MATTEO BRIGHENTI | “Com’è andata a scuola oggi?”. “Bene, ho fatto il pigro sul banco”. Nelle settimane scorse i genitori con figli che vanno alle elementari e alle medie di Prato hanno avuto un dialogo paragonabile a questo. L’incredibile è che simili risposte non raccontavano di indifferenza, di svogliatezza o di una qualche forma di disagio scolastico, come si sarebbe portati a pensare, ma di un progetto formativo: il laboratorio/spettacolo online all’Inferno dei Kinkaleri. A partire dalla Divina Commedia, a 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco, hanno sfruttato il potenziale offerto dalle piattaforme digitali per realizzare un viaggio immaginario attraverso un percorso interattivo a più livelli, in una visione di progressiva trasformazione della didattica. Una DaD intesa, però, come Danza a Distanza. «Incontrare l’inaspettato, l’inatteso che fonda il fare teatro è stato per noi la vera sorpresa – afferma la pluripremiata compagnia di sperimentazione teatrale – la ricerca era proprio trovare il modo di poter “toccare” qualcuno senza essere presente, senza quella magia unica che è la scena in presenza. all’Inferno – continuano – ci ha lasciato in dote la possibilità di poterci aprire a una sperimentazione che non faccia a meno dell’elemento umano e del teatro inteso come condivisione di intensità».

all’Inferno. Foto di Gaia Fronzaroli

Infatti, l’esplorazione dell’Inferno ha coinvolto i giovani in una discesa fisica tra i diversi gironi: il corpo è una componente centrale, di più, è una condizione fondamentale del racconto dantesco, a cominciare dall’ambigua presenza del poeta, unico vivo in mezzo a schiere di morti. Dopo una prima parte narrativa sul contesto storico-culturale e sulla geografia di un’impresa letteraria che ha cercato, per la prima volta, di dare forma a un universo indescrivibile, all’Inferno si è aperto all’esperienza diretta, trascinando le ragazze e i ragazzi in un gioco di copia fisica e continua reinvenzione del gesto come momento attivo dell’incontro. Il corpo parla anche se non ha voce né parole. «Il “banco-palcoscenico” ha accolto con spiccato realismo le diverse fisicità delle pene infernali – spiegano i Kinkaleri – ogni contrappasso, drammatizzazione esplicita dei peccati commessi, è stato riprodotto per mimesi logica o per ironico contrasto, fino ad arrivare a ritmo serrato a un’ardita coreografia infernale».
Conti, Mazzoni, Monaco, rispondono a Pac in un momento di pausa dalle prove di Inferno, il loro nuovo lavoro dal vivo collegato al laboratorio il cui debutto al Teatro Fabbricone, previsto inizialmente per fine marzo, è stato posticipato al 22-24 aprile, Covid-19 permettendo. «Come prima idea c’è la voglia di restituire la gamma emotiva di un’avventura qual è quella vissuta da Dante. Crediamo – ragionano – che all’Inferno sia stata una felice intuizione che dimostra che, al di là delle contingenze, ogni mezzo utilizzato fornisce delle occasioni. Lo spettacolo per bambini dagli otto anni in su, comunque, sarà un’altra cosa».

Kinkaleri (da sinistra, Marco Mazzoni, Massimo Conti, Gina Monaco). Foto di Jacopo Benassi

In mezzo al guado di un “tempo sospeso” che dura da anno – e non accenna a finire – la prima domanda che vi faccio è semplice, ma necessaria: come state?

Stiamo tutti bene, grazie, in uno stato di sfinimento che crediamo riguardi molti, ma anche con una certa dose di disperazione. Esagerazioni a parte, siamo disorientati, come tutti. Stiamo provando a continuare a essere attivi e curiosi di quello che accade e, soprattutto, stiamo cercando di capire quali margini si possono aprire in un futuro prossimo.

Oggi come oggi siamo ancora padroni delle nostre azioni, dei nostri desideri, dei nostri stessi pensieri? Voi riuscite a esserlo?

Non abbiamo altro da poter difendere o comunque da poter reclamare in mezzo ai tanti dubbi di questo periodo. Sicuramente la pandemia ha chiuso un’era moribonda da tempo e il colpo secco che ci ha accumunato ha fatto sì che per tutti è arrivata l’ora di farsi un po’ di domande. Quello che accadrà dipenderà molto dalla moltitudine umana, se riuscirà a prendere in mano, in qualche modo, la possibilità di immaginare cose diverse da quelle che ci hanno guidato fino a ora. Può essere retorica, ma anche no.

Che cosa ci chiede questo momento di crisi e rivoluzione che non possiamo permetterci di non ascoltare, altrimenti sarà stato davvero tutto inutile?

Crediamo che sia fondamentale tornare a fare domande anche e, forse, soprattutto domande che non hanno risposta, perché significa tornare a mettere in discussione uno stato di cose che è ormai giunto alla fine e ha bisogno di cambiamenti.

all’Inferno. Foto di Gaia Fronzaroli

State lavorando sull’Inferno di Dante. Se fossimo in un girone dantesco, in quale saremmo?

Saremmo davanti a Lucifero ad ammirare finalmente il fondo oscuro di ogni coscienza contemporanea che si riconosce in un fallimento totale, scivolando sopra un ghiaccio bollente, sperando di svegliarci dall’incubo in cui siamo precipitati e tentando di venirne espulsi, “dal retro” sì, ma per “riveder le stelle”.

Il vostro sarà uno spettacolo di teatro ragazzi. Dante, la sua lingua, la sua scrittura sembrano agli antipodi della I-Generation, la Generazione delle reti, ossia i nati nell’era di Internet, sempre connessi sul Web. Sono mondi effettivamente distanti? Quali sono i modi, le pratiche, gli strumenti per avvicinarli?

Noi non abbiamo una formazione pedagogica per il teatro ragazzi, ci siamo interessati a esso perché ci incuriosiva la possibilità di sperimentare delle modalità di messa in scena che introducessero effettivamente i ragazzi al “mistero” del teatro. Oggi questo mistero, proprio per la generazione delle reti, resta attivo e fertile perché inusuale e poco frequentato, e proprio per questo immensamente potente. Di contro, il nostro fare parte da un’ammirazione estrema per la potenza del mondo infantile e delle sue infinite possibilità. Non ci siamo mai immedesimati nel bambino, in ciò che vive quotidianamente, ma abbiamo utilizzato la sua immaginazione che non ha bisogno di aggiornamenti: è sempre presente, con qualunque mezzo tu la voglia sperimentare. Ci interessa il poter vivere e abitare mondi simultaneamente, costruire e distruggere, soprattutto all’interno del linguaggio della scena dal vivo, cercando, come nel caso della Trilogia Puccini, di offrire a chi, per la prima volta, entra in un teatro lo stupore del recitar cantando o il potere emotivo del melodramma. Il nostro desiderio di ricerca principale è dare ai giovani qualcosa, insomma, che non potranno mai trovare in altri luoghi se non in teatro: li riguarda molto più da vicino di quanto possa sembrare.

all’Inferno. Foto di Gaia Fronzaroli

Il vostro Inferno non è ancora andato in scena. Il progetto, però, si è già aperto al palcoscenico online per il laboratorio/spettacolo all’Inferno. Come siete arrivati a questa decisione? È stato il vostro modo, per così dire, di declinare l’annosa questione del teatro in streaming, dal momento che la visione era aperta anche agli esterni?

I laboratori sono di solito previsti nel momento in cui si pensa a uno spettacolo che i bambini andranno a vedere. L’organizzazione del teatro ragazzi della Fondazione Teatro Metastasio è molto attenta a programmare non solo degli spettacoli, ma anche delle occasioni che possono rendere il bambino diversamente consapevole della visione. Anche in questo caso, quindi, era contemplato un laboratorio da fare nelle scuole. Le contingenze che tutti ormai viviamo ci hanno costretto a un laboratorio online. Una simile questione oggettiva – una sorta di sostituzione di realtà – ci ha obbligato a interrogarci su come poter fare un laboratorio non solo utile, ma che provasse anche a cercare di trovare una relazione, che non accettasse la passività di base del mezzo online. Ci ha spinto, cioè, a cercare di stimolare una modalità di attuazione del laboratorio in modo da poter toccare concretamente qualcuno che non può nemmeno avvicinarsi al proprio compagno di classe. Il laboratorio non è stato pensato per poter essere visto anche da altri, abbiamo chiesto noi il permesso di poterlo condividere, perché ci sembrava importante poterlo fare osservare da occhi esterni che utilizzassero lo stesso mezzo, ma per vedere qualche cosa di diverso, qualcosa in più. Una relazione che cerca di stimolarci, solleticarci in ciò che manca: il corpo.

Qual era il vostro obiettivo? Accrescere, per l’appunto, la consapevolezza delle infinite possibilità del proprio corpo?

Il nostro obbiettivo era quello di rinnovare nel bambino, soprattutto in una istituzione come quella scolastica, la percezione che la sua presenza ha bisogno di scalciare, scendere sotto un banco e poi sedercisi sopra come gesto di apprendimento “sovversivo” perché creativo, ovvero perché compiuto con tutta la sua presenza, non solo mentale, ma anche fisica. Danzare le pene dell’Inferno, dopo un percorso che ha toccato tutta una serie di possibilità di coinvolgimento, significa aver attraversato delle tappe discorsive, rappresentative, tramite delle nozioni che sono arrivate fino al corpo, per farlo danzare e possibilmente sudare come non gli accadeva da mesi.

all’Inferno. Foto di Gaia Fronzaroli

Alla luce anche della recente scomparsa di Lawrence Ferlinghetti, la mente corre al progetto All! e all’indagine sulla radicalità della propria presenza che aveva come riferimento la figura di William Seward Burroughs.

Tutta la saga di All! è stata per noi una sorta di definitiva dichiarazione di libertà espressiva. Avevamo deciso di occuparci di tutto e di produrre in ogni condizione possibile, con o senza produttori, utilizzando collaborazioni, occasioni, cercando di realizzare desideri come quello dell’incontro con il poeta John Giorno, anche lui scomparso di recente, qualche mese prima di Ferlinghetti. Nell’affermare queste cose dichiaravamo che il corpo è un atto creativo, politico e di frontiera. Si trattava di recuperare dinamiche e pratiche di una certa cultura sotterranea, per esporle come punto di inizio per una rifondazione della relazione tra il corpo e le forze a cui è esposto. Crediamo che, soprattutto dopo questo anno, con tutto quello che è successo al corpo, sia tuttora un punto di partenza ineludibile.

Come siete stati accolti nelle varie classi?

Il laboratorio ha avuto una bella risposta dagli insegnanti e dai bambini che si sono sentiti totalmente coinvolti in questo viaggio all’Inferno. Riguardo ai bambini è davvero un momento molto difficile per loro, costretti a chiudere in sé stessi tutta una serie di relazioni con l’altro. Tutto ciò è ben visibile anche a distanza. La risposta importante che abbiamo avuto da loro testimonia proprio questa sofferenza, prima di tutto fisica, nel pensarsi in relazione con il mondo.

all’Inferno. Foto di Gaia Fronzaroli

Rifarete qualcosa di simile, magari anche quando i teatri riapriranno definitivamente?

Sì, crediamo di aver aperto una possibilità di fruizione creativa in una relazione a distanza e di didattica alternativa, con un mezzo nuovo dalle possibilità interessanti da indagare.

Che cosa vi ha lasciato all’Inferno in termini artistici e umani?

Che le cose non hanno mai un unico segno e che con ogni mezzo possiamo affinare delle possibilità di incontro che non siano banali scambi di informazioni (ma questo valeva anche prima, pensando alla scena dal vivo). Umanamente è stato bello tornare a essere in scena, anche se in una bolla, e sentire una risposta, sentire che qualcosa è successo comunque.

Qual è la lezione che i ragazzi vi hanno insegnato?

Che la vita è adesione alle emozioni sentite, con il corpo e con la mente. Il teatro è sempre stato e resta un meraviglioso gioco.


all’INFERNO

progetto, realizzazione Kinkaleri / Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco
con Marco Mazzoni
produzione Kinkaleri – 2021
in collaborazione con Fondazione Toscana Spettacolo Onlus, Fondazione Teatro Metastasio