RENZO FRANCABANDERA | Il carrello della spesa e nemmeno di quelli buoni, di metallo. Uno di plastica, verde e giallo. Campeggia solitario al centro della scena, in una luce bluastra.
Siamo in uno spazio indefinito, un non luogo dell’immaginazione, connotato da un elemento specifico a cui ricondurre l’abitato per l’Apocalisse tascabile di Niccolò Fettarappa Sandri.
Ci sono momenti in cui il pubblico teatrale si ritrova compiutamente di fronte ad una nuova rappresentazione del proprio tempo, solitamente per merito di qualche artista che con una opera prima sporca e potente irrompe sulla scena. In quei momenti nascono nuovi protagonisti del linguaggio ma anche spettacoli generazionali, che segnano le discontinuità o i momenti di passaggio.
Fu così 12 anni fa per il Post-it di Sotterraneo, che aprì la strada a un gruppo di compagnie indipendenti accomunate dall’idea di forme stilistiche innovative, discendenti in parte dalla rivoluzione del teatro d’immagine. Il secondo decennio del 2000 ha già conosciuto spettacoli intorno alle complessità delle giovani generazioni, per merito di sodalizi come  Frigoproduzioni a Generazione Disagio, la cui origine si è data proprio sul bisogno di raccontarsi di un segmento della società complesso, nato nel pieno degli sconvolgimenti tecnologici e sociali di questo nuovo secolo. A queste realtà, già attive da anni, si è aggiunto, con un ingresso che non è passato inosservato nel panorama creativo dell’arte dal vivo, Niccolò Fettarappa.
Nell’ultimo biennio, che in realtà per la scena italiana si condensa in pochi mesi, per via delle lunghe chiusure, il suo Apocalisse tascabile ha fatto il pieno di riconoscimenti in diversi circuiti impegnati nella promozione della giovane teatralità indipendente, vincendo In-Box 2021, il Premio della Critica al Nolo Fringe Festival di Milano, il Premio Giurie Unite Direction Under 30 del Teatro Sociale di Gualtieri, e il Festival Dominio Pubblico 2020.
Lo abbiamo visto di recente, programmato nella attenta stagione del circuito Agorà, che propone un’unica stagione diffusa in otto comuni dell’Area Metropolitana di Bologna, fra i quali il Comune di Castel Maggiore, che ha programmato lo spettacolo presso il Teatro Biagi/D’Antona.

Interprete, insieme all’autore-regista, è Lorenzo Guerrieri, formatosi come Fettarappa Sandri nelle pratiche della teatralità indipendente romana: fisico imponente e dotato di intensa mimica nel volto, compensa e completa l’altra figura, più esile e pallida, dai colori quasi nordici.
Il loro incontro risale a gennaio del 2019 nel corso di un workshop di scrittura drammaturgica tenuto a Roma da Elvira Frosini, Daniele Timpano e Attilio Scarpellini e pur provenendo da percorsi teatrali diversi, i due condividono l’idea di un teatro esplicitamente politico, capace di descrivere la realtà e la posizione della persona dentro il sistema di produzione e consumo che lo governa. Eccoci quindi tornati al carrello della spesa, al mercato, all’individuo che prima di ogni altra cosa è consumatore.
La drammaturgia inizia così, con i due che recitano un mélange quasi grammelot di brandelli di réclame dal sapore vintage, roba di anni fa, come la canzoncina anni Trenta che apre lo spettacolo e che inneggia alla sempiterna crisi e poi slogan anni Ottanta e Novanta. I due vanno avanti e indietro sul palcoscenico, come ossessi fra le corsie di un supermercato mentre recitano questo rosario pubblicitario. A tratti si scontrano, incapaci di evitarsi, frenetici nel loro ricordare slogan per gli acquisti, ami gettati per l’abboccamento di pesci affamati di esche facili.
La forma di queste esche è progressivamente cambiata negli anni, prendendo poi le sembianze dei motivatori dell’io spirituale o di guru dell’auto-rappresentazione e dell’auto-imprenditorialità, pronti a consigliare come affermare se stessi e prendere parte al banchetto della ricchezza, imparando in qualche modo a sbranare.
Sotto un piazzato che vuole esplicitamente richiamare una coscienza viva della sala, quasi brechtiana, si viene portati come nelle novel di Zerocalcare, in una periferia romana in cui senza alcun preavviso, Dio compare in un supermercato e annuncia la fine del mondo. A questa divinità del consumo si contrappone la fragile e sfibrata identità del personaggio interpretato da Fettarappa, un giamburraschino fallito, tardoadolescente in cerca di direzioni di vita ma nient’affatto convinto di dover abboccare a questi ami per immaginarsi in un qualsivoglia futuro possibile.
Il testo è sempre vorticoso, non ci sono pause, in un ritmo brillante che può ricordare quello della stand-up comedy per il tono caustico e per il finto dialogo con la sala che di tanto in tanto si sviluppa, ma è uno schema che lo spettacolo stesso mette in crisi, un narrato desaturato, che proprio mentre finge il dialogo si riporta al di qua della ribalta, e torna a richiudersi nella rappresentazione.

Alle parti comico-satiriche ambientate nel piazzato di palcoscenico se ne contrappongono altre di tono tragico-immaginifico, distinte dalle prime per le luci artificiali, ora fucsia ora bluastre, in cui si rivela l’autocoscienza del fallimento.
Il testo a volo d’uccello affronta le grandi angosce dei millennials, dal mostruoso paradigma del successo irraggiungibile alla tangibile impossibilità di modificare le regole di un gioco governato dalla finanza globale, dal sistema educativo incapace di garantire accesso al mondo del lavoro, al mondo del lavoro stesso come universo dello sfruttamento.
In un testo che ondeggia con grande libertà fra reale e surreale, restano distoniche e piazzate qui e lì alcune inquietanti immagini di panini farciti di esseri umani, di bambini: sono evocazioni inquiete, che restano nella mente, proprio perchè trasmettono la sensazione dell’inspiegabile e che aderiscono al paradigma del cannibalismo sociale del tempo presente. La propria soddisfazione passa per la fagocitazione dell’altro.
Il tormentato Fettarappa (che non a caso rievoca e porta su di sè il personaggio di Hoffman ne Il laureato come esempio di dissociato dal contesto) e il suo complice di scena, un convincente Guerrieri, finiscono, nel loro delirio sull’impossibilità di essere, per travolgere il pubblico in un finale in cui gli spettatori vengono fatti bersaglio di un feroce lancio di pupazzetti, appena finiti nel carrello della spesa diventato nel frattempo tritacarne come la macchina mangia ragazzi del video di The wall dei Pink Floyd. Il pupazzo gigante a forma di coccodrillo, incarnazione dello studente Dams, finisce impiccato, mentre il fragile e indeciso Amletino fettarappesco conclude tramortito il suo feroce viaggio nell’autocoscienza, non senza aver portato con sè in questo inferno del tragico la platea, passata dalle malìe della comicità irriverente ad un senso di fallimento che coinvolge trasversalmente tutte le generazioni presenti in sala, da quelle che hanno contribuito consapevoli a questo stato di cose del tempo presente, alle più giovani, che si vedono rappresentate in modo cristallino. Uno spettacolo quindi adatto ad ogni fascia di età, dall’adolescenza in poi, caustico e dolorosissimo. Anzi, più che di visione consigliata parleremmo di visione da rendere obbligatoria dai 16 anni in su, in particolare modo per i genitori con figli adolescenti.
E seppure non ci siano moduli teatrali tecnicamente nuovi in questo allestimento, che nella drammaturgia può ricordare il flusso di coscienza senza pause in stile-Calamaro ma che ha l’odore di pneumatico bruciato de La profezia dell’armadillo di cui il duo in scena rievoca la dialettica, lo spettacolo impone una sua crudissima capacità di aderire ad un canone in-ya-face in salsa prenestina.
Apocalisse tascabile ha il pregio di non giocare con stilemi giovanilistici: è un’opera prima violenta e sporca, giusta pure in certe (poche) ingenuità del segno teatrale animalesco; rivela il talento del regista/drammaturgo/interprete e la capacità di proporsi in modo autorevolmente irriverente, senza mediazioni e accondiscendenze, come deve essere l’arte.
Ci auguriamo che sia un viaggio lungo e ricco di scoperte e proposte dense come questa, quello di Fettarappa Sandri e Guerrieri nel codice che hanno masochisticamente scelto per esprimere se stessi: che il dio del teatro li accompagni, magari offrendogli ogni tanto un 3×2 per qualche produzione. Ma low cost, s’intende. Che lo scaffale del caviale, per i teatranti, è sempre troppo in alto. Irraggiungibile.

 

APOCALISSE TASCABILE

di Niccolò Fettarappa Sandri
con Lorenzo Guerrieri, Niccolò Fettarappa Sandri
collaborazione tecnica Cesare Del Beato
organizzazione Francesco Pietrella

spettacolo vincitore In-Box 2021, Premio della Critica al Nolo Fringe Festival, Premio Giurie Unite Direction Under 30, Festival Dominio Pubblico 2020

con il sostegno di Carrozzerie N.o.t.