GIAMBATTISTA MARCHETTO | Non ne usciremo migliori. Perché «inizialmente poteva diventare un modello di “disruption”, pronto ad azzerare i livelli e ripartire. Invece, lo vediamo tutti, siamo gli stessi di prima ma più poveri e più incattiviti». E il digitale «è un affilatissimo coltello da sushi. Nelle mani giuste aiuta a creare piatti gourmet, in quelle sbagliate diventa un’arma letale».
Classe 1976, con base nel Veneziano, Riccardo Meggiato è uno dei massimi esperti in sicurezza digitale, investigazioni informatiche e digital forensics. Ha all’attivo 38 libri best-seller per Feltrinelli e Hoepli, scrive su Wired, Rolling Stone, Panorama, Corriere.it e GQ, tiene conferenze in Europa parlando di sicurezza, futuro e tecnologie software.
Da giovanissimo ha scelto la strada che lo ha portato ad essere un “hacker etico” – o meglio un white hat, come si dice in gergo – e lavorando sette giorni su sette (dormendo 4 ore a notte) dedica molte attenzioni professionali a fenomeni sociali che evolvono nel campo digitale. Ecco perché la spinta al virtuale in tempo di lockdown lo ha portato a riflessioni originali che ha accettato di condividere con noi.

Riccardo, dopo il tempo del lockdown si cerca di tornare alla normalità. Come vedi questa possibile normalità?

La vedo come una normalità che dobbiamo tornare a vivere appieno, lontani da quell’idea di “nuova normalità” di cui si è sentito vociferare. Non intendo che dobbiamo far finta che non esista il problema virus, solo che fino a quando non torneremo a vivere come prima non potremo parlare di normalità. Diciamo che ora siamo di fronte a una “vivibilità”, destinata a virare verso la normalità che noi tutti conosciamo. Arriverà, anche se questo lockdown ha lasciato in tutti qualche cicatrice. Per esempio abbiamo capito che, pur con tutte le buone motivazioni del caso, qualcuno un giorno può stabilire se possiamo o non possiamo uscire di casa, e se ci pensi è una forma di violenza estrema, anche se necessaria.

Dopo la salute, ora il grande interrogativo è sulla ripresa. Sarà dura? Quanto sarà dura?

Sarà durissima e non tanto per gli effetti nel breve termine. Anzi, sarà durissima perché è un malessere economico silente. Ora vediamo tante persone felici in vacanza e, ti dirò, sono situazioni che creano ottimismo. Ma la verità è che molti stanno semplicemente dando fondo ai risparmi per ritrovare un po’ di quella normalità di cui parlavamo. A settembre si tornerà sul campo a tutti gli effetti, torneranno le scuole, torneranno le dinamiche familiari e, soprattutto, quelle lavorative con un carico di problemi accumulati nei mesi precedenti. Lo scopo, a mio avviso, è tenere la testa fuori dall’acqua per almeno un anno. Per chi ci riuscirà, a quel punto, si creeranno grandi opportunità, ma non prima di metà 2021.

Quali possono essere gli impatti della crisi sulle comunità?

Durante il lockdown aspiravamo a una società più comunitaria. Non ci ho mai creduto minimamente, trovandolo un sogno scellerato da hippie senza senso della realtà. E infatti, appena terminato, ecco tornare prepotente la filosofia del “mors tua, vita mea”: con un’economia così precaria l’istinto primario è sopravvivere nel breve termine e, se va bene, con gli affetti più prossimi. Non ci sono tempo e risorse per pensare in modo comunitario. Siamo nel bel mezzo di una savana arida e inospitale che metterà a dura prova ogni istinto sociale più basilare.

#iorestoacasa ha cambiato abitudini e paradigmi. Come rischia di impattare sul modello di fruizione delle tecnologie?

Discorso duplice: da una parte abbiamo capito che possiamo fare un sacco di cose a casa, con uno smartphone, e questo da un certo punto di vista è un bene; dall’altra, però, abbiamo visto che un sacco di servizi digitali non sono ancora pronti per un utilizzo così massivo, si bloccano, funzionano male, sono troppo lenti. E poi c’è una questione di più largo respiro: puoi goderti i vantaggi di un servizio digitale che prima utilizzavi in modo fisico, ma così non ti rendi conto di tutto l’indotto che un tempo veniva smosso. Ti portano a casa la spesa, ma così crollano i sistemi di trasporto pubblico, il mercato delle auto, i negozietti che andavi a visitare per andare dall’ortofrutta, e siccome i prezzi online sono aumentati moltissimo, alla fine, questo ingranaggio stritola anche te. È un processo avvenuto troppo in fretta, causa forza maggiore, e per questo venuto male. Forse è il caso di fare mezzo passo indietro, ora.

Ne usciremo migliori? Ne usciremo peggiori? Non cambia nulla?

Peggiori, senza dubbio. Inizialmente poteva diventare un modello di “disruption”, pronto ad azzerare i livelli e ripartire. Invece, lo vediamo tutti, siamo gli stessi di prima, ma più poveri e più incattiviti.

Quali codici si ripropongono rispetto alle crisi del passato? Cosa è cambiato definitivamente? Come avete registrato l’impatto sul rapporto degli italiani con il digitale?

Posso dirti che sono diventati molto più sospettosi. E forse il problema non è nemmeno tanto questo, il problema è che per fugare dubbi e sospetti si rivolgono a fonti poco credibili che generano ancora più confusione. Quindi gli italiani, in questo momento, li vedo davvero nel pallone.

Quale peso può avere l’evoluzione di questo rapporto (si pensi a streaming e call in zoom) sulla cultura e sulla produzione culturale in Italia?

Ho visto qualche sondaggio, qualcuno statisticamente rilevante, sul modello smart working. A differenza dei dati previsionali, pare che il tasso di produttività, in genere, sia crollato. Non stento a crederci: sono sempre stato contrario alle “call”, l’email è un mezzo più faticoso da gestire e che dunque obbliga alla sintesi. Sullo streaming come forma culturale vado invece d’istinto: assistere a un’Opera a teatro, guardare un film al cinema, andare a un concerto. Pensateci intensamente, per un paio di secondi. Ora pensate a uno schermo e allo streaming. Terribile, vero? Ecco.

Come investire oggi per un nuovo rinascimento?

Se potessi avere carta bianca? Istruzione, ma affrontando argomenti davvero difficili. Pochissimi ragazzi sanno programmare, e chi lo sa fare lo fa con linguaggi di programmazione banali e poco richiesti dal mercato. Dobbiamo far capire che esiste la cultura mordi e fuggi ed esiste anche un altro tipo di cultura che richiede fatica. Un video su YouTube ti può far appassionare a un argomento, e va benissimo. Ma, che ne so, se segui un video che ti spiega l’intelligenza artificiale in 10 o 12 minuti non puoi pensare di aver imparato l’intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale, che è uno dei campi dove lavoro, è matematica pura. Calcoli, algoritmi, sudore, fatica. Dobbiamo investire su questo, sul far capire il valore della fatica, mentre mi pare ci sia una corsa a mostrare che si può imparare tutto senza fatica.
Sono il primo a dire che si può imparare tutto, ma la fatica è imprescindibile.

Facciamo un gioco: prendi una libreria, online va benissimo, e cerca un libro su un argomento che reputi davvero difficile. Poi seleziona solo i libri di autori italiani. Ci troverai un sacco di titoli che riportano “… per principianti”, “introduzione a…”, “…spiegato facile”. Non è colpa degli autori ma del mercato: un libro che ti spiega la matematica dell’intelligenza artificiale vende 100 copie, uno che racconta di spiegare a chi non ne sa nulla come diventare un guru dell’intelligenza artificiale in 100 pagine ne vende 10.000. Occorre far capire che puoi leggere il secondo libro per capire se si accende la scintilla, ma a quel punto devi per forza prendere il primo. Il nuovo rinascimento sta tutto qui, nel tornare a un paese che punta a fare cose difficili, a farle bene e con competenza. Non sarebbe nato un nuovo Tiziano in un periodo come questo, e la “banana di Cattelan” ti dimostra bene questo concetto.

Ricostruire una comunità è una questione culturale ma anche tecnologica? Il digitale oggi è alienante o integrante?

Il digitale è un affilatissimo coltello da sushi. Nelle mani giuste aiuta a creare piatti gourmet, in quelle sbagliate diventa un’arma letale.

Quali sono oggi le priorità?

Evitare la massificazione, intesa come esigenza di fare le proprie scelte e di avere il coraggio di sviluppare interessi anche lontani da quelli degli altri. Ora, per dire, molti ragazzi si interessano di cyber-security perché è una moda. Bene, è troppo tardi: anche i più bravi siederanno quasi certamente in seconda fila, perché nel momento in cui ci accodiamo a una tendenza significa che già molti sono in prima linea e difficilmente cederanno il posto. La vita è una regata di Coppa America: puoi scegliere se seguire il tuo avversario sotto vento o se prendere una via diversa sperando in un vento maggiormente favorevole. Nel secondo caso i rischi sono maggiori, certo, ma anche le possibilità di successo.

Cambieranno radicalmente i modelli di consumo? E i modelli di relazione?

I modelli di consumo, lo dice la storia, sono ciclici. Invece cambieranno i modelli di relazione, questo sì: saremo ancora più individualisti.

In un mondo in cui il controllo dei processi è sempre più affidato al virtuale. Quali sfide sono in gioco nel mondo della sicurezza?

Il principale è far capire che il virtuale… non è più virtuale. Soldi, salute, affetti… tutto passa per il digitale. Ma il fatto che l’informazione sia composta di bit non esclude implicazioni dannatamente reali. Le persone questo non lo capiscono ancora abbastanza, pretendono di fare tutto in digitale, ma poi si stupiscono se si beccano una querela per diffamazione per un post nei social. Questa dicotomia è dura a morire. La sicurezza digitale, oggi, ha più valore di quella fisica. Un antivirus, per dirla breve, può proteggere più di un antifurto.

Il mondo ha visto una riduzione del concetto di privacy con app di tracciamento, controlli nei luoghi pubblici, droni… come la vedi?

Stiamo pericolosamente abbassando la soglia di percezione di quanto è lecito che gli altri sappiano di noi. Diamo troppo per scontata la diffusione di certe informazioni. E più si va avanti e peggio è. I ragazzi condividono con naturalezza informazioni strettamente personali senza capire quanto di loro stanno mettendo effettivamente in piazza. E gli adulti, vedendoli così sicuri, li seguono a ruota. La verità è che noi adulti dobbiamo continuare a proteggere i ragazzi, anche da forme di aggressione con cui non abbiamo dimestichezza. Essere adulti, essere genitori, non è semplice, ma questo lo sapevamo già. E si torna a quel problema di pensare che sia tutto semplice e non serva fare fatica…

Quali rischi si corrono oggi in questo universale movimento verso il grande fratello? Come funziona?

Qualunque rischio ti venga in mente, c’è. Oggi non c’è una sola nostra informazione che non sia accessibile a chi vuole accedervi. A volte c’è la Legge a tutelarla, ma un banale processo, di fatto, può esporla pubblicamente. E la cosa inquietante è che è tutta colpa nostra, del singolo, che con nonchalance firma un contratto telefonico senza leggersi otto pagine di condizioni e che, eventualmente, decide comunque di firmare anche se non è d’accordo perché non vuole rinunciare a una tariffa vantaggiosa. Diamo per scontato che ci serva tutto e, per questo, svendiamo la nostra privacy, come se fosse moneta di basso valore.

Il superamento dello stato attuale di relazione tra uomo e macchina come procede?

Stiamo sopravvalutando i progressi tecnologici in questo campo. I modelli di intelligenza artificiale, che ci vendono come meravigliosi, sono ancora primordiali e francamente imbarazzanti. O meglio: sono utilissimi se applicati nei giusti contesti, dove in realtà il potere decisionale è molto limitato e si riduce a scelte banali da effettuare però in tempi brevi e in numero elevato. Ma se stiamo pensando di far evolvere il rapporto con una macchina avvicinandoci a un modello umano, bè, signori, ne riparliamo tra non meno di una cinquantina d’anni.

@gbmarchetto