvero che riguardano lo stato, la vita e i problemi dello stato.

Una differenza sostanziale, con atteggiamenti ondivaghi verso l’una e l’altra situazione: con caratteristiche volte a privilegiare una determinata comunità e caratteristiche invece volte a privilegiare un senso comune e collettivo di bene pubblico, al di là della rappresentazione del singolo individuo o del particolare insieme. Questa ambivalenza è facilmente riscontrabile in movimenti extra-nazionalisti e movimenti ultra-nazionalisti, laddove i primi si innalzano a concetti comunitari e i secondi ad aspetti territoriali e particolari.

In questa apparentemente ordinaria fluttuazione da una decina di anni si è instaurata, affermata e a oggi imposta, una nuova modalità: la chiamerei politica di rete o politica di tendenza. Si tratta di un approccio che utilizza uno studio approfondito del sentimento di una popolazione eseguito attraverso l’uso dell’analisi delle reti sociali. Attraverso lo studio dei social network e dei concetti di tendenza derivati dalle parole usate nei commenti e nei post, il politico indirizza la campagna mediatica al fine di ottenere maggiore consenso. La causa dell’affermarsi di questa nuova concezione politica è insita nel recente cambiamento avvenuto nel nostro sistema elettivo democratico maggioritario che da un lato protegge il popolo e lo stato da derive autoritarie ed estreme, ma dall’altro rischia di non produrre direzione e pensiero.

Per comprendere appieno la drammatica mutazione che questa nuova fase politica porta con sé, si provi a immaginare un pastore che tenta di dirigere un gregge osservando la direzione presa dai capi più grossi, o dal numero di essi più rilevante. Ogni urlo del pastore sarà volto ad assecondare una direzione, casuale, presa da una parte di gregge, nella speranza di essere ascoltato anche da tutti gli altri capi. E a ogni cambio di direzione del gregge, o di una parte di esso, si determinerà un nuovo cambio di strategia adottato dal pastore. Un uroboro perpetuo e sfiancante.

Diversa la figura della politica nel suo ruolo statistico, di guida eletta prima che elettiva. L’immagine ora è più simile a quella di uno stormo durante una migrazione, che pur fluttuando e modificando le posizioni dei membri al suo interno si dirige verso una meta determinata e precisa, volta al benessere di tutti i suoi membri.

L’aspetto dirimente di questo breve ragionamento è insito nella distribuzione normale. Nell’ambito della teoria delle probabilità la distribuzione normale o gaussiana descrive efficacemente molti fenomeni naturali (sociali o biologici) e indica la probabilità di riscontrare il valore di una variabile casuale attorno a un singolo valor medio. Nel dettaglio, semplificando, descrive il fatto che la numerosità dei risultati di una osservazione si distribuisca in modo simmetrico e decrementale rispetto a un valore mediano centrale.

Siccome la democrazia elettiva premia l’aspetto quantitativo (i voti e, di conseguenza, i votanti), il politico tenderà a cercare di avere il consenso della quantità maggiore di elettori, le cui idee tendono, ovviamente, a distribuirsi intorno alla mediana centrale. Il limite di questo approccio è che più le idee, i temi, i concetti che il politico esprime provengono dall’analisi sociale di territori statistici mediani più coinvolgono il sentimento di una popolazione numerosa che finisce con il reputare corrette idee che essa stessa ha generato; con questo approccio inoltre si perdono completamente le aree della distribuzione più lontane dalla mediana che rappresentano espressioni del fenomeno distanti dalla media, in mediocrità, per fortuna, ma anche, per simmetria, in eccellenza.[3]
L’effetto potrebbe essere simile a una mandria di bufali lanciata verso un canyon solo per il semplice fatto di seguire il capomandria, che, a sua volta, ha deciso la direzione perché ha visto gli altri membri della mandria correre.

L’approccio dovrebbe essere proprio l’opposto, è la figura di guida che dovrebbe saper indirizzare la maggior parte della popolazione verso una idea (di benessere collettivo e di equità[4] sociale).

Mio padre era solito raccontare una simpatica storiella che narrava di un ufficiale dell’esercito americano che si recava presso la tribù di un capo indiano, sui monti, per sapere se l’inverno sarebbe stato rigido o meno. Ogni anno l’ufficiale otteneva la sua risposta. Dopo vari anni, diventati amici, e dopo vari inverni passati sempre con la giusta legna da ardere, l’ufficiale chiese al grande capo cosa osservasse per poter conoscere le caratteristiche dell’inverno futuro. Il capo indiano rispose che osservava un accampamento di ufficiali americani, giù in valle, vicino ad un fiume. Se tagliavano molta legna significava che l’inverno sarebbe stato molto rigido, altrimenti sarebbe stato più mite.

L’accampamento, ovviamente, era quello dell’ufficiale.

[3] Bisogna ricordare, in aggiunta, che la categoria dei politici è una delle pochissime categorie a non avere alcun obbligo di formazione né di titolo professionale.

[4] Si noti l’utilizzo del termine equità, non inteso come sinonimo di uguaglianza; l’equità’ comporta infatti scelte precise da parte di chi deve fornire gli strumenti.

 

 

Ricchezza

Una immagine ha colpito in modo particolare la mia attenzione in questi ultimi due mesi. È una foto postata da Banksy su Instagram e Twitter in cui è possibile vedere l’ultimo lavoro dell’artista. Il luogo che sembra Banksy abbia scelto per ospitare l’ultima sua opera parrebbe essere addirittura il suo bagno di casa e l’artista ha accompagnato l’immagine con una frase laconica che, tradotta, dice: “Mia moglie odia quando lavoro da casa”.

Al di là dell’effetto, come sempre spiazzante, del suo lavoro, a incuriosirmi non è stata l’opera in sè, ma il bagno. Veramente quello è il bagno di Banksy? Siamo di fronte all’immagine del bagno di casa di un artista le cui opere sono vendute all’asta per milioni di dollari? Se così fosse, e posso anche pensare che sia così, Banksy ha annientato su se stesso due delle peggiori pesti dell’uomo contemporaneo: la continua e inarrestabile corsa alla fama e la spietata e incontenibile smania di ricchezza e di possesso. L’artista è per il mercato infatti un controsenso: se vuoi possedere una sua opera significa che non hai capito nulla della sua arte.

Contemporaneamente a chi pare si stia prendendo gioco dei valori del nostro sistema economico e sociale, con il gesto più anarchico che sia possibile, ovvero la rinuncia agli elementi che sembrano per moltissimi oggi determinare il senso della vita (apparire e possedere), c’è chi invece continua inesorabile, nella buona come nella cattiva sorte, la sua rincorsa al patrimonio (che, etimologicamente, deriverebbe da pater, ovvero dai possedimenti ereditati in linea paterna e che per estensione oggi potremmo considerare come beni appartenenti alle generazioni che ci hanno preceduto). Negli ultimi due mesi infatti i 400 uomini più ricchi del mondo hanno visto crescere la loro ricchezza del 20%, mentre negli ultimi 40 anni le tasse da loro pagate sono diminuite del 79%.

Il rapporto Oxfam 2020 sancisce che l’1% della popolazione più ricca detiene più del doppio della ricchezza di 6,9 miliardi di persone e che 2153 miliardari detengono una ricchezza superiore al patrimonio di 4,6 miliardi di persone.

Si stima che negli Stati Uniti ogni percentuale di Prodotto Interno Lordo persa determini 40.000 morti. Quando ci indigniamo per situazioni al limite dell’immaginabile, frutto spesso di incuria materiale e spirituale come anche di povertà e ignoranza, dovremmo pensare che, forse, quello sia l’effetto di una disuguaglianza estrema e che chi pare oggi agisca nei nostri confronti con la cura del buon padre di famiglia abbia tralasciato di comunicare che ha permesso con connivenza che scaltri faccendieri si portassero via dalla nostra casa tutto ciò che di bello e di valore potevano trovare.
L’acquisto è un atto politico. Forse l’ultimo che ci è rimasto.

 

Parole

In questo periodo di isolamento sociale siamo stati sommersi, tra molte altre stoltezze, da un’orda di personal trainer impegnati nella crociata del XXI secolo: istruire ogni abitante del pianeta sull’esercizio migliore da fare per dimagrire e/o avere un fisico esteticamente presentabile.

Premetto, in questo discorso, la mia idiosincrasia verso un sistema che concede a chiunque, con formazione accademica riconosciuta come con una superficiale e raffazzonata istruzione tecnica, di fornire sfacciatamente consigli sul modo in cui prendersi cura del proprio corpo e, per estensione, su come vivere; considero, inoltre, assodata la mia avversione verso la medesima azione svolta da personale sanitario che ha intuito, nella medicalizzazione di ogni aspetto della vita, una possibile fonte di estensione della propria supremazia culturale e del proprio campo di intervento, anche economico.

La mia attenzione, però, si è maggiormente concentrata sull’utilizzo dei termini personal e trainer. Non capisco infatti quale estrema difficoltà ci sia nel comunicare, in lingua italiana, il fatto che si sia allenatori personali. Il concetto di allenamento è interessante, perché presuppone l’innalzamento del grado delle qualità fisiche della persona allenata se sottoposta a uno stimolo sufficiente. In questo caso, tuttavia, all’uso, non giustificato, dei termini inglesi, si aggiunge la scelta di perpetrare impavidamente l’utilizzo dell’aggettivo personal. La locuzione personal identifica infatti una azione individuale, personale, appunto. Non si riferisce al fatto di valere per l’aspetto personale, ovvero relativo alla persona, alla sua figura corporea. Quindi non mi è chiaro come si possa considerare personal trainer un individuo che organizza una lezione di zumba su youtube davanti a una telecamera con millequattrocento persone collegate dai loro salotti.

Persona (per-sonar, ovvero ‘risuonare a-traverso’) per i latini era la maschera di legno portata in scena dagli attori nei teatri, in cui i tratti del viso erano marcatamente segnati per poter essere identificati anche dagli spalti più lontani e in cui la bocca era sagomata in modo da rafforzare il suono della voce (per risuonare appunto). Oggi noi usiamo, in teatro, il vocabolo personaggio e ci riferiamo a esso per la caratterizzazione e in alcuni casi a riguardo della caricatura attoriale.

Personage trainer, addestratore di personaggi.

Una seconda parola che in questi giorni è stata usata a sproposito è quarantena.

Ogni volta che ho ricevuto qualche messaggio da qualcuno che mi informava del suo tremendo e insopportabile stato di quarantena mi sono sempre prodigato nell’esprimere la mia più totale e sincera empatia verso la situazione capitata al poveretto.

Ogni volta la frase ricevuta dal malcapitato era la medesima: “Ma come fai tu a sopportarla?”

“Semplice…” rispondevo “…io non sono in quarantena”.

Quarantena, ovvero di giorni quaranta, era il tempo in cui i viaggiatori e le mercanzie che provenivano da paesi infetti da malattie contagiose, dovevano rimanere a bordo delle navi prima di sbarcare.

Per chi non ha mai provato, consiglio, una volta usciti dalla propria quarantena mentale, di noleggiare una imbarcazione da diporto e fermarsi un paio di giorni, non attraccati, a 200 metri da riva. Sperando nel mare calmo.

Ritratto fotografico di Ivaldi Pasqualino, detto Giovanni. 1940 circa. Fotografia di fotografia eseguita da Ivaldi Emilia, Ciglione (Ponzone, AL), maggio 2020

A proposito di mare calmo e situazioni difficili. Non ricordo precisamente i racconti di mio nonno sulla seconda guerra mondiale. Mio padre mi ha spiegato che fu imprigionato all’inizio della guerra, ritornando dal Giappone il cacciatorpediniere su cui effettuava servizio fu affondato nel Mar Rosso. Tornò a casa alla fine della guerra, cinque anni dopo essere stato catturato.

  • Suggerimento di lettura:
    -Bellotti, Zanon, Il movimento dell’uomo, storia di un concetto, Calzetti e Mariucci Editori, Perugia, 2008 
  • Suggerimenti di ascolto:
    Jon Hopkins, Immunity, 2013
  • Suggerimenti di visione:
    -Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, Il sale della terra, 2014

 

Correlazione spuria

In statistica è un problema presente nelle analisi che calcolano la correlazione (o la regressione) tra due fenomeni, quando non si rispetta l’assunto che le osservazioni siano indipendenti ed allo stesso modo distribuite.
Il problema porta a identificare il nesso causa-effetto tra due fenomeni che appaiono correlati ma in modo casuale (ovvero spurio), dipendendo entrambi da un terzo fattore, senza che vi sia un meccanismo logico-causale plausibile in relazione tra loro.
Per esempio, famosa è la correlazione tra il numero di matrimoni e il numero di rondini visibili in cielo. Appare ovvio che i due fenomeni non siano connessi tra loro da un meccanismo causa-effetto, ma da un terzo fattore: la stagione. 

In questo periodo, da parte di sempre più numerose commissioni tecniche (le fantomatiche task force), stanno apparendo dati a dimostrazione della bontà di una o altra decisione. I numeri (di cui abbiamo parlato nel paragrafo a loro dedicato) sono neutri. Meno neutro è l’uso, e l’abuso, che se ne fa. Diventa quindi facile addestrare una popolazione in cui il 41,6% degli studenti delle scuole superiori non raggiunge un livello sufficiente di competenza numerica e che sopporta gli investimenti più bassi, in Europa, nell’istruzione sia in rapporto al PIL che al totale della spesa pubblica. Continua ad amplificarsi in me il dubbio che a monte ci sia una volontà precisa nel mantenere così bassi livelli di istruzione.

L’infografica illustra la differenze regionali per quanto concerne le competenze in matematica nella scuola secondaria di II grado (grado 13). Auspico che l’effetto bandiera italiana non sia stato creato volutamente. Fonte: Rapporto prove Invalsi 2019 – Cineca.
Risultati PISA (Programme for International Student Assessment) 2018 trend Italia in confronto con il trend Europeo per competenze in Lettura, Matematica e Scienze per gli studenti di 15 anni. Fonte: OCSE, Database Pisa 2018
Esempio di correlazione spuria: età di MIss America e omicidi compiuti utilizzando vapore caldo o oggetti caldi. Fonte: www.tylervigen.com – autore: Tyler Vigen
  • Suggerimenti di lettura:
    -PISA (Programme for International Student Assessment) 2018, OECD 2019
    -Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina, Milano 2000
    -Morin, Conoscenza, ignoranza, mistero, Raffaello Cortina, Milano, 2018
    -Yule. Why do we sometimes get nonsense-correlations between Time-Series?–a study in sampling and the nature of time-series. Journal of the royal statistical society. 1926 Jan 1;89(1):1-63. 
  • Suggerimenti di ascolto:
    Fabrizio De André, Ottocento, Le Nuvole, 1990

 

Esponenziale

Una funzione esponenziale ha una caratteristica definita: una base costante ed un esponente variabile. Si parla di crescita esponenziale di un fatto o di un fenomeno che procede con una progressione molto rapida.
Ci sono diversi esempi possibili in biologia, tra questi vorrei in questo contesto ricordare:

  • Il numero di microrganismi in un terreno di coltura, fino a che non si è esaurito il nutriente essenziale
  • L’azione virale che tipicamente inizia con una diffusione esponenziale se non si dispone di una immunizzazione artificiale.
  • La crescita della popolazione umana
Incremento di numero di casi di COVID-19 nel mondo e incremento della popolazione mondiale. Le fonti sono citate nell’immagine.

  • Suggerimenti di lettura:
    -Mancuso, Plant revolution, Giunti Editore, Firenze, 2017-
    -H. Meadows, D. L. Meadows; J. Randers; W. W. Behrens III, The Limits to Growth (PDF), 1972. (traduzione italiana: I limiti dello sviluppo)
    -Malthus, An Essay on the Principle Of Population, Project Gutenberg,1798
  • Suggerimenti di ascolto:
    Muse, Map of the problematique, Black Hole and Revelations, 2007
  • Suggerimenti di visione:
    -A.& L. Wachowski, The matrix, 1999
    -J.Gibbs, Planet of the human, 2019

 

Bambini

Tra le cose più belle che mi sono capitate sotto gli occhi in questi giorni vi è certamente l’aver assistito ai tentativi di una mamma di far apprendere alla figlia l’andare in bicicletta senza rotelle. L’azione di per sé potrebbe sembrare consueta, o certamente non straordinaria, pur nel fascino intimo che racchiude e pur per tutti gli elementi che la rendono una pietra miliare nel ricordo futuro, del bambino, quanto del genitore.

Mi è d’obbligo premettere che l’occasione è avvenuta all’interno di una coorte di una cascina, nella quale risiedo, e grazie alla quale in questo periodo di isolamento sociale i bambini che vi abitano, otto, hanno potuto godere per tutti i giorni e per tutto il giorno di uno spazio protetto dove giocare liberamente e sperimentare con il proprio corpo e con il movimento, in modo libero e naturale.

L’aspetto a mio avviso fuori dall’ordinario risiede nel veloce scambio di parole avuto con la mamma. Arianna, la bambina che cercava di imparare ad andare senza rotelle, ha tre anni e vedendo gli altri bambini più grandi scorrazzare senza ausili ha deciso che anche per lei fosse venuto il tempo di liberarsi da quei supporti imbarazzanti. La madre mi ha spiegato che la sorella, più grande, aveva imparato all’età di cinque anni e quindi presumeva che non fosse ancora il tempo giusto per insegnare alla figlia minore. Il primo giorno in cui ho visto i loro tentativi, infatti, sembrava chiaro che la situazione non potesse risolversi positivamente.
Solo due giorni e qualche caduta dopo vidi, senza nascondere sorpresa, come invece la bambina fosse in grado di destreggiarsi nel cortile libera da ogni impedimento.

Il tempo che la madre ha potuto dedicare alla figlia, la sua vicinanza fisica, le ore a disposizione per eseguire sequenze di apprendimento composte da prove ed errori e uno spazio all’aperto per poter sentirsi liberi di tentare, oltre che la vicinanza di altri bambini che, con il loro esempio, stimolavano comportamenti motori da imitare, hanno permesso, alla fine dei conti, di imparare un esercizio complesso che richiede una notevole dose di destrezza ed equilibrio con ben due anni di anticipo.

 

*Marco Ivaldi è nato a Torino nel 1979, ha ottenuto un dottorato in sistemi complessi in Medicina e Scienze della Vita con specializzazione in Fisiopatologia Medica nel 2012. Affianca all’attività accademica (insegna, tra le altre discipline, Neurofisiologia del movimento presso il Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università degli Studi di Torino) quella di imprenditore e di regista teatrale.