RENZO FRANCABANDERA | Una serata di danza con tre coreografie: Triple, andato in scena martedì 1 marzo al Teatro Ariosto per la Stagione della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia è una silloge di opere di Richard Siegal, coreografo americano tra i più innovativi della scena contemporanea e fondatore, sei anni fa, del Ballet of Difference a Monaco.
La combinazione dei tre spettacoli di durata vicina ai 30 minuti ciascuno, compone una proposta in cui il coreografo ripropone due regie precedenti alla nascita del Ballet, più una nata durante il lockdown del 2020, creando così una linea di connessione tra le sue coreografie di maggior successo internazionale della prima metà del decennio passato, Metric Dozen e My Generation, e il più recente All for one.

Filo conduttore è la diversità: fisica, sessuale, culturale, che connota lo stile, la danza, il portato degli interpreti del gruppo che Siegal ha creato e con cui ha creato una continuità di relazione creativa.
Siegal non lavora solo con questa formazione: è stato scelto anche dal Tanztheater Wuppertal, ha collaborazioni con William Forsythe a Francoforte, ha all’attivo residenze in luoghi culto come il Baryshnikov Arts Center di New York e il Bennington College.

Prima di un tuffo nel passato più remoto, Siegal parte dalla proposta più recente: All for One era nato come prima parte di All for One and One for the Money che furono eseguiti dal vivo per la prima volta a Dicembre 2020 dal vivo sul palco dal Ballet of Difference am Schauspiel Köln di Colonia e trasmessi in streaming a un pubblico internazionale, aggirando così anche le restrizioni sulla numerosità del pubblico.
Siegal non è estraneo allo scandaglio emotivo ed esperienziale dello spazio virtuale e in questa creazione immerge lo spettatore in un mondo virtuale, quasi postumano, in cui dentro una musica quasi da videogame, sembra di essere arrivati in un ambiente cliccando su un pulsante.

I danzatori sembrano uscire davvero da un mondo umanoide, in cui eseguono movenze che paiono proprio far rifulgere alcune dinamiche da disturbo dell’attenzione, fra individualismo e finta assenza di coordinazione d’insieme; sensazioni che nella vorticosa scenografia di luci led di Matthias Singer trasmette una certa inquietudine, proiezione di un mondo di scelte illimitate e soddisfazioni irraggiungibili.
È una coreografia costretta dalle circostanze in cui nacque nel 2020 a percorrere strade inesplorate, in cui la danza prendeva ad esplorare un ambiente insolito pieno di possibilità come la fruizione via web. A quell’impresa coraggiosa è seguita una declinazione dal vivo che ha ricomposto e rielaborato la creazione, andata poi in scena ad Aprile 2021 con il titolo di Two for the show (si giocava qui scherzosamente in dialogo con la prima forma della creazione e sulle parole di Blue Suede Shoes di Elvis).
All for one è la sequenza di apertura di 20 minuti; in larga parte danzato sulle punte dentro uno spazio oscuro e illuminato dai radianti della scenografia luminosa di Singer, di questo lavoro restano vivi nella memoria, oltre alla dinamica centrifuga dei movimenti monadici e alle simmetrie scomposte, i costumi futuristici di Flora Miranda. Non tutto è perfetto sulle punte, o almeno tanto potente e incarnato nelle abilità del corpo di ballo quanto i due successivi lavori della tripletta, che paiono davvero calzare in modo perfetto sui componenti di questo ensemble.

Metric Dozen, originariamente creato per il Ballet National de Marseille nel 2014, è una delle coreografie più veloci di Siegal: un ritmo davvero incalzante, con tempi quasi disumani, e i danzatori che si muovono in dinamiche ortogonali, ad angolo retto per tutto lo spettacolo, dentro uno spazio sostanzialmente buio, da cui i corpi emergono come epifanie meccaniche ad alta velocità, movenze sexy distorte e uno spettacolo di bui e luci. La coreografia, nella sua riesecuzione del 2015 in dittico con Model affidata a ballerini contemporanei della precedente compagnia di Siegal The Bakery e a ballerini di formazione classica del Bayerisches Staatsballett, diede il via alla nascita l’anno seguente, il 2016, al Ballet of the Difference, ma anche ad uno stile che da allora ha in un certo qual modo ibridato i due codici, cercando una elaborata coesistenza di segni fra classico e contemporaneo.

Qui pose provocatorie, sguardi gelidi, appaiono e scompaiono assorbiti dal buio. Le luci continuano ad accendersi e spegnersi, i ballerini appaiono e scompaiono in intervalli di tempo sempre più brevi, rendendo difficile per il pubblico tenere una comprensione di tutto quanto accade. Quando poi le luci si accendono definitivamente e il gruppo di dieci danzatori diventa visibile, prende il via una performance estremamente fisica, estroversa e ritmica, che ricorda una presentazione di una sfilata. Assoli energici, movenze tanto erotiche quanto  tecnicamente impegnative si susseguono, senza dare ai ballerini il tempo di respirare. Siegal volle allora l’incarnazione di una cultura visiva supersatura, in abiti di paillettes cangianti firmati da Alexandra Bertaut. Di Metric Dozen non si può non rimarcare la feroce ed estrema composizione musicale, firmata da Lorenzo Bianchi-Hoesch, che il pubblico di Reggio Emilia ha potuto vedere all’opera dal vivo nella coreografia di recente creazione firmata da Michele Di StefanoMaqam.

Il trittico si completa con My Generation, messo in scena per la compagnia Cedar Lake di New York nel 2015.
È un finale di serata che si trasforma in una festa disordinata, anche per merito dei costumi sgargianti che all’epoca furono creati dal fashion designer Bernhard Willhelm, genio della moda, figura dalla capacità compositiva cromatica di sconvolgente vitalità e che propose per questa coreografia dei costumi che avvolgevano completamente il corpo dei danzatori. Siegal racconta di come si dovette armare di forbici per far riemergere dai costumi di Willhelm delle parti di corpo dei ballerini sufficienti a trasmettere il senso del movimento.
Ma è innegabile che siano proprio quei colori dei costumi di scena, uniti alla colonna sonora stupenda firmata da Atom Tm (Uwe Schmidt) che culmina nel travolgente Ich bin mine Maschinea fissare nella memoria dello spettatore questa critica ironica all’industria del pop.
Il finale consente di fatto una rilettura ex post di tutta la proposta della serata e traccia un filo invisibile che lega le tre creazioni, pur diverse ma leggibili dentro un percorso che Triple consente di fare nell’estetica di Siegal.

TRIPLE
RICHARD SIEGAL / BALLET OF DIFFERENCE am Schauschpiel Köln

All for one
coreografia Richard Siegal
scene Richard Siegal, Matthias Singer
costumi Flora Miranda
luci Matthias Singer
musica Markus Popp
danzatori Jared Brown, Martina ChavezLivia GilSean LammerMason Manning, Nicolás MartínezIan SanfordEvan SuppleNena Sorzano (Nenash)Madison Vomastek, Long Zou

Metric Dozen
coreografia 
Richard Siegal
costumi 
Alexandra Bertaut
luci 
Gilles Gentner
adattamento Matthias Singer
musica Lorenzo Bianchi-Hoesch
danzatori Martina Chavez, Jemima Rose Dean, Livia Gil, Sean Lammer, Mason Manning, Nicolás Martínez, Ian Sanford, Evan Supple, Nena Sorzano (Nenash), Madison Vomastek, Long Zou

My Generation
coreografia Richard Siegal
costumi Bernhard Willhelm
luci Matthias Singer
costumi Bernhard Willhelm
musica Atom Tm (Uwe Schmidt)
danzatori Jared Brown, Martina Chavez, Jemima Rose Dean, Livia Gil, Sean Lammer, Mason Manning, Nicolás Martínez, Ian Sanford, Evan Supple, Nena Sorzano (Nenash), Madison Vomastek, Long Zou