SARA PERNIOLA | La compagnia faentina Menoventi da sempre caratterizza i suoi lavori creando particolarissimi incontri tra diversi generi estetici, investigandone i rapporti di intersezione. La letteratura, il cinema, la fotografia, così, divengono dei sistemi di pensiero basilari sui quali costruire gli spettacoli: il teatro si incunea tra di loro e alimenta quel cortocircuito tra realtà, finzione e rappresentazione da cui Menoventi trae linfa vitale.

Nel pensare a quale risultato può portare questo processo in relazione alla drammaturgia/performatività, Entertainment – Una commedia in cui tutto è possibile, ultima produzione della compagnia e dell’associazione culturale riminese Le città visibili, è un esempio pienamente riuscito. Infatti, lo spettacolo – rappresentato al teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno in occasione del festival di arti contemporanee interdisciplinari perAspera, a Bologna e in tutta la Città Metropolitana dal 19 al 25 settembre – ben si presta a evidenziare cosa attraversa e quali differenze ci siano tra i modelli comunicativi della narrazione e dello spettacolo teatrale.
Tratto dal testo drammaturgico di Ivan Vyrypaev – influente attore, drammaturgo, regista e sceneggiatore polacco di origine siberiana – la pièce riesce a essere equilibrata, considerando l’elemento narrativo il trait d’union fondamentale tra i due generi, adattando – nel passaggio dal medium narrativo a quello teatrale – una scrittura elegantemente descrittiva per la scena. 

ph. Fabio Fiandriniph. Fabio Fiandrini

Gli elementi della narrazione, infatti, dialogano con armonia con i rispettivi elementi della comunicazione teatrale, determinando una messinscena resa viva dal connubio tra voce narrante e regia, personaggi e scena, tempo e pubblico, attori e ritmo. La linea registica è elegante e coinvolgente: transcodifica il testo scegliendo due attori – Tamara Balducci e Francesco Pennacchia – che al contempo sono anche spettatori. Posizionati in platea, osservano noi, il vero pubblico, comodamente seduto su cuscini e panche del palco: siamo pronti a ricevere una storia dalla natura profondamente pervasiva e che pone riflessioni attorno all’essenza dell’amore e delle sue possibilità, scardinandone i luoghi comuni e presentando le sue illusioni.

L’amore, però, è un sentimento complesso e non lineare, e cela tutto un insieme di problematiche relative alla sua definizione. In più, in relazione a questa performance, c’è da chiedersi da quale punto di vista lo si voglia prendere in considerazione. “Si può amare qualcuno che non c’è?”: questa la domanda dolente e nostalgica che viene reiterata durante tutto lo spettacolo, oggetto di rappresentazione da parte degli attori che riescono a renderne visibile il senso, ovvero che se c’è l’amore tutto è possibile. Che l’amore supremo è quello segreto e immaginato, il quale sposta i parametri della realtà e cambia la rete delle relazioni sociali, i valori di riferimento e le proprie abitudini psicologiche e morali, riuscendo a coinvolgere in questo mutamento anche la forma del mondo e le altre persone amate.
La commedia, quindi, utilizza il concetto di languire tutta la vita per amore come materia drammaturgica, per mostrare come esso possa provocare – almeno nel giardino della mente –  l’accesso a nuove possibilità, azzerando le discontinuità nel passaggio tra realtà e finzione, tra cosa abbiamo e cosa desideriamo. Si proietta, allora, verso un orizzonte di senso più ampio, in cui non solo non si riescono più a distinguere le relazioni e le emozioni reali da quelle illusorie, ma anche il limbo esistente tra attore e personaggio, in cui l’uno continua naturalmente nell’altro e in una dimensione teatrale in cui lo spazio è invertito.

Gli attori/spettatori sono un uomo e una donna che vanno a teatro per assistere a uno spettacolo che li porta a interrogarsi sull’intima natura dell’intrattenimento: osservano e commentano le vicende di Margot e Steve, personaggi estrapolati da una inesistente pièce. Con gli occhi puntati su di noi – sul palco – condividono le loro intuizioni sia sulle dinamiche delle relazioni sia su quelle della finzione teatrale, confondendo i piani e ponendo domande  su dove finisca l’illusione e inizi la realtà. Un ottimo procedimento metateatrale, dunque, che ha come riferimenti Beckett e Shakespeare, Plauto e Pirandello.
Ci ritroviamo, così, in una sorta di “trappola” della verosimiglianza. Siamo tutti attori e tutti personaggi, Margot e Steve, individui e fantasmi. Viviamo tutti le loro faccende amorose, reali o immaginate; i loro pensieri e sensazioni a riguardo; i loop in cui si perdono nel dimenarsi tra l’astratto e la concretezza. Ed è in questo frangente che la forza dirompente dell’amore si lancia verso una panoramica dal più ampio respiro, aprendo, come afferma il regista Gianni Farina, un «
varco per entrare nel gioco delle parti; l’amore è la forza generatrice che unisce i giocatori e confonde gli scenari, ha il potere di cambiare la funzione dei partecipanti per prepararli a prendere sul serio l’intrattenimento in corso».
C’è, perciò, un rovesciamento delle categorie ontologiche: il reale e l’immaginazione, il sentimento vissuto o solo desiderato, ciò che esiste e ciò che non è. Se io senza di te non esisto,
è possibile perdersi nell’estasi, dove il tempo non bada alla propria scansione e non è più un oggetto, ma solo un’idea. 

Questo equilibrio che continuamente si sfalda e si ripristina – ora avanzando ora ritirandosi tra mondi reali e sospesi – viene magistralmente rappresentato dai due attori: con vestiti raffinati e mosse seducenti recitano con un coinvolgimento tale da trasportare in un luogo dell’anima dove sentirsi a casa, in cui si cerca di realizzare l’irrealizzabile, e nel modo in cui un uomo scriverebbe il suo romanzo e cercherebbe di concretizzare un’utopia. Riescono a trasmetterci un’espressione dell’immaginazione generosa e magnetica, ma anche un po’ dispotica e bizzarra, che a un certo punto – quando i due amanti reiterano gli stereotipi del “lasciarsi” – è come se ci gettasse all’interno di un intricato labirinto di scaffali e scale a chiocciola, riprendendo l’insegnamento di Queneau e del suo raccontare la stessa storia in 99 stili differenti.

ph. Fabio Fiandrini
ph. Fabio Fiandrini

Entertainment fa riflettere sul concetto dell’intrattenimento, con un significato importante: siamo circondati da enigmi che spesso non riusciamo a risolvere poiché non hanno una soluzione, non tutti i segreti possono essere svelati. Ed è da qui che la capacità creativa, in simbiosi con l’anima, può tentare di decifrarli. Non si chiede più di capire, non si misura più con l’intelletto, non si nega e non si critica, ma semplicemente si accoglie.

Lo spettacolo è significativo anche per la sua connessione alla contemporaneità: il pluripremiato autore Vyrypaev è un simbolo dei nostri tempi di scontri, censure, crisi culturali. É stato bandito dalla Russia per aver condannato apertamente l’azione criminale di aggressione contro l’Ucraina e i suoi lavori non vengono rappresentati neanche in Polonia – dove vive – a causa del bando sulla cultura russa. In tempi così desolanti, quindi, qualcuno deve pur continuare a investire sul coraggio, poiché, come afferma la stessa compagnia Menoventi, se diciamo che diciamo, accade qualcosa.

ENTERTAINMENT 

di Ivan Vyrypaev
con Tamara Balducci e Francesco Pennacchia
regia Gianni Farina
traduzione Teodoro Bonci del Bene
immagine Magda Guidi
voice over Consuelo Battiston
tecnica Luca Telleschi                                                                                                          foto Fabio Fiandrini, Ilaria Scarpa 
organizzazione Maria Donnoli, Marco Molduzzi
produzione 
Le Città Visibili, E production/Menoventi
I diritti dell’opera ENTERTAINMENT di Ivan Vyrypaev sono concessi da henschel SCHAUSPIEL, Berlino, in collaborazione con Zachar International, Milano                            

22 settembre,                                                                                                                    per Aspera Festival presso Teatro Laura Betti – Casalecchio di Reno