CHIARA AMATO | Alcuni danzatori giocano fra loro e con le sedie sul palco, mentre il pubblico si sistema nelle sedute di velluto rosso.
Intorno una scena scarna: uno schermo sullo sfondo e una trentina di sedie bianche in legno, tutte uguali nell’aspetto, ma di dimensioni diverse. Unico elemento aggiuntivo che apparirà nel corso dell’esibizione, una macchinina telecomandata bianca, che comunica con il bambino nei video che la “guida” da remoto.

Siamo accolti così all’Elfo Puccini di Milano per la prima nazionale, all’interno della rassegna di danZa MilanOltre, dello spettacolo 9 di Cas Public, con la coreografia firmata da Hélène BlackburnOriginaria del Quebec, da più di trent’anni guida la compagnia ed è stata insignita da vari riconoscimenti come il Prix Hommage 2019 per l’eccezionale carriera della coreografa, assegnato dall’Association des diffuseurs de spectacles (RIDEAU), e il Prix Reconnaissance UQAM 2019. A partire da Barbe Bleue, del 2004, ogni sua opera ha riscosso un successo nazionale e internazionale.
Negli ultimi anni i suoi lavori hanno continuato a concentrarsi sulle nuove generazioni e sui giovani danzatori, in ossequio al credo dell’importanza della trasmissione di esperienza.

Il titolo è un omaggio alla monumentale grandezza della Nona Sinfonia di Beethoven, che infatti accompagna, con  un’enfasi specifica sull’Inno alla gioia, molti momenti della performance, ripetendosi in modulazioni, riletture ed esecuzioni diverse, nelle musiche pensate da Martin Tétreault che rendono solenne il movimento dei protagonisti, anche quando in contrasto con i video di luoghi dismessi e trascurati alle loro spalle o i versi animaleschi da loro emessi.


Michael Slack
ha previsto per i danzatori una mise molto semplice grazie alla quale il movimento è ciò che risalta e non il “contenitore”.
I sei interpreti infatti sono vestiti con colori neutri e scuri: pantaloni neri e camicia grigia. Come se indossassero un’uniforme. Un elemento egualitario rafforzato nello sguardo anche dal fatto che durante la performance ripetono per ogni scena tutti le stesse sequenze, al massimo variando il verso che emettono (uno gorgheggio, uno shhhhh fragoroso, uno schiaffo irruento in volto, un miagolio).

In questa uniformità di azioni e compattezza formale, lo spettacolo non si suddivide in veri e propri atti o sequenze, ma in un fluire di brevi quadri che si ricollegano fra di loro per elementi coreografici e per la ripetizione di musiche; come se le parti si inseguissero e si ricollegassero a distanza, anche durante momenti molto diversi. E nell’arco della performance il disegno della Blackburn spinge i performer verso i limiti dell’esperienza corporea e ne aumenta le capacità espressive superando il fisico, affidandosi dalla tecnica: mescola i passi del balletto e della danza contemporanea, fondendoli tanto da rendere difficile distinguere dove finisca uno e inizi l’altra.

Assistiamo a scene come il passo a due in cui Norika Isomura, sulle punte si muove eterea portandoci alla visione del più classico dei balletti classici e pochi minuti dopo la vediamo abbaiare spezzando il suo corpo come una marionetta, prima di fracassarsi al suolo.

A incorniciare questo intreccio, le luci e il disegno sonoro, particolarmente curati in tutto il lavoro: le prime, disegnate da Emilie B-Beaulieu sembrano parte del lavoro espressivo della compagnia, diventando quasi quel danzatore in più, che duetta con gli altri, appropriandosi di tutti gli elementi del movimento. Il gioco che le coreografie instaurano con l’alternarsi dell’accensione e dello spegnimento dei fari, che accerchiano i danzatori, emoziona e suggestiona la visione intera dello spettacolo. I danzatori sembrano dettare il ritmo e la direzione dei coni di luce, che si spostano con il loro librarsi sul palco e al loro schioccare di dita.
Il risultato è sorprendente per armonia, estremamente dinamico, pur con una struttura semplice e pulita.

Il tema dell’ascolto – al di là del tema musicale alla base della performance – è evidente fin dall’inizio, in quanto i video realizzati da Kenneth Michiels sono incentrati sulla figura di un bambino che porta un apparecchio uditivo e le didascalie, pur non collegate da un filo narrativo, che li accompagnano sono tutte incentrate sull’ascolto dell’altro e sul silenzio (il bambino urla, gioca in silenzio con altri bambini, attiva e disattiva il suo apparecchio uditivo etc).
Non appare evidente un legame con altre sequenze video in cui le coreografie che vediamo sul palcoscenico si specchiano nel grande schermo, come un paesaggio sul mare. L’effetto che ne deriva è estremamente suggestivo e funge da cassa di risonanza. L’immagine proiettata a cui si assiste raddoppia letteralmente la realtà.

Sicuramente di spunto e approfondimento per la coreografa canadese è stata la collaborazione pluriennale con un ballerino come Cai Glover, che ha sfidato la sua disabilità uditiva attraversando questo viaggio, proprio come Beethoven.
Glover, che ormai fa parte della compagnia Cas Public da nove anni, ha ballato precedentemente con Atlanta Ballet, Ballet Kelowna, MOVE la compagnia, EZ Danza e molte altre realtà artistiche, facendo un lavoro su sé stesso per combatte i limiti del silenzio e far diventare il movimento un linguaggio, come deve essere per l’arte, che non è altro che un continuo creare un linguaggio alternativo a quello della “semplice” parola che è convenzione.
Con la danza, il performer sviluppa quindi un proprio modo di parlare che alla fine dello spettacolo chiude il cerchio: indossa l’apparecchio acustico affinché “ascoltiamo” come accade a lui di ascoltare.
Cala infatti il silenzio, e il buio, rotto da un fragoroso applauso per questo lavoro estremamente delicato, capace di far udire il suo messaggio sottovoce, in silenzio.

9

coreografia Hélène Blackburn
interpreti Cai Glover, Gianni Illiaquer, Norika Isomura, Adrian Maxwell-Campagna, Zack Preece, Élodie Scholetes-Labrecque
drammaturgia Johan De Smet
musica Martin Tétreault
video Kenneth Michiels
luci Emilie B-Beaulieu & Hélène Blackburn
scenografia Hélène Blackburn
costumi Michael Slack & Hélène Blackburn
stampe Richard Ferron
fotografie Damian Siqueiros

produzione Cas Public & Kopergietery, coprodotto con Spect’Art Ri- mouski e Place des Arts de Montreal.
Residenze artistiche a Place des Arts de Montreal, a Maison de la Culture Mercier (Montreal), a Maison de la culture Frontenac (Montreal), Kopergietery (Gand), the Tarmac – la scène internationale francophone (Paris) e Banff Center (Alberta)