EUGENIO MIRONE | Scritto nell’inverno tra il 1923 e il 1924 il frammento narrativo noto con il titolo Der Bau (La tana) rappresenta uno degli ultimi tasselli della breve parabola letteraria di Franz Kafka, stroncato solamente sei mesi più tardi dalle complicanze di una tubercolosi alla faringe. Nonostante la brevità della sua vita Kafka può essere  annoverato senza dubbio tra quei grandi scrittori europei (Proust, Mann, Musil, Woolf, Svevo e Joyce solo per citarne alcuni) che nel primo Novecento contribuirono a riformare il modo di fare letteratura.
Clima di incertezza e crisi del narratore, tempo del racconto indeterminato, morte dell’eroe, monologo interiore e stream of consciousness non sono solo lontani ricordi del liceo ma le colonne portanti di questa riforma narrativa. Alcuni di questi elementi sono presenti anche nel racconto di Kafka che Roberto Trifirò, già avvezzo alla trasposizione teatrale di opere letterarie, come dimostrano ad esempio i suoi lavori su La mite e Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, ha scelto di portare in scena in Confessioni di un roditore al Teatro Out Off.

Foto di Stefano Sgarella

In un recinto di corde e puntelli di legno si aggira un’entità. Dapprima è nascosta sotto un tavolo posto sulla sinistra del palco; il buio in sala non ci consente di vederla. A poco a poco una luce calda incomincia a illuminare timidamente la scena svelando un ambiente claustrofobico. Dietro al tavolo svetta minaccioso un pannello nero, al centro stracci e coperte giacciono sul terreno, mentre sul fondo, leggermente defilata sulla destra, è appesa un’enorme rete di cordami. Il fondale scoperto, in continuum con  le fondamenta dell’ex cinema Eolo, accresce il senso di occlusione della scena.

La storia, che nel racconto di Kafka viene riportata in prima persona dal protagonista della vicenda, narra di una misteriosa creatura dai tratti umani e animali e dei suoi disperati sforzi di costruire una tana perfetta in grado di proteggerlo dai nemici. In scena l’entità del narratore viene scissa: ad essa Roberto Trifirò dona voce e corpo. I pensieri e le angosce che consumano la mente del roditore vengono esplicitati dalla voce registrata fuori campo di Trifirò e dal comparto sonoro di Matteo Tomasetti; sul palco, invece, il narratore si concretizza nel corpo dello stesso attore/regista il quale, vestito con un maglione beige e pantaloni stracciati, muovendosi continuamente nello spazio, trasmette il senso d’inquietudine che attanaglia la mente del roditore. Mentre la voce registrata comincia a narrare, Trifirò ora sale sopra il tavolo, ora sfrutta il fondale aperto per uscire e rientrare dalla scena disponendosi sempre in pose plastiche e statuarie. Nell’impercettibile tensione del corpo viene così a concentrarsi la condizione di paralisi e inoperosità imposta dalla tana e denunciata dalla mente pensante.

In principio domina il compiacimento per aver costruito una dimora perfetta; tuttavia, la pace è solo apparente. Immediatamente s’innesca un meccanismo infinito di perfezionamento della tana, in cui ogni piccola conquista di serenità viene scalzata  dall’angoscia di nuova preoccupazione. La piazzaforte principale è davvero il luogo più sicuro per nascondere le provviste? E se qualcuno avesse scoperto il punto d’ingresso della tana? Come andare a controllare senza farsi scoprire?
Sono solo alcune delle domande che offuscano la mente del roditore e lo gettano in una condizione di inoperosità. D’improvviso un sibilo scuote il silenzio che domina l’atmosfera. Potrebbe trattarsi di creature infiltratesi all’interno della tana oppure di una bestia minacciosa. Una cosa è certa: il nemico sta per arrivare; tutto invece rimane immutato.


La tana
appartiene, come Le metamorfosi, alle storie di animali, una tipologia di racconto che, servendosi di un linguaggio metaforico, si apre a numerose interpretazioni. Come scrive G. Miglino, docente di Letteratura tedesca all’Università di Messina, nel suo saggio Nella tana della metafora assoluta: «Il racconto sembra essere un bilancio essenziale e disperato di quel che resta della letteratura nell’età della distruzione della letteratura. […] La letteratura è appunto quella cella che è anche fortezza e va quindi intesa come processo infinito di continue costruzioni e distruzioni. Costruire la tana significa cioè anche distruggerla».
In che modo? Nel racconto il narratore smarrisce la sua onniscienza e diviene un mero redattore, la sonda dell’introspezione viene calata nel profondo del personaggio scoprendone le angosce più recondite; ma soprattutto non può più esistere una rappresentazione di senso totalizzante. A dominare è un clima d’incertezza che trasforma la speranza nel kairós, l’occasione in grado di cambiare la propria vita, come l’arrivo dei Tartari nel romanzo di Dino Buzzati, in angosciante attesa del pericolo.

Come si può intuire, dunque, La tana è un’opera ricca di materia; tuttavia, in Confessioni di un roditore pare mancare un’indagine sulle profondità del testo. La rilettura che Trifirò offre del racconto ha proprio i tratti di una ri-lettura “ambientale” molto vicina alla pratica dell’audiolibro, alla quale aggiunge la ricreazione della dimensione scenografica del racconto.
Il comparto tecnico è, senz’altro, allestito con attenzione: le doti interpretative di Trifirò risaltano nella lettura delle pagine del racconto, mentre la scenografia suggestiva di Stefano Sclabas insieme al disegno luci di Luigi Chiaromonte contribuiscono a creare un ambiente perfetto per accogliere lo spettatore nello stravagante mondo di Kafka; a richiedere, però, qualcosa in più è il comparto teatrale: la decisione di scindere l’entità del narratore funziona ma non è abbastanza.
Come si è detto, il testo si avventura nei meandri dell’animo umano; tuttavia la scelta registica di imbalsamare l’azione dell’attore, efficace nel trasmette il senso di paralisi, risulta limitante e lascia un senso di sproporzione nei confronti del complesso tecnico dello spettacolo. Le potenzialità offerte dal teatro per consentire di lavorare sulle opere letterarie sono enormi; in questo caso, la sensazione è che non vengano sfruttate appieno. L’occhio  ha avuto la sua parte, a risentirne, invece, è l’anima teatrale.


CONFESSIONI DI UN RODITORE

liberamente tratto da La tana di Franz Kafka
regia e interpretazione di Roberto Trifirò
scenografia e costumi Stefano Sclabas
musiche originali Matteo Tomasetti / luci e fonica Luigi Chiaromonte
collaborazione ai movimenti Barbara Geiger
produzione Teatro Out Off
spettacolo in abbonamento Invito a Teatro

Teatro Out Off, Milano
18 dicembre 2021