ROSSELLA PICCARRETA | «Se il cuore interrompe il suo lavoro, anche tutto il resto si atrofizza, diventa superfluo, inutile» dice Majakóvskij in una lettera del 1923 a Lilja Jur’evna Brik.
Lo ripete Licia Lanera sul palcoscenico del Piccinni imbiancato di neve ne I sentimenti del maiale, ultimo atto (dedicato proprio al poeta russo) della sua trilogia Guarda come nevica, andata  in scena a Bari il 19 dicembre.

Mentre parla ci arriva il gelo, quel «gelo del demonio» con cui, a detta di Gorkij, Cechov (autore della seconda parte, Il gabbiano) trattava gli uomini. Ci arriva il freddo immobile dell’atrofia della sensibilità, malattia novecentesca cresciuta esponenzialmente nel nostro tempo.
Così, quando l’attrice, che fa la parte di se stessa, si rivolge a Danilo Giuva, dicendogli: «Guarda come nevica, Danilo» ne intravediamo il sottotesto: guarda come il gelo dell’immobilità e del silenzio atrofizza tutto, anche il dolore, e come è difficile e necessario per noi artisti resistere ed esibire la nostra ipertrofia del sentire. Guarda quanto è indispensabile raccontare, fosse pure attraverso l’iperbole e la fantasia più sfrenata e avere un cuore pulsante che non si arrenda e che sappia soffrire. Perché come dice Nina nel Gabbiano «nella nostra opera, sia essa di scrittore o di attore, l’importante non è la gloria, non il lustro, non ciò che sognavo, ma saper soffrire».

La neve, perciò, non allude  soltanto all’immobilismo ovattato dei mesi in cui la pandemia ci ha costretto a restare chiusi in casa, come suggeriscono le battute «saranno le nove, fuori è aprile, io sono chiusa qui e tutta questa neve mi sta seppellendo» e come sembra indicare la scena (di Riccardo Mastrapasqua) che riproduce l’atmosfera asfittica e surreale delle nostre case chiuse durante il lock down (un interno domestico, un divano bianco, una lampada, un maiale sventrato appeso a testa in giù e tanta neve, che seppellisce tutto).
La neve non è solo questo.
È atrofia del sentire, condizione esistenziale oggi così diffusa che lo storico dell’arte Edgar Wind nel suo Arte e anarchia afferma: «Penso che oggi molti artisti siano consapevoli – sebbene non tutti siano così poco saggi da confessarlo – di rivolgersi ad un pubblico il cui appetito sempre più insaziabile di arte è compensato da una progressiva atrofia degli organi ricettivi».

La neve, allora, racconta il  ghiaccio del cuore, di cui parla la stessa Lanera nelle note di regia di Cuore di cane.

ph Manuela Giusto

Il cuore, ecco il centro: quello del  cane, migliore di quello umano, che pulsa indomito al ritmo ossessivo della musica elettronica di Tommaso Qzerty Danisi, nella prima parte della trilogia tratta dal testo di Bulgakov (link), quello di Kostantin, colpito da un colpo di pistola nel Gabbiano (link), quello, infine, del maiale, trafitto da un punteruolo nella descrizione asettica e algida di Danilo nella terza (link).
(Per l’approfondimento dei tre spettacoli singoli si rimanda ai rispettivi link dello sguardo di PAC).

In ogni caso si parla del cuore dell’artista, sensibile e ipertrofico: «Sono empatica, sento dentro di me i dolori del mondo intero. Sento. Io sento! Sono un’artista».
E, come il maiale sventrato e appeso nella terza parte, l’artista, per sua natura, si immola come vittima sacrificale; si offre a un pubblico per farsi dono e veicolo di un messaggio. Lo fa usando anche l’eccesso, l’iperbole, la stravaganza, pur di continuare ad avere voce nel silenzio assordante di un’epoca dominata dal denaro e da valori altri diversi dall’arte. Lo fa resistendo, usando tutto il corpo, affondando «nelle viscere degli umani. Piedi per terra, lacrime in faccia, gengive scoperte, unghie e denti, mani desiderose di afferrare, uteri vuoti e uteri pieni, cuori, intestini e polmoni, pelle e peli».

L’antinomia atrofia del sentire dei nostri tempi/ipertrofia del cuore dell’artista è dunque il fil rouge più potente che unisce le tre parti. Ma non il solo.

ph Manuela Giusto

Certo è che la trilogia è un corpus unico. Più che una maratona è un lungo  spettacolo in tre tempi, denso e coeso, nonostante la diversità dei linguaggi, delle storie e delle situazioni. Un’esperienza da gustare e vivere intensamente per recuperare il tempo perso dopo l’astinenza di teatro.

Molte sono le coordinate che uniscono i tre testi, alcune più palesi ed evidenti: i fiocchi candidi che continuano a cadere dalle macchine sparaneve sulle teste e sui cuori dei personaggi nelle prime due parti e che seppelliscono tutto nella terza, i numerosi rimandi nelle battute dei tre copioni, alcuni oggetti di scena (la lampada ad esempio) che migrano da uno spettacolo all’altro, la comune appartenenza degli autori dei tre testi alla letteratura russa.
E poi i contrasti forti, il gioco di ombre, sprazzi luminosi e intensi chiaroscuri nei bellissimi disegni luci di Vincent Longuemare in Cuore di cane e di Cristian Allegrini negli altri due spettacoli. Le luci in tutti e tre le piece sanno creare magie: enfatizzano dettagli o fanno sparire alcuni elementi; la stessa Lanera, addirittura, è inghiottita da un cono d’ombra e a tratti annichilita nell’ultimo atto, in un finale potentissimo in cui in certi momenti diventa solo voce, grinta e poesia, mentre recita La nuvola in calzoni di Majakóvskij, accompagnata dalla forza delle note di She lost control dei Joy division  e di Breed dei Nirvana, suonate dal vivo da Dario Bissanti, Giorgio Cardone, Nico Morde Crumor.

Altri temi unificanti sono il dolore e il suicidio. In un gioco di specchi l’eco del colpo di pistola nel cuore di Kostantin nel tragico finale del Gabbiano risuona nella lettera di addio di Majakóvskij, che abbandona tutti  con addosso la sua camicia gialla (la stessa indossata dall’attrice nel finale). E ciò accade mentre il gruppo rock accompagna i versi del poeta con le musiche di Ian Curtis e Kurt Cobain, anche loro entrambi suicidi.

E poi c’è l’ossessione della giovinezza, che compare in tutte e tre i testi: nell’operazione mostruosa del trapianto di ipofisi e testicoli compiuta dal professor Filipp Filippovič, che fa esperimenti per frenare l’invecchiamento dei suoi pazienti in Cuore di cane, nella competizione tra Arkadina, la grande attrice, e la giovane Nina nel Gabbiano e, infine, nelle imprecazioni di Licia contro le ventenni a cui «strapperebbe la carne di dosso» nei Sentimenti del maiale.
Non è banalmente l’inquietudine di una donna sulla soglia dei quarant’anni ma, piuttosto, necessità di sopravvivenza, ansia del peso delle responsabilità e delle colpe mentre la vita scorre, volontà di continuare a sentire, come si sente solo quando si è giovani. Come Nina, desiderosa di aprire le sue ali di gabbiano prima dell’abisso, prima della caduta.
È questo, ma è anche denuncia di una società narcisista e sola, schiava dell’apparire.

ph Manuela Giusto

Oltre tutto ciò, al centro della trilogia c’è, soprattutto, una riflessione sul processo artistico, sulla necessità disperata di trovare «forme nuove», sperimentando ogni possibilità vocale, fino a trasformarsi in un animale (Cuore di cane) e se di forme nuove «non ce ne sono, allora meglio niente», meglio restare nell’alveo della tradizione con un grande classico (Il gabbiano) o fare la parte di se stessi e dire ciò che si pensa davvero, anche a rischio di mettersi a nudo e mostrare le proprie ferite, come avviene ne I sentimenti del maiale. In qualche modo, dunque, viene messa in scena la ricerca stessa.
E se i discorsi di Kostantin e Trigorin sull’arte e sulla scrittura nella seconda parte già sono illuminanti, nella terza tutto si svela e diventa ancor più chiaro.

Qui lo spettatore è chiamato a sentire insieme all’artista. A partecipare al sacrificio del maiale, un rito condiviso in cui la bestia (di scena) è l’attore, che si offre in pasto  al pubblico per una ragione più alta. Cosi, quando l’attrice e regista nel terzo atto  interagisce dal palco con gli spettatori e un po’ scherza, un po’ sfida e chiede quanti siano stati presenti dall’inizio alla fine della maratona, ci sentiamo chiamati in causa, capiamo di essere parte integrante del gioco, necessari, perché senza spettatore non c’è spettacolo, perché il teatro è uno scambio meraviglioso e feroce, che ha un senso solo così.

Sentiamo che il nostro sguardo è il punteruolo che incide il cuore dell’artista che si offre con una «strafottenza mista a dolore atroce». «Ogni parola egli la vomita dalla sua bocca scottante», raccontando il suo inesausto desiderio di vivere per sempre, il suo straordinario bisogno delle carezze di uno sguardo, dello spettatore, appunto, perché «sul cuore ardente ci si arrampica con le carezze» , perché l’artista «è  magnificamente malato. Ha l’incendio nel cuore» (Majakóvskij).
Un cuore di cane o di maiale poco importa, ma, certamente, irrimediabilmente ferito e, perciò, meravigliosamente aperto.

19 dicembre 2021
Teatro Piccinni, Bari
GUARDA COME NEVICA – trilogia completa

CUORE DI CANE
di Michail Bulgakov
con Licia Lanera e Qzerty
sound design Tommaso Qzerty Danisi
luci Vincent Longuemare
costumi Sara Cantarone
maschera Sarah Vecchietti
assistente alla regia Annalisa Calice
tecnici di palco Cristian Allegrini e Francesco Curci
adattamento e regia Licia Lanera
produzione Compagnia Licia Lanera
coproduzione TPE – Teatro Piemonte Europa
con il sostegno del MiBAC e Regione Puglia e dell’Assessorato all’Industria Turistica e Culturale, Gestione e Valorizzazione dei Beni Culturali

IL GABBIANO
di Anton Cechov
con Vittorio Continelli, Giandomenico Cupaiolo, Mino Decataldo, Alessandra Di Lernia, Caterina Filograno, Jozef Gjura, Marco Grossi, Licia Lanera, Fabio Mascagni
luci Cristian Allegrini
musiche originali Qzerty
scene Riccardo Mastrapasqua
costumi Angela Tomasicchio
assistente alla regia Ilaria Bisozzi
adattamento e regia Licia Lanera
co-produzione Compagnia Licia Lanera, Teatro Metastasio di Prato, TPE – Teatro Piemonte Europa
si ringrazia Fauso Malcovati

I SENTIMENTI DEL MAIALE
con Danilo Giuva e Licia Lanera
chitarra e voce Dario Bissanti
batteria Giorgio Cardone
basso Nico Morde Crumor
luci Cristian Allegrini
fonica Francesco Curci
scene Riccardo Mastrapasqua
aiuto scenografo Silvia Giancane
costumi Angela Tomasicchio
regia Licia Lanera
co-produzione Compagnia Licia Lanera, TPE – Teatro Piemonte Europa, Festival delle Colline Torinesi