ELENA ZETA GRIMALDI | Un festival fatto di corpi quello che si svolge nelle piazze e tra le vie di uno dei più bei borghi d’Italia, Castroreale, sulle montagne della provincia di Messina. InCastro Festival, giunto quest’anno alla sua quarta edizione, ha come focus primario il gesto, il movimento, la danza intesa come corpo agito e abitato, e che a sua volta abita i luoghi, si lega ai territori che diventano parte della creazione artistica. Nei cinque giorni del festival, infatti, si sono svolti sei laboratori (due dedicati esclusivamente ai bambini) quasi tutti legati al territorio, come concept o come spazio di lavoro. Della dozzina di spettacoli serali (tra esibizioni di professionisti ed esiti dei laboratori), tutti in scena nella splendida piazza del paese, molti sono site specific, legati al luogo in cui si svolgono o legati, in senso lato, allo spazio.

È quest’ultimo il caso di Il mondo altrove. Una storia notturna del performer Nicola Galli, ginnasta che si avvicina ai linguaggi del teatro fisico e della danza presso il Teatro Nucleo di Ferrara, e che negli ultimi anni ha lavorato, tra le altre, con la compagnia CollettivO CineticO. La perfomance di Galli ha inizio al crepuscolo, riportandoci immediatamente alla tradizione greca ma anche a tutti quei rituali mistici che individuano nel passaggio, nella soglia, nella comunicazione tra (apparenti) contrari il fulcro dell’esistenza del mondo. Nella splendida Piazza delle Aquile, sospesa tra capo Milazzo da un lato e Tindari dall’altro, davanti alla fontana del paese c’è infatti solo una soglia: un grande cerchio di led ornato di alloro e rosmarino (piante che simboleggiano sapienza e buon auspicio) delimita lo spazio rituale. È infatti il rito, nel suo senso più ampio, tra estremo occidente ed estremo oriente, svincolato da riferimenti culturali, il soggetto del lavoro che ci apprestiamo ad accogliere.

Seduto ai piedi della fontana, a torso nudo, pantaloni neri, ai piedi un paio di jika-tabi (gli stivaletti giapponesi che abbiamo conosciuto nei film di ninja, per intenderci), uno strano essere ci spia attraverso una maschera di metallo e oro, che a primo impatto sembra di legno e ci ricorda le tradizionali maschere sciamaniche africane. Il rumore dell’acqua e gli acuti delle rondini che si attardano a tornare nel nido riempiono il silenzio di questo incontro in cui ci si studia a vicenda. Poi comincia la musica, brani del non-compositore Giacinto Scelsi, e il piccolo essere si alza, cammina con accuratezza intorno al cerchio, a passi svelti e scattosi, uno spirito dei boschi risvegliatosi dal sonno diurno che esplora lo spazio fuori, recuperando e disponendo con cura su un vassoio dei poliedri di legno irregolari, delle pietre cerimoniali, che poi sistema allineate tra il cerchio e il pubblico. Ancora per un po’ l’essere mascherato danza intorno al cerchio, studia la soglia e si prepara ad attraversarla, la prima volta con lenta sacralità, quasi timore, ma poi, via via che prende confidenza con il dentro, con lo spazio altro del ‘tempio sacro’ diviene sempre più facile il passaggio tra i due mondi, tra i due stati di coscienza, tra le due parti dell’essere che divengono man mano sempre più complementari. L’osmosi tra lo spazio dentro al cerchio e lo spazio fuori dal cerchio, attraversando nelle due direzioni la soglia, diviene sempre più frenetica, appassionata, nel passaggio da un approccio reverenziale e quella che potrebbe essere una vera e propria possessione – di una forza mistica sulla figura danzate, ma anche della figura danzante su se stessa e sullo spazio.

A un certo punto, il protagonista sembra essere sopraffatto dalle sensazioni dello spazio altrove: esce dal cerchio, la musica si spegne, con stanchezza trascina i piedi fino alla fontana, si appoggia sul bordo e immerge le mani nell’acqua, mentre guarda lo spazio che lo ha sovrastato. Forse è proprio questo contatto con l’elemento naturale, il ritorno a un’appartenenza ancestrale al tutto, che gli dà nuovamente lo slancio per superare la soglia, con coraggio ponderato, forse anche saggio, e completare il rito.

La netta differenza che inizialmente si nota tra la gestualità ‘del fuori’ − rispettosa, a tratti timorosa, che ci dà quasi la sensazione di una inadeguatezza − e quella ‘del dentro’ – scatenata, a volte febbrile, quasi da possessione −, a poco a poco sparisce: attraversando la soglia e prendendovi confidenza i due apparenti opposti di fondono, osmoticamente, per raggiungere un equilibrio che prima non esisteva in nessuno dei due spazi, ma che adesso permea tutto il luogo.

Concluso il rito, la figura mascherata si piega sulle pietre di legno, ne scombina l’ordine, ci sale sopra coi piedi, accovacciato, mentre con le mani, una a una, le sposta dietro di sé, per poi ritrovarne l’appoggio con i piedi. Varca la soglia, attraversa il cerchio e ne riesce, come camminando sui sassi che affiorano da un fiume, ipnotizzando il pubblico con i suoi gesti accurati, che ormai hanno preso confidenza con gli spazi. Tornato così al punto di partenza, ai piedi della fontana, i sassi rituali diventano un totem che resta lì a guardarci, mentre il piccolo spirito, con la stessa riverenza con cui è entrato spogliata del timore, se ne va e sparisce alla nostra vista, scendendo le ripide scale in fondo alla piazza, nella notte che ormai è scesa.


La performance dura solo una mezz’ora, ma sembra che siano passati svariati giri di orologio. Si è annullata la percezione del tempo, a volte dilatato a volte compresso, tra i gesti insistentemente ripetuti, lavorati in armonia concettuale con le idee di Giacinto Scelsi: come l’artista del suono ripeteva infinite volte una nota, fino a perdercisi, fino a carpire l’essenza mistica di ogni minuscola variazione della stessa frequenza, tecnicamente impercettibile, il rituale del mondo altrove è costruito sulla ripetizione di gesti che ci ricordano a volte gli sciamani africani, altre le danze indiane, i balzi delle tribù latinoamericane, la gestualità del teatro giapponese, a qualcuno gli affreschi del palazzo di Cnosso a Creta, o delle tombe etrusche nel Lazio. Come in ogni viaggio mistico, si alternano momenti di ipnosi, di concitazione, di perdizione nell’invisibile, anche di stanchezza dell’essere in viaggio che però, una volta superata, ci rende coscienti della forza che abbiamo di superare gli ostacoli e continuare ad andare avanti.

Nella performance di Nicola Galli c’è tutta la sacralità dell’azione scenica, del teatro, della danza, della musica ridotte alle radici, ai minimi termini di azione, gesto, suono che ripetuti, curati, vissuti in ogni attimo come fossero eterni, ritrovano tutto il potenziale mistico dei propri albori per lasciarci traghettare verso il prossimo altrove.

 

IL MONDO ALTROVE.
Una storia notturna

produzione TIR Danza, stereopsis
co-produzione Marche Teatro / Inteatro Festival, Oriente Occidente
coreografia e danza Nicola Galli
oggetti scenici Giulio Mazzacurati
maschere e costumi Nicola Galli
residenze artistiche DID Studio / Ariella Vidach, Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave / Kilowatt), Oriente Occidente Studio_Passo Nord
con il sostegno di Rete Almagià