RENZO FRANCABANDERA | Notevole la selezione operata da Velia Papa, direttore artistico di Marche Teatro, per la stagione 21-22 di danza, con appuntamenti nazionali e internazionali di primissimo livello. A metà novembre è stata la volta dell’acclamato coreografo israeliano Hofesh Schecther che ha proposto sul palcoscenico del Teatro delle Muse ad Ancona lo spettacolo che lo ha reso celebre: Political mother unplugged.
Marche Teatro, che ha già collaborato nel 2017 con Hofesh Shechter alla coproduzione internazionale di Grand Finale e nel 2019 a quella di Double Murder, nella stagione di danza 2018/2019 ha presentato lo spettacolo Show, e in questa stagione ha presentato ai propri spettatori in esclusiva regionale il ritorno di questo storico lavoro, rivisitato dall’artista dopo un decennio dalla creazione di questa coreografia, affidandone l’esecuzione alla sua nuova e più giovane compagnia.

Il direttore artistico della Hofesh Shechter Company, che da lui prende il nome, dirige dal 2008, data della fondazione, la compagnia residente al Brighton Dome, ed è artista associato al Sadler’s Wells Theater di Londra: un artista riconosciuto come uno dei maggiori e più sensibili coreografi contemporanei, noto non solo per i suoi segni scenici, ma anche per la composizione di larga parte delle partiture musicali con le quali completa il gesto danzato.

L’anno scorso la compagnia ha festeggiato il decimo anniversario di Political Mother ed ha deciso di crearne una nuova e potente versione per il rinnovato ensemble Shechter II, scelti tra i più giovani e talentuosi danzatori della scena internazionale, basandosi su un’originale composizione musicale a cura dello stesso Shechter: Political Mother Unplugged. Per la sua compagnia, infatti, Shechter non ha mai smesso di creare e sviluppare progetti, e tra i più significativi va segnalata l’ideazione di Shechter II, compagnia giovanile concepita come vivaio professionale biennale per giovani artisti selezionati nel mondo di età compresa tra i 18 e 25 anni.

Political Mother Unplugged è un omaggio dovuto a quello che fu a giusta ragione dieci anni fa definito come audio visual marvel, che portò il coreografo a diventare artista associato al prestigioso Sadler’s Wells di Londra, poi invitato al Nederlands Dans Theater I, al Ballet de l’Opéra de Paris, al Teatro alla Scala di Milano per un allestimento coreografato di Orfeo Euridice di Gluck. 
Per loro appositamente il coreografo concepisce non solo nuovi lavori, ma spesso ridisegna, come in questo caso, anche titoli del suo repertorio.

Composto da più episodi brevi, alcuni lunghi solo pochi secondi e intervallati da video proiettati, lo spettacolo è una sorta di dialogo non esplicito fra una massa umana reale e alcune apparizioni di luce che fanno apparire figure quasi tridimensionali, realizzate con una tecnica laser; si alternano quindi spazi di luce in scena al buio necessario a queste proiezioni ad effetto, che arrivano ad essere iperrreali nella loro stilizzazione digitale di puro contorno, per poi dissolversi in un pointillisme di luci, nuvole, polvere che si dissolve.

I danzatori creano personaggi che, sebbene soggetti a se stanti, sono anche legati tra loro come una tribù che progressivamente, dopo l’esplosione di energia iniziale, va ad abitare in modalità quasi zombie un frenetico paesaggio di disperazione post-apocalittica: lo spettacolo inizia proprio con un cavaliere che si suicida con la spada mentre di lì in poi, emergendo di volta in volta dal buio, verranno in scena ora singolarmente ma per lo più in schiera, danzatori che si muovono con movimenti e ritmi che, seppur non sono militaresco hanno comunque un che di strutturato, rituale, tribale: saltano e si girano sul posto, battono i piedi, contorcono o agitano le braccia in movimenti ripetitivi, ritmici, ancestrali, piegano i loro corpi in forme psicotiche e grottesche come se fossero coinvolti in un ballo di San Vito. Chissà se è questo che sentono i giovani rispetto al mondo politico attuale.
Ad un certo punto le luci arrivano addirittura a definire un dittatore dal sembiante hitleriano che fa discorsi infiammati, gesticolando come il terribile e sanguinario leader nazista, mentre la colonna sonora di Shechter entra nel cuore della performance luministico digitale, intessendo su una base ipnotica e ripetitiva estrapolata da una sorta di melodia ancestrale mediorientale, tutta una serie di suoni e voci che hanno a che fare con i riti collettivi: canto gregoriano medievale, hard rock, musica da ballo tribale, un intenso ritmo ipnotico che attira sempre più in profondità, attraverso emozioni crude in un viaggio che sembra volgere però nella coreografia verso la disperazione.

(c) Agathe Poupeney

I danzatori passano da uno stato euforico e coinvolto ad uno in cui si ritrovano prigionieri, reclusi in uno spazio immaginario ma nitidamente percepibile. A causa delle loro idee?
Sono reclusi, usano il linguaggio del corpo degli oppressi – muovendo i piedi, curvando le spalle, alzando mollemente le braccia – e sembrano sempre guardare dentro di sé, le loro interazioni reciproche o con il pubblico, da energiche e travolgenti si riducono progressivamente al minimo.
Chi sarà il prossimo dittatore? La macchina, che ci riempie di effetti speciali ma dietro la quale si nasconde la fine definitiva del nostro vivere credi ancestrali, antichi ideali, per i quali, come cavalieri si era perfino disposti a morire?
L’era delle macchine spirituali ridurrà gli uomini in schiavitù?
Political mother unplugged diventa quindi il viaggio acido di un uomo che cerca di sfuggire alla sua costante rabbia contro la dittatura ma che la alimenta alla fine con le sue stesse pulsioni sociali, con i suoi bisogni di creare riti, gruppi, fazioni.
Forse la macchina e solo la macchina, aliena a questi bisogni, potrà sottomettere l’uomo ad uno stato di inferiorità triste, una rivelazione in stile Matrix per certi versi, tanto da spingere  qualcuno a paragonare la coreografica al Grido di Edvard Munch, nel suo rapporto simbolico per la cultura giovanile del 21° secolo.

 

POLITICAL MOTHER UNPLUGGED

Coreografia e musiche Hofesh Shechter
Disegno luci originale Lee Curran
Costumi Merle Hensel
Video proiezioni Shay Hamias
Collaborazione musicale Nell Catchpole e Yaron Engler
Arrangiamento percussioni Hofesh Shechter e Yaron Engler
In scena la Compagnia Shechter II
Produzione Hofesh Shechter Company
Coproduzione Théâtre de la Ville – Paris, HOME Manchester e Düsseldorf Festival
Con il supporto di Fondazione I Teatri Reggio Emilia, DanceEast e Ipswich