RITA CIRRINCIONE | Dedicato alla drammaturgia contemporanea e alla sperimentazione teatrale, dal 7 all’11 ottobre torna a Palermo il Festival Teatro Bastardo, ancora una volta sotto la direzione artistica di Giovanni Lo Monaco. Tra spettacoli, proiezioni e incontri, le cinque giornate si articoleranno in diversi spazi cittadini – Villa Filippina, Cre.Zi. Plus (Cantieri Culturali alla Zisa), Cinema Rouge et Noir, Museo internazionale delle marionette “Antonio Pasqualino”.

Giovanni Lo Monaco

Nata nel 2015 all’interno del Sicilia Queer filmfest, la rassegna negli anni ha acquisito una propria identità autonoma, occupando un posto specifico nel panorama culturale palermitano per il focus sulla contaminazione tra diverse forme artistiche e sui linguaggi in grado di narrare la marginalità e le differenze.
Giornate Bastarde: questo è il titolo più sobrio di questa edizione in tempo di emergenza sanitaria che, seppur in formato ridotto, è riuscita a conservare il consueto impianto.

Napucalisse, dell’autore-drammaturgo Mimmo Borrelli con musiche dal vivo eseguite da Antonio Della Ragione; Siede la terra dei Maniaci d’Amore; Se questo è Levi della Compagnia Fanny & Alexander diretto da Luigi De Angelis, per la drammaturgia di Chiara Lagani, con Andrea Argentieri (lo spettacolo è vincitore di ben due Premi Ubu: il Premio Speciale Ubu 2019 e il Premio Ubu 2019 miglior attore o perfomer under 35 ad Andrea Argentieri): ecco il ristretto ma notevole corpus di spettacoli “in presenza” del festival, tutti e tre per la prima volta a Palermo.
Il “teatro partecipato” di Mimmo Sorrentino e delle sue attrici detenute nella sezione di alta sicurezza del carcere di Vigevano, sarà presente sotto forma di film documentario: in collaborazione con il Cinema Rouge et Noir e con il Sicilia Queer filmfest, verrà proiettato il lungometraggio di Bruno Oliviero, Cattività, che racconta la preparazione di tre spettacoli del progetto Educarsi alla libertà.
Due gli incontri di confronto e scambio con i protagonisti della drammaturgia contemporanea: la presentazione del libro ’Nzularchia di Mimmo Borrelli che dialogherà con il regista teatrale Umberto Cantone e leggerà brani scelti dal libro accompagnati dalle musiche di Antonio Della Ragione; l’incontro pubblico promosso da Arcipelago Sicilia – Osservatorio dei festival della scena contemporanea dal titolo Proposte operative per il futuro dei Festival in Sicilia con i rappresentanti dei festival siciliani alla presenza dell’Assessore Regionale al Turismo, Sport e Spettacolo.

Mimmo Borrelli – Napucalisse

Giovanni Lo Monaco, il Festival Teatro Bastardo 2020 prende il via in un momento in cui la pandemia non è certo archiviata, anzi è in una fase di pericolosa recrudescenza. Quanta “bastardaggine” ci è voluta per organizzare la rassegna, pur se in una versione “slim”? Quali passaggi emotivi (oltre che logistici) ti hanno portato a non fermare questo importante appuntamento?

Teatro Bastardo, prima di essere un festival, è un pensiero pandemico, virulento. È una forma di teatro cospirativo che nasce ai margini del teatro mainstream e che riflette sulle marginalità per dar loro rilievo. L’idea del contagio è congenita al festival e quello che succede fuori non poteva che portarci a operare una riflessione su quanto oggi sia opportuno che la cultura, il teatro, l’arte siano presenti sulla scena avendo la capacità di risignificare in modo diverso il presente e ciò che ci circonda.

La virulenza del contagio che si diffonde, la curva pandemica che s’impenna ci dovrebbero portare a valorizzare ancora di più i contributi culturali provenienti dal panorama del pensiero minoritario, un contro-canto sovversivo indispensabile soprattutto di questi tempi. Invece, a mio parere, ciò non avviene, almeno non come dovrebbe. Quanta bastardaggine ci vuole per realizzare un simile sovvertimento in pillole di teatro? Basta quella di ogni festival che possiede quest’indice di pericolosità, la follia di ogni artista scomodo, di ogni compagnia temeraria, di ogni essere umano che crede nelle proprie idee e che è capace di portarle avanti con coraggio e con un pizzico di incoscienza.

Maniaci d’Amore – Siede la terra – Foto Luca Del Pia

Mi colpisce che mi si chieda dei passaggi emotivi che hanno portato noi di Teatro Bastardo a non fermarci. Le emozioni nascono dalla pancia, sono robe che attorcigliano le budella. L’Italia in questi ultimi tempi mi pare che si sia fatta guidare un po’ troppo dalle emozioni, rischiando di diventare pericolosamente sentimentale. Teatro Bastardo è un pensiero, come dicevo, un’idea, e come tale nasce dalla testa. Dalla testa di noi – e siamo in tanti – che crediamo alla necessità di un altro teatro, un teatro di trincea, un teatro che non sia puro intrattenimento, ma un pensiero scomodo, che stordisce, un teatro capace di porsi delle domande che favoriscano in ognuno una crisi endemica e pervasiva.

La pandemia ha messo a nudo ancor più la fragilità di un certo teatro di resistenza e di militanza, ma allo stesso tempo ne ha mostrato la necessarietà per nutrire un determinato pubblico e per tenere vivo quel sistema-teatro che solo di teatro “stabile” morirebbe. Con quale animo hai vissuto le contraddizioni che il lockdown ha fatto emergere e quali risorse ne hai tratto?

Non voglio apparire più realista del re, ma ho creduto – con una buona dose di scetticismo – che le contraddizioni nate durante il periodo di isolamento fossero solo fuochi di paglia, un momento effimero fatto di buoni propositi e di belle intenzioni che di fatto si sono volatilizzate in un soffio. Credevamo che alla penuria di cultura vissuta durante la prima ondata dovesse corrispondere necessariamente un investimento maggiore sul teatro da parte delle istituzioni. Ci siamo illusi: purtroppo così non è stato. Le misure restrittive sono diventate l’alibi perfetto per assottigliare i finanziamenti alle piccole realtà teatrali – seguendo di fatto un trend che ormai dura da anni – e per foraggiare maggiormente i Teatri stabili. I festival sono stati lasciati a vivacchiare senza una prospettiva chiara per il futuro e i Teatri, che in passato li hanno supportati, li hanno lasciati alla deriva senza quel sostegno prezioso che avrebbe invece fatto la differenza.

Tuttavia credo che alla fine, se l’andazzo continua a essere questo, la colpa sia un po’ di tutti, anche di Teatro Bastardo e di tutti quei festival inconsapevolmente “conniventi” con questo sistema. Questo aspetto meriterebbe una seria riflessione pubblica e un confronto approfondito fra istituzioni e operatori del teatro. Di certo, se permangono queste condizioni molte piccole realtà come Teatro Bastardo saranno costrette a fermarsi qui. La politica dovrebbe fare al riguardo scelte forti e radicali. E se questo andrà a discapito di Teatro Bastardo, pazienza.

Andrea Argentieri – Se questo è Levi – Foto Enrico Fedrigoli

Quanto l’attuale momento ha influito – oltre che per la quantità – nella scelta delle compagnie e degli spettacoli da presentare o degli autori/attori da invitare? Ci vuoi raccontare brevemente la genesi di questa edizione?

Per raccontare la genesi di questa edizione dovrei parlare delle varie fasi di un sogno molto agitato, spesso interrotto e poi ripreso nonostante e contro tutto. Una storia troppo lunga per potere essere spiegata qui come meriterebbe. Dirò solamente che, nonostante i tagli economici subiti, questa Sesta edizione di Teatro Bastardo è riuscita a mantenere una piccola e straordinaria porzione della squadra originariamente sognata e che orgogliosamente ospitiamo in questa breve edizione 2020: da Mimmo Borrelli, che “inseguiamo” ormai da anni, ai Fanny & Alexander e ai Maniaci d’Amore, per la seconda volta ospiti del festival.

Giovanni, che idea ti sei fatta del futuro? Pensi che le criticità del mondo del teatro e la condizione di precarietà degli operatori dello spettacolo emerse con la pandemia possano portare a un cambiamento della politica culturale?  

Sono molto scettico al riguardo. Da nichilista attivo ormai credo poco nel futuro perché il nostro è un futuro privo di scopo. Tuttavia abbiamo una battaglia importante da condurre nel qui ed ora e su questo non dobbiamo mollare.

Il futuro di chi spera che le cose cambino e che la salvezza sia nel domani è il futuro illusorio di un habitus mentale protocristiano. E questo vale sia per il credente che per l’ateo. Penso che se ci concentrassimo di più sul presente, incominciando col dire ‘basta’ alle politiche che liquidano la cultura con ‘un contentino’, già questo potrebbe rappresentare un buon inizio. Il secondo passo poi dovrebbe essere quello di pretendere bandi dai criteri chiari, oggettivi e inequivocabili che selezionino progetti di alto profilo qualitativo in modo da promuovere una vera cultura del rinnovamento.
Se si riuscissero a segnare questi due traguardi, ciò sarebbe un segno tangibile di cambiamento e di una nuova coscienza professionale e artistica. Succederà?

 

GIORNATE BASTARDE                                                                                                             Palermo, 7 – 11 ottobre 2020