LEONARDO DELFANTI | Una riforma della nostra esistenza dovrebbe passare dalla capacità di accettare la nostra sofferenza.
Questo crede Lucrezia C. Gabrieli performer e coreografa di Stretching One’s Arms Again che sarà presentato in forma di streaming sabato 23 gennaio alle 21.00 presso la piattaforma SONAR messa a disposizione da Versiliadanza.

La produzione della giovane ma determinata coreografa veronese nasce a fine 2019 durante il percorso di Anghiari Dance Hub e matura in questo particolare 2020 (a causa o per merito della pandemia) grazie alle residenze presso il CID – Centro Internazionale della Danza, Associazione Sosta Palmizi e Versiliadanza, a cui si aggiungono le collaborazioni con Auditorium Ballet di Verona e Associazione Culturale RicercArti, che offrono sale e spazi per le prime elaborazioni dello studio, TCVI di Vicenza/Danza in Rete OFF dove Lucrezia avrebbe dovuto presentare il lavoro in forma di studio (evento sospeso a causa del Covid) e Kilowatt Festival dove lo scorso Luglio è stata presentata l’anteprima.

Un processo intenso che Lucrezia C. Gabrieli che ha condiviso con Sofia Magnani, non solo interprete ma anche supporto nella fase creativa.
L’artista vuole trattare le dinamiche legate alla sofferenza derivanti dall’approfondimento della relazione, il disincanto nella fiducia di cui siamo vittime e l’abbandono alla superficialità per non soffrire. Questa sofferenza genera spazio vuoto, cuori vuoti. Affrontare questa condizione è quanto lei e i suoi colleghi si sono proposti di fare in Streatching one’s arms again.

Come nasce Stretching one’s arms again e come si è evoluto il tuo processo creativo dal 2019 fino alla scelta dello streaming?

L’idea del titolo è nata da una citazione di Mark Rotko, pittore astrattista morto suicida nel 1980. Secondo lui la «questione non è di essere astrattisti o rappresentativi ma è porre fine al silenzio, respirare e tendere nuovamente le braccia». Respirare e cercare nuovamente il senso della vita, oltre il silenzio che atrofizza da dentro il respiro e soffoca la volontà di spostare un arto. Parallelamente la lunga pausa a cui siamo stati sottoposti non è per me negazione di vita quanto un’occasione per riorganizzarla. La sfida e la scelta di presentare il lavoro in streamig è stata per me capirlo, elaborarlo con serenità sempre osservando quanto la circondava.

Questo lavoro gioca sui colori delle vivaci tele del triste pittore intrecciate alla musica di un altro malinconico genio quale Mozart. Quali reazioni vorresti suscitare nel pubblico?

Vorrei trasmettere leggerezza e serenità. Serenade in D, il brano scelto per essere distorto, allungato, e strecciato il più possibile con la collaborazione prima di Giacomo Ceschi e poi Giacomo Calli (del collettivo 42stems), è il fil rouge che intreccia danza, musica, scena e video alla disarmante violenza del rosso nelle tele del pittore su un placide pennellate di blu, giallo e verde. Inizialmente è stato difficile trovare la chiave per riportare tanta forza sulla scena ma alla fine accogliere senza timore la sofferenza si è rivelata la chiave creativa e spirituale per portare a termine l’opera. Meglio soffrire che essere indifferenti.

Pare infatti che il lavoro si sviluppi sulla linea della mancanza di definizione, dell’accettazione della vulnerabilità individuale, della perdita di riferimti… 

Come ci veniva insegnata la danza una volta, possiamo danzare vicine e assieme, seguendo la musica… senza essere realmente indispensabili l’una all’altra. Ma poi la danza è evoluta, e noi? È infatti nel progressivo sviluppo dell’ascolto tra me e Sofia in scena che il pezzo prende a tutti gli effetti corpo: senza pensare a cosa facciamo.
I corpi scelgono di condividere un ritmo o un andamento le cui caratterstiche non elidono l’individualità ma anzi l’esaltano: propio l’attenzione sull’altra ci permette di muoverci senza pensare a come ci stiamo muovendo, allo stesso modo facciamo con il suono, togliamo il focus da noi e concentrandoci su altro, lasciamo al corpo la possibilità di esprimersi, e non al ragionamento. Seppur mai incontrandosi ma solo dandosi degli appuntamenti musicali o gestuali impariamo a lasciarci andare, a confidare l’una nell’altra giocando con le regole della composizione creativa senza abbandonarne i principi stilistici della danza, quanto piuttosto riorganizzandoli organicamente in una nuova realtà dove l’attenzione per l’altro non costituisce una limitazione alla nostra liberà gestuale.

La scelta dello streaming, arriva dopo una lunga riflessione: sebbene esso «non sostituirà mai il teatro», sembra che l’immobilità che tutti noi sentiamo andasse affrontata. Come vi siete posti?

Citando Kurt Vonnegut secondo cui «lo scopo dell’artista è far piacere di più la vita alla gente», per descrivere la scelta di sacrificare un po’ di danza, irrisoria, se contrapposta alla possibilità di regalare un’occasione di gioia o semplice serenità in questo difficile momento per tutti noi. Pensare e montare, assieme a Francesco Dejaco, uno spettacolo di danza è stata un’espereinza di punteggiatura, una “virgola” del processo creativo che sebbene sacrifichi la libera fruizione della coreografia alla quale il teatro ci ha abituato, offre l’occasione di rielaborare il movimento. L’occhio della telecamera infatti ritaglia, riforma e ristruttura il messaggio come questa vita che sembra ormai eternamente da riconfigurare nell’eternità dell’attesa a cui tutti siamo sottoposti. Bisogna temere il vuoto non la sofferenza.

Lo sguardo lieve di Lucrezia C. Gabrieli è quello di un’artista che osserva una società sempre disconnessa aprirsi all’apatia disperata, ma che non per questo si abbandona a una critica feroce. Un corpo in scena non ha bisogno di essere toccato per essere connesso a un altro così come una relazione non necessita di vicinanza per esistere e una critica non ha bisogno di essere pronunciata per essere compresa; forse, un sottile sorriso potrà ridestarci alla vita.

«Nel momento del buio c’è bisogno di aiuto» e un braccio che ruota su di un corpo immobile può trovare la giusta frequenza per ricaricare il nostro dialogo, il nostro movimento. Allungandoci, tendando di raggiungerci ancora una volta diciamo di no alla paura del contatto. La stretta, nella scena come nella vita, non ha bisogno del tocco ma della dolce tensione verso l’avvenire più che della nevrotica forza della rabbia disperata. Giochiamo, sembra dire per tutti i 45 minuti dello streaming, giochiamo e ricostruiamo assieme.

STRETCHING ONE’S ARM AGAIN

ideazione e coreografia Lucrezia C. Gabrieli
danzatrici Sofia Magnani, Lucrezia C. Gabrieli
musica di Giacomo Calli e Giacomo Ceschi su Serenade in D, K.250 Haffner di Wolfgang Amadeus Mozart
sguardo esterno Maria Cargnelli
riprese video: Francesco Dejaco, Gabriele Termine
montaggio video: Francesco Dejaco, Lucrezia C. Gabrieli
produzione Anghiari Dance Hub, Versiliadanza
co-produzione CID – Centro Internazionale della Danza con il sostegno di Associazione Sosta Palmizi
con la collaborazione di Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, Auditorium Ballet, Associazione Culturale RicercArti

Progetto selezionato per la Vetrina della giovane danza d’autore 2020 – azione del Network Anticorpi XL coordinata dall’Associazione Cantieri Danza