LAURA NOVELLI  | «La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare», scrive Pietro Calamandrei nei suoi celebri Discorsi sulla Costituzione. E non c’è dubbio che lo stesso valga anche per la cultura. Nei lunghi mesi di silenzio cui la pandemia ha condannato ogni forma di attività culturale e di spettacolo dal vivo ce ne siamo accorti in modo violento, avvertendo un vuoto, una mancanza, una nostalgia a tratti insopportabili. Certamente molti operatori del settore hanno avuto la capacità di non arrendersi, di inventare nuovi format, di sperimentare linguaggi svincolati dalla necessità della presenza. Oppure di rivolgersi al passato, di cercare nella Storia qualche zona franca da esplorare, da far conoscere, da rendere viva, il più delle volte proseguendo un percorso avviato da tempo. Insomma, il Covid-19 ha senza dubbio congelato le azioni culturali sul territorio ma, in molti casi, non ha interrotto quelle del territorio. 

E tanto più ciò è potuto succedere in quelle realtà piccole e provinciali dove il rapporto tra progettualità e fruizione risulta meno complesso rispetto a quanto capiti nelle grandi città. Prendiamo ad esempio il Centro Studi Ercole Nardi che opera a Poggio Mirteto (Rieti) e nella Bassa Sabina in stretta sinergia con il Museo Civico omonimo e l’Associazione Amici del Museo. L’ultima fatica del Centro è stata la pubblicazione di un corposo volume dedicato al teatro di padre Bernardino Stefonio, importante gesuita attivo tra 1500 e 1600 e originario proprio di Poggio Mirteto.
Dopo il Crispus uscito per Bulzoni nel 1998 (curatela di Lucia Strappini), questa Flavia Tragoedia pubblicata ora da Esperia con edizione, introduzione e traduzione di Mirella Saulini, contribuisce in modo significativo a ricostruire il valore di una figura e di una drammaturgia nevralgiche nell’ambito non solo del teatro gesuitico ma dell’intera civiltà culturale romana e laziale dell’età controriformistica. Valore che anzi travalica i confini regionali e nazionali per lasciare un segno quanto mai forte nella cultura europea tout-court. Siamo infatti in presenza di una tragedia «martirologica e storica» che, andata in scena per la prima volta presso il Collegio Romano nel 1600 (anno del giubileo indetto da papa Clemente VIII) e scritta ovviamente in latino, conferma la grande rilevanza della “riforma” stefoniana: «Egli raccoglie l’eredità classica – scrive Saulini nella documentata introduzione al testo – inserendosi in tal modo, come afferma Marc Fumaroli, nella tradizione del teatro umanistico ma nelle forme della tragedia antica cala al contempo un contenuto storico (e questa è una novità per il teatro dei Gesuiti) e un messaggio nuovo, quello cristiano». 

Ma chi era Bernardino Stefonio? Quanti lo conoscono o ne hanno sentito parlare? “Era una personalità molto illustre nel ‘600, soprattutto nell’ambiente delle scuole cattoliche e dei collegi gesuitici ma sconosciuta, allora come oggi, alla grande massa”, ci racconta Andrea Leopaldi, referente dell’ufficio Cultura del Comune e responsabile del Museo: “Da qualche anno ci interessiamo ai personaggi più emblematici della Sabina, per riscoprire quell’identità culturale e locale di cui si è persa traccia, proprio come nel caso di Stefonio. Grazie alla collaborazione con la professoressa Saulini, abbiamo potuto approfondire la sua opera e abbiamo scoperto anche lettere in cui ricorda il Monte Soratte, il monte identitario della nostra regione, dimostrando un forte legame con la sua terra. Di qui il nostro desiderio di farlo conoscere: dopo un primo volume di carattere generale, pubblicato qualche anno fa, ora arriva questa importante nuova pubblicazione di cui siamo davvero felici”.
Coraggiosa è stata anche la scommessa della casa editrice. “Devo riconosce – riprende Leopaldi – che possiamo contare su una casa editrice molto sensibile, la Espera, con la quale fino a oggi abbiamo mandato in stampa ben quattordici volumi. Per quanto riguarda le vendite, la Flavia sta andando molto bene, soprattutto in Inghilterra e in Francia. È incredibile pensare come all’estero ci siano così tanti appassionati di un certo nostro teatro. D’altronde, tra i maggiori studiosi di Stefonio, non possiamo non annoverare il grande Marc Fumaroli, spesso citato dalla Saulini”. 

Altro motivo di orgoglio è il vivo interesse per la cultura che il Comune stesso dimostra da sempre: “Ci tengo, inoltre, a dire che la nostra attività fa leva anche su un’amministrazione molto attenta, la quale ha sostenuto con estrema energia questa nostra ultima avventura. Dirò di più: sempre allo scopo di rendere Stefonio un personaggio familiare alla cittadinanza, si è deciso di intitolargli una sala polivalente ricavata da una chiesa del XV secolo ormai sconsacrata. Credo sia un passo importante, perchè in questo modo Stefonio entra nella consuetudine, nella quotidianità della gente”.
E non è tutto. Per avvicinare ancor più questa figura alla realtà contemporanea, il Comune ha indetto una bella iniziativa per i più piccoli. “Abbiamo conivolto le scuole medie in un concorso dal titolo Dai un volto a Bernardino Stefonio. Partendo da alcuni documenti originali in cui abbiamo descrizioni molto dettagliate della sua corporatura, i ragazzi si sono ingegnati a immaginare il “loro” Stefonio e il lavoro del vincitore diventerà un logo per la sala a lui intitolata. C’è stata tanta partecipazione e ciò ci rende particolarmente orgogliosi visto che si tratta di giovani”.  
Le iniziative legate al gesuita e alla promozione del libro proseguiranno anche nei prossimi mesi: “A dicembre del 2020 – spiega ancora Leopaldi – sono ricorsi i seicento anni dalla morte di Stefonio (era l’8 dicembre 1620) e, se non ci fosse stata l’emergenza sanitaria, avremmo fatto senz’altro un convegno. Adesso che in Italia le manifestazioni culturali stanno ripartendo quel progetto sarà sicuramente ripreso e realizzato”. Insieme a molte altre attività interrotte dal Covid. Parola d’ordine: eclettismo. D’altronde, sia il Museo sia il Centro sono intitolati a Ercole Nardi, altra figura di grande pregio che della poliedricità fece la sua ragione di vita. “Era un ricercatore, per così dire, “principe” – riprende Leopaldi – che visse a Poggio nel XIX secolo e ne fu sindaco per ben ventisette anni: medico con una grande passione per l’archeologia, lavorò come ispettore dei beni archeologici e scrisse innumerevoli studi sul nostro territorio. Ci ha lasciato anche due importanti manoscritti che avremmo intenzione di pubblicare. Sarà la nostra prossima fatica editoriale”.

Eclettismo da queste parti vuol dire però, innanzitutto, musica. “Sì, la musica è da sempre un’arte molto significativa nel tessuto sociale della Sabina. Già nel 1500 a Poggio c’era una scuola per maestri di cappella e per coro e, nel XIX secolo, la tradizione della banda assunse un’importanza davvero rilevante. La Sabina, inoltre, è da sempre famosa per i suoi fiati e sono tanti i talenti che iniziano a suonare nelle bande dei nostri centri per poi spiccare il volo verso orchestre nazionali o internazionali”. Proprio per tutelare tutto questo antico patrimonio musicale, nel 1996 venne istituito il Museo Civico e qualche anno dopo si affiancarono il Centro e l’Associazione. Subito dopo la nascita del Museo, si capì che rischiava di non accontentare le richieste dei cittadini, desiderosi di avere uno spazio di incontro e di dibattito, un luogo che proponesse iniziative in grado di metterli  in contatto con il loro territorio e la loro storia. Ecco dunque la creazione del Centro Studi e, ancor prima, di un’Associazione chiamata a occuparsi di progetti popolari, semplici, aperti a un pubblico quanto più possibile eterogeneo: rassegne cinematografiche e teatrali, presentazioni di libri, conferenze. Sempre, però, di alto livello, se solo pensiamo ad appuntamenti come la serie di letture pirandelliane curata da Andrea Renzi, il ciclo di film introdotti da Amedeo Fago, Erri De Luca in persona a parlare del suo La natura esposta, e ovviamente – immancabilmente – la conferenza di Mirella Saulini sul concittadino Stefonio. E si tratta solo di qualche esempio.  

“La pandemia – ci dice Leopaldi – ha bloccato questo fiume di iniziative anche se qualcosa abbiamo proposto on-line. Ora, vista la riapertura annunciata lo scorso mese, stiamo progettando nuove attività e speriamo di avere il consueto successo. Fino ad oggi, infatti, i cittadini di Poggio e del territorio vicino ci hanno seguito sempre con molto interesse. Certamente in questo momento bisogna lavorare per riportarli verso la cultura e gli eventi, magari iniziando col coinvolgere realtà che possano metterci a disposizione spazi esterni e luoghi dove far incontrare natura ed arte”.  

L’operosità della ripartenza post-Covid qui, insomma, già si assapora con decisione (basti dare uno sguardo alla voce “cultura e manifestazioni” nel sito https://www.comune.poggiomirteto.ri.it/) e fa ben sperare che anche in altri piccoli centri della nostra splendida Penisola stia succedendo lo stesso. Perchè si riparte sempre da ciò che ci è prossimo, familiare, affine. Tanto più se può essere una finestra affacciata su ciò che, viceversa, ci sembra lontano e diverso.