ILENA AMBROSIO | “È la prima volta che parlo di questo lavoro. Sono molto emozionata per il debutto”. Al telefono, Giorgia Cerruti, capocomica e, assieme a Davide Giglio, anima fondatrice della Piccola Compagnia della Magnolia, è entusiasta e generosa nel raccontare la nascita di Favola che debutterà al Campania Teatro Festival il prossimo 28 giugno. Il risultato di un pensare attorno al significato etimologico di eresia – dal lat. haerĕsis, gr. αἵρεσις, propriamente scelta, der. di αἱρέω scegliere – e insieme la prima tappa del Progetto Vulnerabili che vedrà la Piccola Compagnia della Magnolia affiancata dalla drammaturgia di Fabrizio Sinisi durante l’interio trienno 2022-2024.

Giorgia, il primo pensiero di questo lavoro risale al 2019. Poi c’è stata la battuta d’arresto della pandemia e ora è riaffiorato. Cosa era all’inizio e cosa è adesso questa Favola?

Sì, l’idea dello spettacolo è nata nel 2019 da un primissimo pensiero attorno al tema dell’eresia. Volevamo lavorare sull’accezione etimologica del termine, riflettendo sul suo senso di atto dello scegliere, svincolato dalle successive devianze ecclesiastiche.
La pandemia ci ha bloccato, sì, ma ci ha fatto anche riflettere facendo diventare il progetto cuspide: da un lato abbiamo continuato a trattare il tema dell’eresia raccogliendo testimonianze in tutta Italia che confluiranno in un docufilm di circa 50 di minuti che debutterà al Torino Film Festival in autunno; dall’altro abbiamo seguito la corrente a noi più consueta ossia quella della creazione di uno spettacolo sul tema dell’eresia e su come questa vada spesso a braccetto con utopia anche questa letta in termini di attivismo, di possibilità di rifondare… Questo ragionamento non poteva non legarsi al mio amore per Pasolini e in particolare per un suo testo che è il Calderon, irrapresentabile secondo me ma del quale ho sempre amato il meccanismo drammaturgico.
Da tutti questi pensieri e in mezzo a queste sollecitazioni ho poi chiarito a me stessa cosa volevo che fosse lo spettacolo: un meccanismo di addormentamenti e risvegli per una coppia che transita in altri corpi, altre epoche, altre possibilità eretiche del proprio esistere; cambiando genere, status sociale, latitudini geografiche e perseguendo la propria scelta attraverso gli orizzonti che mutano.

Questo il soggetto affidato a Fabrizio Sinisi. Perché la scelta della sua scrittura e cosa è diventato l’embrione drammaturgico nelle sue mani?

Ho voluto affidare il soggetto a Fabrizio innanzi tutto perché adoro la sua scrittura che, al di là di un giudizio qualitativo, è proprio un’altra cosa rispetto a ciò cui siamo abituati; lui lavora a un teatro politico che però è anche sempre poetico, detesta il dialogico procedendo per lunghe componimenti poetici; questo mi piace molto, è affine sia a un lavoro emotivo che amo fare sugli attori e con gli attori, sia a un’ipotesi di barocco nel postmoderno.
Inoltre anni fa lui aveva curato per Lombardi/Tiezzi proprio la riscrittura del Calderon, per cui è stato spontaneo chiedere a lui.
La sua scrittura ha trasformato il mio soggetto in una tragedia da camera contemporanea in cui i protagonisti sono un uomo e una donna, personaggi scritti sulla pelle mia e di Davide Giglio.
È un testo nato dopo ore di chiacchiere, durante le quali io non capivo come mai Fabrizio ascoltasse con tanto interesse i miei racconti d’infanzia. In particolare era affascinato dal fatto che quando ero molto piccola, a circa sei anni, sono stata a lungo in coma e ancora oggi io non ricordo per nulla la mia vita prima di quella esperienza, neppure un piccolo ricordo, ho rimosso tutto; per esempio non ho ricordo dei miei insieme visto che hanno divorziato subito dopo quell’incidente, non ricordo la mia casa da bambina…
Ecco, lui ha preso tutto questo e l’ha filtrato nel suo testo: i protagonisti, G e D, sono Giorgia e Davide ma sublimati in una riscrittura poetica in cui non si parla più del mio incidente ma tutto si tiene sul meccanismo di rimozione della memoria di lei.

E a tutto ciò avete dato il nome di Favola, che, per assonanza o dissonanza, riporta immediatamente a un certo immaginario. Come mai questo titolo?

Favola perché G ha rimosso un accadimento della propria vita capitato a lei e alla figlia e, con un procedimento che sta tra il registico e il teatrale, il marito le fa ripercorrere attraverso favole eventi simili per farle ritornare la memoria.
Un dato importante è che D e G sono due attori, ma non per un mera biografia bensì perché lui, di sera in sera, le fa ri-recitare lo stesso meccanismo, facendola entrare proprio come un’attrice in altri ruoli. D è un po’ regista e un po’ marito, è un po’ curatore e un po’ aguzzino.

Dicevi che questi attraversamenti eretici avvengono in altre epoche, in altri corpi. Come si collega questa direttrice trans-temporale con tutto il resto?

La vicenda ha due grosse direttrici: una diegetica al testo che è la storia di una coppia che convive con un trauma rimosso che il marito tenta di far riaffiorare. Ma c’è una direttrice più grossa che è proprio la storia dell’umanità, perché attraverso queste favole lei diventa Pocahontas il cui popolo è stato sterminato dai colonizzatori – a differenza dell’edulcorazione della Disney; diventa una popolana alla corte di Re Luigi che vuole tagliare la testa al re; diventa una schiava nera in una contea del Kentucky che uccide la figlia pur di evitarle la schiavitù. Per cui è come se, attraverso la piccola storia della protagonista, si raccontasse anche la grande storia, anch’essa fatta di sopraffazioni e di rimozioni. È in questo che il testo si fa tremendamente politico.

Una politicità che si dipana lungo una progettualità a lungo termine che è quella del Progetto Vulnerabili. Cos’è questo progetto e qual è la vulnerabilità di cui parla?

Innanzi tutto è un progetto che vedrà sempre me alla regia e Fabrizio alla drammaturgia. Con Favola si tratta di una scrittura originale, poi ci sarà un adattamento di I Cenci da Artaud e Shelley e infine una riscrittura totale dell’Enrico IV di Pirandello.
Quella della vulnerabilità è un’idea affiorata mentre ero chiusa nei miei 22 metri quadri e sentivo che appena saremmo usciti si sarebbe polverizzato tutto. Questo progetto allora si oppone a quel senso di fragilità e morte, sposando una visione ardita che invece sfida la vulnerabilità, non per vincerla bensì per accoglierla, perché si può vivere con la vulnerabilità, è un valore. Favola racconta di una vulnerabilità al tempo, I Cenci certamente all’ingiustizia, ed Enrivo IV racconta una vulnerabilità alle apparenze, a quello che il mondo si aspetta di noi. Sono tre attraversamenti di fragilità umana che tutti noi abbiamo.

In tutto ciò, come si sposa alla drammaturgia di Sinisi e a questo progetto il vostro modo scenico?

Noi negli anni abbiamo portato avanti la nostra ricerca, il nostro modo di stare in scena ha subito cambiamenti e adeguamenti senza rimanere incastrato in desideri e voglie di dieci anni fa. Quella corrente di teatro antinaturalista ed extraquotidiano che ci era propria permane ma in questo lavoro è molto più sfumata.
Favola si svolgerà contemporaneamente sul palco e in una proiezione che dura quasi per tutto lo spettacolo e nella quale c’è anche un cameo di Michele Di Mauro. Due livelli per i quali abbiamo lavorato in maniera diversa: sul palco c’è una sorta di iper-realismo, quasi sinistro nel suo essere simile alla vita; sul video invece abbiamo un lavoro più extra quotidiano, denso nella forma, antinaturalistico perché quella è la zona del sogno, del rimosso di G, mentre il palco è la zona della realtà.
Sono cambiate cose nel nostro percorso, abbiamo asciugato determinati barocchismi per capire dove si sposta oggi l’extra-quotidianità. Favola rappresenta bene questa doppia direttrice.

Una doppia direttrice che ha quindi coinvolto diverse figure nel processo creativo. Che tipo di lavoro è quello della Piccola Compagnia della Magnolia?

È un lavoro che segue un processo a me molto caro per cui da subito siamo tutti insieme in sala. Con Giulio Cavallini, giovane video maker, mio aiuto regista nello spettacolo e direttore di fotografia nelle riprese e con Guglielmo Diana, autore delle musiche originali e curatore dell’apparato sonoro, abbiamo lavorato fin dall’inizio insieme. È un modo grazie al quale si forma un vero e proprio organismo ma anche che preserva quell’ artigianalità in cui tutti possono far esplodere la propria creatività.
Questa artigianalità è quello che, secondo me, dà senso allo sforzo di mantenere in vita una compagnia: difendere un artigianato di gruppo e l’idea che il teatro sia prima di tutto un patto tra artisti. Nel sistema compagnia è questa la fonte battesimale alla quale bagnarsi per creare un microcosmo ideale in cui garantire un tempo di qualità durante le ore di lavoro. Perché quello è tempo della propria vita, e se non è di qualità, che senso c’è?

 

FAVOLA

testo di Fabrizio Sinisi
regia, scena, costumi Giorgia Cerruti
in scena e in video Giorgia Cerruti e Davide Giglio
con la partecipazione video di Elvis Flanella
e di Ulla Alasjarvi, Pamela Baldi, Gianluca Bottoni, Claudio Contartese,enato Cravero, Emma Fresia, Michele Guaraldo, Giulia Mello Ceresa
assistente alla regia Raffaella Tomellini
laborazione scenotecnica, disegno luci Lucio Diana
aiuto regia video, fotografia, montaggio Giulio Cavallini
musiche originali, sound design, fonica Guglielmo Diana
operatore video Marco Rossini
tecnico di compagnia Marco Ferrero
responsabile organizzativo Angelo Pastore
segretaria di compagnia Emanuela Faiazza
ufficio stampa Elisa Sirianni
traduzione inglese dell’opera Rossella Bernascone

Uno spettacolo di Piccola Compagnia della Magnolia
realizzato in coproduzione con TPE/Teatro Piemonte Europa, CTB/Centro Teatrale Bresciano, Teatro della Città/Catania, Gli Scarti/La Spezia
con il sostegno di TAP/Torino Arti Performative; con il supporto in residenza di Teatro di Sardegna, Dracma Centro Residenze (RC), Claps Circuito Lombardo (BS)