RENZO FRANCABANDERA | Il “Benvenuti a casa” lo danno appena si entra nel loro sito e quando si entra nella piccola sede in Via Eusebio Bava, zona Vanchiglia a Torino.
Quando si entra a Casa Fools si capisce che si è dentro un ambiente con un suo specifico, con una sua personalità connotata. Non certo un non luogo.
La storia parte da a Roma nel 2005 quando un giovane gruppo di appassionati di teatro fonda una piccola compagnia, che nel 2013 ha spostato la sede operativa a Torino.
Il primo posto che diede loro per un anno intero la possibilità di fare spettacolo fu il Teatro della Caduta, che gestiva anche uno spazio piccolo ma vivace.
Anni dopo hanno rilevato quel teatro.
Era il 2019, sembrava poter partire tutto. Poi la pandemia. Ma loro non si sono arresi, e sono andati avanti determinatissimi. «Non poteva esserci momento migliore per farlo. Non poteva esserci Italia più in crisi per prendere le redini di un teatro, non ci poteva essere società più sfaldata per augurarsi di spalancare le porte di un teatro. Tra chi odia, chi spara, chi tace, chi acconsente servono i teatri.» Così sul loro sito.
Ed effettivamente sono uno dei luoghi più interessanti di resistenza culturale a Torino. Abbiamo intervistato Luigi Orfeo, storico rappresentante della compagnia, artista a tutto tondo e persona capace di calamitare interessi e generare idee e passione.

Casa Fools è un progetto che vive a Torino in una logica di teatro di territorio. Come siete nati voi e come è nata questa vocazione?

Più che di vocazione parlerei di volontà, una volontà molto semplice ma poco diffusa: restituire alle persone il teatro come spazio di vita e non solo come spazio di consumo. La maggior parte dei teatri oggi questa funzione associativa non la assolve più. Sono diventati dei luoghi morti. Le persone entrano in sala e il loro unico spazio è la poltrona indicata sul biglietto, che lasciano subito al termine dello spettacolo perché il teatro deve chiudere. Si vive un’esperienza non così distante da quella che si ha al supermercato: si entra, si prende il necessario, si mette nel carrello, si paga alla cassa e si torna a casa. Oggi è molto più “teatro” un concerto, durante il quale si condivide l’esperienza insieme agli amici, si parla con altre persone, se ne conoscono di nuove e magari ci si innamora anche. A teatro questo non succede più. Gestire un teatro significa creare un luogo in cui far incontrare le anime della società, farle osservare sulla scena e, dopo, permettere loro di confrontarsi e trasformarsi. Se non c’è confronto, non siamo in un teatro.

Quali attività sono nate in questi anni e come si sta gestendo adesso la ripresa dell’incontro con il pubblico?

Non ci siamo mai sentiti davvero lontani dal pubblico. Futura, la stagione 2022, la prima che mettiamo in scena dal 2019, sta andando benissimo. Quello che stiamo registrando non è un miracolo, ma la conseguenza del fatto che sta aumentando l’interesse verso i luoghi dove avere cultura e socialità.
Nei mesi in cui il teatro era chiuso abbiamo fatto nascere due progetti artistici, un podcast sulla lirica, Opera Pop, e la newsletter di Casa Fools, ovvero una lettera di filosofia teatrale in cui parliamo di alcuni fenomeni del presente utilizzando l’alfabeto dell’attore. Durante il primo lockdown, invece, nella primavera 2020, siamo stati fra i primi a realizzare uno spettacolo in diretta social, Quarantena streaming, un varietà teatrale della domenica pomeriggio in cui ironizzavamo sulla pandemia, osservando il presente e provandone a fare commedia.
In quel caso la chiave del successo delle dirette fu la tempestività, oggi non rifaremmo uno spettacolo in streaming. L’obiettivo era far interagire la nostra comunità durante tutta la diretta per ricreare un luogo di incontro, anche se virtuale. Il lockdown è stata la leva che ci ha permesso di allargare il nostro pubblico, attraverso le evoluzioni naturali del romanzo a puntate (la newsletter), la radio (i podcast), e la televisione (lo streaming).

Lavorate anche in spazi esterni, e se sì, in che modo e con quale idea di pubblico di destinazione?

Gli spazi esterni in cui lavoriamo sono le vie e le case che circondano il teatro. L’esterno che vogliamo presidiare è il territorio circostante, il quartiere. Fin dai primi incontri abbiamo preso parte al comitato di quartiere da cui è poi nata l’associazione VANTO (Vanchiglia Torino) che riunisce commercianti, residenti, associazioni e tutti coloro che animano il quartiere. Abbiamo coinvolto il pubblico nella Direzione Artistica della stagione, attraverso il Collettivo Cartellone Condiviso: circa 30 persone che spontaneamente hanno deciso di valutare tutti e 300 gli spettacoli candidati, e che insieme hanno scelto i 7 in programmazione. Per definire il nostro pubblico di destinazione lo definiremmo un non pubblico: coloro che non sono solitamente pubblico, che non vogliono solo assistere alla cultura, che la vogliono vivere.

È nato negli ultimi mesi anche un interessantissimo progetto cross mediale sulla lirica. Ce ne potete raccontare?

Un anno fa circa è nato Opera Pop, il primo podcast di Casa Fools, per raccontare in modo semplice e potente l’Opera Lirica. Questo podcast nasce con due obiettivi, uno culturale e uno politico. Da una parte condividiamo gli strumenti per comprendere e apprezzare una cosa bella: l’Opera, una delle forme teatrali più complete e complesse che l’essere umano abbia inventato. In secondo luogo c’è anche un intento politico: quello di restituire al grande pubblico un genere teatrale che gli appartiene di diritto. L’opera lirica è un bene di tutti, come un pozzo d’acqua è un bene per tutto il suo villaggio. E i teatri lirici dovrebbero essere questi pozzi.
Il podcast è il tentativo di rompere la teca in cui è chiusa l’Opera Lirica, portandola fuori dal teatro.

Sono molti gli interrogativi sul tema della sopravvivenza degli spazi di arte in questo tempo. il vostro quartiere si è desertificato di attività commerciali. in che modo l’arte riesce a resistere tenacemente? Che futuro vedi per le piccole realtà indipendenti almeno nei grandi contesti urbani come Torino?

Hanno molta più possibilità di sopravvivere i piccoli spazi culturali rispetto ai grandi. Le grandi istituzioni sono imbrigliate nella burocrazia, sono meno duttili, si adattano meno rapidamente ai cambiamenti.
Gli spazi più piccoli sono luoghi di prossimità, che tengono vivo il panorama culturale cittadino. In questo momento sentiamo uno scollamento fra l’idea che ha della cultura la pubblica amministrazione, e quello che è invece il sentire sociale.
C’è un’onda di partecipazione senza precedenti, vediamo più consapevolezza, nelle persone, nel volersi prendere cura della propria umanità. C’è una voglia di partecipare al rito teatro, in tutte le sue forme, purché sia dal vivo, con persone vere e in contesti vivi.
Non è più tempo di calare dall’alto i pacchi alimentari culturali, ma di curare l’orto del vivere, insieme a tutti i suoi soggetti.
Se con mezzi risicati, sia economici che logistici, i luoghi culturali più piccoli sono riusciti a sopravvivere, vuol dire che la loro metodologia funziona.
Queste buone pratiche andrebbero messe in atto a tutti i livelli, e andrebbero finanziati adeguatamente coloro che curano il territorio culturale cittadino. Sono questi soggetti che creano il pubblico del futuro, pubblico che domani si abbonerà allo Stabile.

Oltre al progetto sulla lirica quali altre attività state svolgendo e avete in programma nei prossimi mesi?

Il progetto più rivoluzionario, folle e utopico che vorremmo realizzare in futuro è far in modo che la professionalità di chi tiene in piedi i vari centri culturali, come Casa Fools, venga pagata adeguatamente. Questo per noi è il progetto numero uno.
Potremmo parlare delle prossime produzioni che abbiamo in cantiere, dei nuovi format che nasceranno, delle idee che realizzaremo. Ne abbiamo noi, come altri come noi.
Ma tutti questi progetti, non solo i nostri, vedono la luce se valorizziamo gli esseri umani che possono creare tutto questo.
Se siamo utili, se sono utili gli insegnanti, i formatori, gli artisti, i tecnici, tutte e tutti coloro che permettono di avere una vita culturale, è questo il momento di farlo capire. Concretamente.