RITA CIRRINCIONE | Ancor prima dell’attacco dell’ouverture, a sipario chiuso, ecco sbucare da uno spiraglio un carretto con un carico scomposto di armature, elmi e piume colorate che viene scaricato brutalmente sul proscenio. Vi rimarrà per quasi tutto il tempo del preludio finché, sotto l’incanto della musica, da quel mucchio informe e inerte faticosamente cominciano a ergersi cinque pupi: sollevano la testa, si alzano in piedi, raddrizzano la schiena e si preparano a entrare in scena e a combattere.
Dopo questo prologo a sorpresa il sipario si apre su Piazza Pretoria, in una ricostruzione in miniatura ma pur sempre imponente della monumentale piazza su cui si affaccia Palazzo delle Aquile, sede del Comune di Palermo. Nell’ideazione trasfigurata e fortemente allegorica di Carmine Maringola le statue che la decorano diventano un ibrido fantastico e mostruoso di nudi umani e teste di animali.
Su questo sfondo, ai lati della piazza, due gruppi contrapposti: il popolo siciliano contrito e vestito a lutto e un gruppo di soldati boriosi e sprezzanti con le pistole perennemente spianate nelle loro vistose tute in acetato; in mezzo, un micro mondo chiassoso e variopinto di venditori di cibo di strada e avventori tra bancarelle e grigliate fumanti. Benvenuti nell’universo simbolico di Emma Dante.

Foto Rosellina Garbo

Per la messinscena de Les Vêpres Siciliennes – l’opera in cinque atti di Giuseppe Verdi diretta da Omer Meir Wellber (per la prima volta in lingua originale) che inaugura la nuova stagione del Teatro Massimo di Palermo – tra luminarie e teste di Mori, Santuzze e processioni, coppole e munnizza, la regista palermitana attinge a piene mani dall’immaginario siculo-mafioso imprimendovi il suo inconfondibile sigillo stilistico ed estetico.
Nella rilettura del grand-opéra verdiano, infatti, Emma Dante compie una doppia trasposizione: a opprimere il popolo siciliano non è il giogo franco-angioino ma la mafia, un potere criminale intestino non meno spietato e violento, con il governatore che diventa il capomafia e i soldati di Cosa nostra al posto degli invasori francesi; mentre la ribellione verso la dominazione straniera del 1282 si sposta nel recente passato e diventa il risveglio della coscienza civile dei palermitani dopo le stragi mafiose del ’92.

Nella trama originaria, la vicenda della insurrezione contro gli oppressori si intreccia con la storia d’amore tra Hélène, alla quale i francesi capitanati dal governatore Guy de Montfort hanno ucciso il fratello, ed Henri, un giovane siciliano, che le giura di vendicarne la morte. La rivelazione di Montfort di essere il padre di Henri provoca nel giovane un lacerante conflitto tra passione amorosa, spirito patriottico e dovere filiale introducendo nella storia ulteriori snodi drammaturgici.
Sventato l’attentato ordito contro Montfort da parte di Giovanni da Procida, capo dei patrioti siciliani, con il sostegno di Hélène, Henri contribuirà all’arresto di entrambi anche se, più tardi, intercederà con il padre per liberarli. In un clima di pacificazione, Montfort dà al figlio il consenso di sposare Hélène. Ma il suono delle campane che annuncia la celebrazione delle nozze, con la ragazza già in abito da sposa, innesca invece la sanguinosa rivolta: era quello il segno convenuto per gli insorti. Al grido “Vendetta, sì, vendetta! E per loro la morte!” inizia la battaglia che porrà fine all’odiata dominazione straniera.

Foto di Rosellina Garbo

Operati gli opportuni adattamenti temporali e di ruolo, la rilettura di Emma Dante non solo si rivela  una felice chiave registica, calzante e priva di forzature – nel libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier c’è persino un riferimento all’anniversario dell’assassinio di Federico d’Austria, fratello di Hélène per mano dei francesi, che nella versione della Dante diventa la commemorazione del giudice Borsellino da parte della sorella Rita – ma anche un’occasione per affrontare alcuni temi che le stanno particolarmente a cuore: il messaggio antimafioso e il tema della violenza sulle donne.

Molti i momenti scenografici spettacolari come l’arrivo su una barca volante di Giovanni da Procida di ritorno dall’esilio per prendere le redini della resistenza o come la scena della sfarzosa festa tenuta dal governatore/boss Guy de Montfort durante il terzo atto nello sfavillio dorato di arredi e di abiti (sempre azzeccati i costumi di  Vanessa Sonnino) a mostrare la pacchiana esibizione di lusso dei nuovi ricchi. Ma le scene maggiormente iconiche – la processione dei gonfaloni con i volti delle vittime di mafia, durante il primo atto, e il “mosaico della memoria” formato dalle targhe delle strade e delle piazze luogo delle stragi che per anni hanno insanguinato la Sicilia, alla fine del secondo atto – sono quelle legate ai temi dell’antimafia, una scelta certo non casuale nell’anno in cui ricorre il trentennale delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Foto di Rosellina Garbo

«Non è vero che qui tutte le donne sono nostre?» arringa un soldato francese rivolgendosi ai suoi compagni d’armi all’inizio dell’opera. Quello che lo sguardo di Emma Dante coglie nel regime di terrore instaurato dall’oppressore non è solo la sopraffazione di un popolo, la depredazione e il saccheggio dell’ambiente (durante il primo atto un massa enorme di rifiuti di ogni genere vengono riversati da alcuni scagnozzi tra le candide statue e le scalinate di Piazza Pretoria), ma anche la brutale violenza del maschio nei confronti della donna.
Eccoli questi maschi: sempre in branco, incappucciati nelle loro tute sgargianti, con la loro postura sgraziata e storta, con il bacino sempre in avanti, spesso con i pantaloni abbassati fino alle caviglie, pronti per un atto sessuale violento e predatorio. E le donne? Allora come ora sembra che la loro condizione subalterna non debba cambiare mai: per il nemico, una preda, un sacco di spazzatura da caricare in spalla come nella scena del rapimento e dello stupro delle donne siciliane; per i suoi stessi uomini – padri, mariti, fratelli, figli che intervengono in difesa del suo onore violato come avvenne nella rivolta dei vespri – la donna è sempre la proprietà di qualcuno e la sua volontà non vale niente.

Foto Franco Lannino

Nell’adattamento dell’opera di Verdi, Emma Dante ha trovato un perfetto alleato in Omer Meir Wellber che l’ha affiancata e sostenuta nell’ardita riscrittura. Il giovane direttore israeliano, dal canto suo, pur essendo un sostenitore del rispetto dei codici musicali originari, ritiene che un’opera non sia un testo sacro intoccabile ma, se riletta e interpretata, possa acquistare nuova vitalità. Armonizzando idee registiche e interpretazione musicale, fra tradizione e innovazione, la coppia Dante-Wellber è rimasta fedele all’impianto originario di Verdi del Grand Opéra ma allo stesso tempo vi ha apportato  importanti novità, prima tra tutte la destrutturazione del gran ballo delle Quattro Stagioni originariamente concepito come unico blocco.

Grazie alla collaborazione di Manuela Lo Sicco per le coreografie e a Sandro Maria Campagna per i movimenti scenici degli attori-mimi della compagnia, la distribuzione in tutta l’opera dei quattro balletti, ogni volta con orchestrazioni differenti, si è rivelata una delle mosse vincenti di questa edizione. Così la prima delle quattro danze, il balletto dell’Autunno, non è suonata dall’orchestra ma da una street band composta da fisarmonica, contrabbasso e clarinetto in una versione attualissima pur nell’assoluta fedeltà alla partitura di Verdi. Gli altri tre balletti sono inseriti in altrettanti momenti ad hoc: il balletto di Primavera nel duetto d’amore di Hélène e Henri del secondo atto; quello di Estate, nel terzo atto, durante il gran ballo nel palazzo di Montfort; il balletto d’Inverno, alla fine del quarto atto, per la processione di Santa Rosalia.

Foto Rosellina Garbo

Non era facile fare scorrere senza un’ombra di stanchezza o di noia le quattro ore abbondanti di Les Vêpres Siciliennes. Con i suoi “tradimenti” Emma Dante c’è riuscita non solo ridandole una nuova forza drammaturgica e un’inedita pregnanza di significati ma imprimendo una ventata di freschezza e di vivacità a un’opera ottocentesca, complessa e non di semplice fruizione e per giunta in lingua originale.

 

LES VÊPRES SICILIENNES
 di  Giuseppe Verdi

direttore Omer Meir Wellber
regia Emma Dante
scene Carmine Maringola
costumi Vanessa Sannino
movimenti scenici Sandro Maria Campagna
coreografia Manuela Lo Sicco
light designer Cristian Zucaro
assistente alla regia Federico Gagliardi
assistente alle scene Roberto Tusa
assistente ai costumi Chicca Ruocco

PERSONAGGI E INTERPRETI

La duchesse Hélène Selene Zanetti
Ninetta Carlotta Vichi
Henri Leonardo Caimi
Guy de Montfort Mattia Olivieri
Jean Procida Luca Tittoto
Thibault Matteo Mezzaro
Danieli Francesco Pittari
Mainfroid Pietro Luppina
Robert Alessio Verna
Le sire de Béthune Andrea Pellegrini – Ugo Guagliardo
Le comte de Vaudemont Gabriele Sagona
Attori della Compagnia Sud Costa Occidentale

Orchestra, Coro e Corpo di ballo del Teatro Massimo
Maestro del Coro Ciro Visco
Direttore del Corpo di ballo Davide Bombana

Palermo, Teatro Massimo
23 gennaio 2022