LAURA BEVIONE | Nicola Bremer è un giovane autore, regista e attore italo svizzero, laureato al Dams di Torino, e che, da qualche anno, collabora regolarmente con teatri stabili tedeschi – a Dresda per esempio – e anche svedesi – a Göteborg. Un artista cosmopolita e amante della sperimentazione – è stato autore e regista di una sorta di serie teatrale in varie puntate – ha trasformato il tempo del confinamento in occasione di riflessione creativa sull’oggi e di conseguente scrittura. Il risultato è stato un testo, significativamente intitolato Radio Einsamkeit che la Neue Bühne Senftenberg ha trasformato in opera di teatro digitale, articolandola in varie puntate – la prima è andata in onda lo scorso 5 maggio, la seconda una settimana dopo, il 12, a questo link. Ne abbiamo parlato con Nicola, bloccato nella casa dei genitori in Svizzera.

Foto di Alessia Ricci Petitoni 

Com’è nata l’ispirazione per scrivere il tuo testo e come sei arrivato alla decisione di articolarlo in diverse “puntate”?

A causa del Covid-19 mi sono ritrovato bloccato nelle montagne svizzere, a casa dei miei genitori. Il mio lavoro è quello dell’autore teatrale, quindi la cosa più naturale per me è stata mettermi a scrivere. Ma non uno stato personale su Facebook o un tweet che andasse in tendenza. Io scrivo spettacoli teatrali, allora è questo quello che ho iniziato a fare. Guardando tutti i giorni il telegiornale e leggendo i giornali, la pandemia ha naturalmente influenzato la mia scrittura. Non volevo però raccontare la storia del Coronavirus; la scrittura creativa secondo me non deve imitare i giornalisti, ma creare dimensioni metaforiche che danno la possibilità ai lettori e agli spettatori di vedere la realtà da nuovi punti di vista. Allora ho inventato una storia in cui un virus colpisce la lingua, trasformando chi pronuncia le parole infette in uno zombie. Una volta terminato il copione, l’ho mandato alla mia casa editrice e a qualche amico. Due ore dopo mi ha chiamato uno di questi, Lukas Schädler, dramaturg del Teatro Stabile di Senftenberg, dicendomi: “Vogliamo mettere in scena il tuo testo, adesso, ma siccome il teatro è chiuso vogliamo farlo come film, che ne dici?”. Io ho risposto: “Per me il teatro è ciò che succede qui e adesso e se qui e adesso l’unico modo di fare teatro è quello di filmare gli attori, allora filmiamo gli attori!”. Insieme al regista Maximilian Pellert abbiamo adattato il mio testo a questo nuovo medium. Lui ha avuto l’idea di dividere il progetto in più parti, considerando soprattutto i lunghi tempi di montaggio. In questo modo il pubblico non deve aspettare così tanto il prodotto finale, ma può godersi un episodio dopo l’altro.

Foto Dorit Günter

Ci puoi riassumere brevemente quanto racconta il tuo testo, Radio Einsamkeit (La solitudine c’era già), e descriverci i personaggi?

Radio Einsamkeit (letteralmente Radio Solitudine) è ambientato in una cittadina della Germania dove la gente è chiusa in casa, perché fuori c’è così tanta neve che è praticamente impossibile uscire. I tre protagonisti lavorano in una stazione radiofonica, da qualche giorno ognuno da casa sua. Maria Abendroth è la speaker, Ida Wolf la produttrice e Peter Müller il tecnico. Maria spera disperatamente che succeda qualcosa nella noiosa cittadina e viene finalmente accontentata: il reporter della stazione radiofonica Ben Richter racconta che uno strano gruppo di persone si sta muovendo per la cittadina, attaccando le poche persone che sono in giro e cercando di entrare nelle case. Successivamente il tecnico Peter inizia a parlare in modo incomprensibile e comincia ad avere comportamenti sempre più strani e poco dopo lo stesso reporter Ben non è più in grado di parlare normalmente.

Ho voluto aggiungere il sottotitolo italiano La solitudine c’era già sia perché sono di origine italiana e l’Italia stava e sta soffrendo particolarmente a causa del Covid-19, ma anche perché nella storia c’è un altro personaggio, il cui nome d’arte è Ralf Ramazzotti. Si tratta di un insegnante di musica e un cantante amatoriale, che si diletta in cover tedesche di canzoni di Eros Ramazzotti. La sua scuola di musica viene attaccata dal gruppo di zombie, ma lui riesce a scappare e a collegarsi alla radio. È lui il primo a sospettare che si tratti di un virus e mentre racconta agli altri questa sua scoperta, pronuncia anche lui una parola infetta. Maria e Ida non sanno come comportarsi: il loro compito è quello di fare radio e di informare gli ascoltatori su cosa sta succedendo nella loro cittadina, ma parlando corrono il rischio di contagiare qualcuno o addirittura se stesse.

La protagonista, Maria, oscilla fra ottimismo e cupo realismo, cita Barthes e Ippocrate e si arrabbia con quanti continuano a dire che “tornerà a risplendere il Sole”. Come hai pensato questo personaggio? Quale visione del mondo potrebbe rappresentare?

Maria per me è un personaggio che ha grandi sogni, ma vive in una realtà che non le permette di realizzarli. Vorrebbe essere al centro dell’attenzione, vorrebbe che il mondo intero la ascolti. È un’intellettuale, cita abilmente i suoi autori preferiti e gioca con le parole. Per lei le parole sono la cima di un grande iceberg pieno di significati. Lo strano virus le dà paradossalmente ragione. Non solo, il virus è il test ideale per lei e per tutti i suoi difetti. Infatti inizialmente non crede all’esistenza di questo virus, vuole uscire, nonostante la neve, per vedere se questi zombie esistono davvero, ma poi, quando sarà impossibile negare l’evidenza, sarà proprio lei a proporre a Ida di smettere di parlare. Maria deciderà che non ha più senso voler informare gli ascoltatori di quello che sta succedendo, sperando che qualcun altro salvi il mondo. Maria deciderà di tacere e deciderà che ora tocca a lei a salvare il mondo. E il suo mondo è Ida, che lentamente si starà per trasformare anche lei in uno zombie.

Pensi che, superata l’emergenza Covid, il nostro stile di vita cambierà davvero oppure ci richiuderemo di nuovo tutti nelle nostre confortevoli solitudini?

Nel finale il personaggio di Maria è completamente diverso rispetto alla Maria dell’inizio. Per me lei è la speranza che anche noi cambieremo, una volta superata l’emergenza. Non sono molto fiducioso che cambieranno le grandi cose, basta vedere con che ansia le economie di tutto il mondo vogliono tornare a una vecchia normalità. Tuttavia sono molto fiducioso che cambieranno le piccole cose, le cose che ognuno di noi nella propria vita può trasformare. Il messaggio del mio testo è che il virus è uno specchio che ingrandisce quello che c’era già. Il distanziamento sociale lo pratichiamo da anni, almeno da quando è stato inventato lo smartphone. Da anni ci muoviamo come degli zombie, mentre svolgiamo quasi automaticamente i nostri lavori. E da anni ci attacchiamo e ci divoriamo a vicenda, per fare carriera, per essere al centro dell’attenzione, per avere più successo.

Mio padre, che è uno storico, sostiene che nella storia dell’uomo le epidemie non sono mai esplose quando “tutto andava bene”. Io spero che non torneremo a una vecchia normalità, ma a una nuova normalità, in cui capiamo che il mondo è molto più piccolo di quello che pensavamo e che l’unico modo per sopravvivere è prenderci cura l’uno dell’altro. Non permettendo che Bolsonaro abbatta la Foresta Amazzonica e non permettendo che le banche finanzino con i nostri soldi produttori di armi.

Tu lavori soprattutto in Germania: come sta reagendo il settore spettacolo dal vivo all’emergenza Covid e alla conseguente chiusura dei teatri?

Siamo un po’ delusi, perché anche in Germania la politica per molto tempo sembrava essersi dimenticata dell’esistenza del teatro. Ora che si intravede una luce alla fine del tunnel, molti teatri stanno cercando di trovare il modo di tornare a fare spettacoli, rispettando le norme di sicurezza. Personalmente trovo assurdo che a Dresda, per esempio, in piena pandemia, è stato permesso a quindici persone del gruppo di estrema destra PEGIDA (acronimo di Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes, ovvero Europei patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente) di riunirsi in occasione del compleanno di Hitler, mentre ai teatri è stato proibito qualsiasi tipo di manifestazione. Per fortuna in Germania la maggior parte dei lavoratori teatrali è stata assunta dai teatri stabili a lungo termine, quindi vengono regolarmente pagati anche se non vanno in scena. Di conseguenza sono nati e stanno nascendo molte iniziative digitali, video su Facebook e Instagram, podcast e progetti come il mio.
I lavoratori teatrali freelance invece stanno soffrendo molto, come anche i teatri più piccoli. Io credo che quando si potrà tornare in scena, bisognerà fare un teatro che colpisca e coinvolga davvero il pubblico. Questo è il momento per inventarsi nuovi format, nuove messe in scena, nuovi spettacoli. Se devo stare seduto in una platea, al buio, in silenzio, a guardare cosa fanno e dicono degli attori su un palco più o meno lontano da me, preferisco starmene a casa sul più comodo divano a guardare Netflix, dove posso mettere in pausa se devo andare in bagno, bere una birra e chiacchierare a voce alta. Il teatro secondo me deve essere altro, deve celebrare molto di più il suo essere dal vivo. Ce ne siamo accorti in questa quarantena: i film e le serie possiamo ancora vederli, la musica possiamo ancora ascoltarla, il teatro invece no, perché il teatro è l’unica forma d’arte che può esistere solo dal vivo, solo se attori e spettatori si incontrano fisicamente.
Allora mi auguro che il teatro post-coronavirus faccia davvero incontrare attori e spettatori e che questi incontri siano straordinari, unici e irripetibili. Anche se per qualche tempo dovremo ancora sederci un po’ lontani l’uno dall’altro o indossare delle maschere. Ma le maschere non sono l’elemento teatrale per eccellenza? Allora indossiamole queste maschere e andiamo a fare teatro!

 

RADIO EINSAMKEIT – LA SOLITUDINE C’ERA GIÀ
una parabola digitale di Nicola Bremer

regia Maximilian Pellert
edizione Merlin Deppeler
dramaturg Lukas Schädler
interpreti Lena Conrad, Anja Kunzmann, Leon Haller, Robert Eder, Manuel Soubeyrand, Tom Bartels, Mirco Reseg
produzione Neue Bühne Senftenberg