IDA BARBALINARDO* | Il Teatro delle Albe – compagnia ravennate fondata nel 1983 da Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni, con sede al Teatro Rasi – è da oltre trent’anni una delle realtà italiane più significative del panorama teatrale: multiforme e capace, tra le altre cose, di coniugare elementi della tradizione e approcci innovativi alla mescolanza dei linguaggi e delle esperienze (come l’anti-accademica pratica di laboratorio teatrale della non-scuola), porta in scena questioni sociali, politiche e umane.

Fra le recenti creature di questo percorso sulle arti anche la Scuola di vocalità e centro studi sulla voce Malagola, che prosegue i dialoghi nazionali e internazionali con il Collegio Superiore di Estetica della Scena, aperto a tutti i cittadini.
A cura di Enrico Pitozzi e Ermanna Montanari – che insieme dirigono Malagola a Ravenna – il Collegio si apre in questi giorni con una serie di seminari dal titolo Cosmogonie: suono, voce, parola, che si svilupperanno da aprile a giugno e ospiteranno a Palazzo Malagola studiosi e artisti da tutto il mondo, per un composito affondo sul tema dell’ascolto, del suono e della voce: Leili Galehdaran (Università di Shiraz, Iran), Roberto Barbanti (Università di Parigi 8, Francia), Carmen Pardo Salgado (Università di Girona, Spagna), Nicola Biondi (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Parigi), Sorella Anastasia (Monastero Carmelitane di Ravenna), Ilit Ferber (Università di Tel Aviv, Israele), Silvia Ronchey (Università di RomaTre). Il Collegio si intreccerà inoltre al Cantiere Dante di Ermanna Montanari e Marco Martinelli con un percorso su voce e suono nel Paradiso.

Con Madre, il loro ultimo lavoro presentato nell’ottobre del 2020 a Castrovillari, le Albe hanno trasposto nella forma del dittico un poemetto scenico composto da Marco Martinelli, che racconta di una comunicazione impossibile tra una Madre e un Figlio. Un’allegoria del nostro difficile rapporto con la Madre Terra, o forse di qualcos’altro: sì, perchè questo è uno spettacolo che può essere letto su più piani, a seconda di ciò che viene scalfito nell’interiorità del singolo spettatore.
In occasione della messinscena di Madre del 19 marzo al Teatro Koreja di Lecce, abbiamo intervistato Marco Martinelli:

Da quali stimoli è nato Madre? E in che modo si collega alla poetica sviluppata nei vostri ultimi lavori? 

Madre è un lavoro che parte dal desiderio di Ermanna e di Stefano Ricci di lavorare insieme, partendo da Traumtexte,  un testo di Heiner Müller: è  il 2019 e dopo alcuni incontri decidono di coinvolgere il contrabassista Daniele Roccato, col quale noi Albe avevamo già collaborato in passato. É proprio Daniele, a un certo punto, a manifestare il dubbio che il testo di Müller, con la sua cupezza funerea e cristallina, potesse appiattirsi sulla morte che regnava nella cronaca del quotidiano in quei primi mesi del 2020, quando la pandemia era appena esplosa. Nero su nero. Da lì l’intuizione di Daniele di rivolgersi a me per scrivere un nuovo lavoro: così è nato Madre. Come sempre faccio, ho parlato con Ermanna per mesi prima di scrivere una sola parola, perché sempre condividiamo una fase ideativa che poi mi porta a scrivere la drammaturgia. “Perché non racconti di una madre e di un figlio?”: mi ha detto un giorno. É da quel momento che ho cominciato a immaginare il pozzo in cui cade una vecchia madre romagnola. Una contadina.

É interessante notare come Traumtexte di Heiner Müller riecheggi in molti aspetti di Madre, specie per quel che riguarda la dimensione del sogno (in tedesco, appunto, “traum”). La messinscena è infatti pervasa da un’atmosfera onirica che plasma perfino i due personaggi, Madre e Figlio, intorno ai quali si sviluppa la storia narrata. Cosa rappresenta per voi, in quanto artisti ed esseri umani, il sogno? 

Da sempre i miei testi, i nostri lavori, sono intessuti di sogni: sogni a occhi aperti, sogni di ribelli, sogni utopici di cambiamento e sogni a occhi chiusi, quelli che la notte ci fanno sprofondare in un’ altra scena, un altro teatro, un altro mondo. Sono importanti, i sogni notturni, sono enigmi che parlano di noi, misteri che è bene non dimenticare, appena si fa giorno. Ci ammaestrano, se li sappiamo ascoltare. Le rivoluzioni “a occhi aperti” del secolo scorso hanno fallito perché non hanno compreso l’importanza della notte dell’anima: l’hanno censurata.

ph. Enrico Fedrigoli

L’impossibilità di comunicazione tra Madre e Figlio, espressa attraverso la forma del dittico, è impostata in modo da dare al pubblico la possibilità di leggerla su più piani. Quanto è importante, per voi, che i vostri lavori diano voce all’immaginario dei singoli spettatori, riportando sulla scena la complessità del reale? 

É molto importante. É il segreto del teatro autentico, di quello che fa battere il cuore, che fa correre l’immaginazione, che mescola il riso al pianto. Le nostre sono “favole” che possono leggersi a più livelli, composte di più strati, rivolte all’umanità intera e, nello stesso tempo, cercano il sentimento di ogni singolo spettatore. Ma non facevano forse questo i nostri antenati, da Aristofane a Shakespeare, fino a Giovanni Testori? Non cercavano di sondare sulla scena la misteriosa complessità del Reale, quella fatta di cronaca quotidiana, di politica, di orrori della Storia, di sogni d’Amore, di preghiere all’Invisibile?

“Beati gli uomini perchè sono sordi e dei sordi è il regno dei cieli. Degli asini è la terra, marcia lamentosa […]”: così scrivi tu, Marco, in Siamo asini o pedanti?. In questo nostro tempo che ci porta sempre più a individualizzarci, in che modo il teatro può rappresentare un mezzo per sviluppare la nostra “natura asinina”? 

Grazie Ida per questa domanda. La risposta mi sfugge, sai? Siamo individui sempre più soli, masse sempre più telecomandate. La risposta mi frana tra le dita se leggo le notizie che riportano gli orrori dell’economia criminale, della corruzione e della guerra, e non sto parlando solo dell’Ucraina perché da sempre questo pianeta è in guerra, semplicemente che “prima” non ce ne accorgevamo perché le bombe cadevano lontano dal giardino di casa nostra. Poi mi capita di lavorare ancora nella non-scuola con i “piccoli” asinelli, i bambini e gli adolescenti a Ravenna o a Pompei, a Genova o a Nairobi e mi torna l’allegrezza di vedere come il mondo rinasce sotto i loro piedi, al suono delle loro voci. Il loro nome è Germoglio.

ph. Claire Pasquier

Da 30 anni coinvolgete gli adolescenti nell’antiaccademica esperienza di laboratorio teatrale della “non-scuola”. Quali benefici credete apporti alla pratica teatrale quest’approccio? E che riscontri vi sono arrivati, a livello umano, da parte dei ragazzi? 

Sono talmente tante le situazioni incontrate, i volti, l’allegrezza suscitata in tutti noi. Sono trent’anni:  Di tutto questo ho raccontato in Aristofane a Scampia. Quando mi viene fatta questa domanda, da questo mar dell’essere viene subito a galla una frase che un’adolescente di Chicago ha detto finito il lavoro insieme: “Mi ha fatto correre l’immaginazione”. Chissà se si può dire meglio.

Avete spesso portato in scena questioni sociali, politiche, umane che in varia misura ci coinvolgono tutti in quanto corresponsabili di quelle vicende (penso, per esempio, a Rumore di acque). Nel confronto con il pubblico vi è mai capitato di scorgere lati della vostra “miseria” umana o colpe relative al vostro modo di gestire la vita in comunità che precedentemente non avevate considerato? 

No, non è mai accaduta una cosa del genere. Noi abbiamo la pratica costante del “fare anima”, così la chiamiamo, momenti, anche duri, in cui ci confrontiamo su quello che va o non va tra di noi, dentro di noi. É in quei momenti che emergono storture o inaspettate felicità.

 

MADRE

di e con Ermanna Montanari, Stefano Ricci, Daniele Roccato
poemetto scenico Marco Martinelli
regia del suono Marco Olivieri 
produzione Teatro delle Albe /Ravenna Teatro in collaborazione con Primavera dei TeatriAssociazione Officine Theatrikés Salénto

Teatro Koreja, Lecce
19 marzo 2022

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* PRIMAVERA PAC è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.