VALENTINA SORTE | È con due debutti nazionali e con due spettacoli molto apprezzati dal pubblico e dalla critica che la compagnia Sanpapié animerà i principali palcoscenici milanesi nei prossimi mesi. Si tratta di quattro proposte molto diverse tra loro, per temi ed estetica.
Dopo Toxic Green presentato in prima assoluta il 5 e 6 novembre al Pacta Salone, trasformato per l’occasione in una discarica a cielo aperto, nei giorni 10-11-12 novembre sarà la volta di Stabat pater, viaggio tra padri combattenti di Alma Rosé al Teatro Litta, un lavoro in cui parola, danza e musica accompagneranno il pubblico nel mondo della disabilità, specificamente nel rapporto tra padre e figlio. Il 19 novembre, invece, il Festival Exister A[1]Bit spingerà gli spettatori a esplorare in una dimensione individuale e collettiva la relazione con l’altro e con gli spazi pubblici, guidati in cuffia dalla 1-Bit Symphony di Tristan Perich. Infine l’altro debutto, Stand by me, atteso per il 2023, porterà in scena la storia del serial killer Dennis Nielsen.

Toxic green © Andrea Bellusci

Per la giovane compagnia milanese non si tratta semplicemente di presentare nuovi repertori o di riproporre spettacoli già noti ma di dialogare con le rassegne e gli spazi che di volta in volta ospiteranno i diversi lavori. Ad esempio il primo spettacolo di questo ricco percorso, Toxic green, è il titolo di punta di Apriamo le gabbie, la rassegna di danza e arti visive nata da Annig Raimondi e Patrizio Belloli, che dal 3 al 12 novembre al Pacta Salone di via Dini esplorerà le nuove estetiche e tematiche del corpo post-pandemia.
In realtà Toxic Green è la conclusione di una ricerca iniziata con From Garbage to Stars, lo studio site-specific per spazi urbani che ha vinto il bando Greening Art, promosso dalla rete Intersezioni del Friuli-Venezia Giulia, con il sostegno di AreaDanza e l’azienda RE49, un brand di calzature a economia circolare.
Lo spettacolo intreccia in modo originale il linguaggio della danza e quello delle arti visive, con un occhio di riguardo per le arti plastiche. I corpi dei performers diventano in alcuni momenti vere e proprie sculture plastiche. E allo stesso tempo le installazioni o sculture sceniche, realizzate da Maria Croce con rifiuti e materiali di scarto, da semplici oggetti scenici diventano veri e propri elementi performativi. Soggetti performativi. Questa sperimentazione di linguaggi (danza/arti visive) e la trasposizione delle funzioni (soggetto/oggetto) è di per sé molto interessante, anche perché l’una è strettamente legata all’altra.

Toxic green © Andrea Bellusci

Ci si rende subito conto di questa sensibilità e attenzione al linguaggio visivo e alla composizione già dall’allestimento scenico. Davanti allo spettatore si offre un bellissimo tableau vivant: una moderna Zattera della Medusa. Antica e nuova allo stesso tempo. Fuori dal tempo e universale. Distopica e post-apocalittica.
Al centro dello spazio scenico, sul fondo, insieme al corpo di qualche sopravvissuto, campeggia una zattera, o forse un’arca. Il resto della scena è occupato da rifiuti galleggianti e tossici sparsi qua e là, veri e propri accumuli di rifiuti, isole di spazzatura. L’orizzonte visivo ed emotivo è quello del rifiuto, del relitto, umano e non. Corpi sfatti e oggetti abbandonati. Alla deriva. Il rifiuto da questione ambientale diventa presto condizione esistenziale, se non addirittura emergenza sociale. Il rifiuto permea ogni cosa – menti, relazioni, orizzonti – tanto che la distinzione tra oggetto e soggetto sparisce. Si tratta di un processo di reificazione dell’essere umano da una parte e di sublimazione dello scarto e del rifiuto dall’altra.

Bellissimi i corpi plastici di Gioele Cosentino e Luis Fernando Colombo che diventano una cosa sola con le installazioni sceniche. Il primo si muove o striscia sulla scena avvolto da un enorme sacco di plastica trasparente che deforma e comprime, ma allo stesso tempo esalta la sua anatomia, i suoi tratti somatici, il suo respiro. Il secondo si muove sulla scena dentro un cassone dei rifiuti che altera la percezione (e l’esposizione) del suo corpo. Plastica e membra si confondono. La contorsione in uno spazio così limitato porta a coreografie miste in cui la scenografia diventa parte dell’anatomia. Beckett ci aveva già visto lungo in Finale di partita, con Nagg e Nell. I Sanpapié portano all’estremo questo processo.

Toxic green © Andrea Bellusci

Entrambi i performers sono attratti da un punto di fuga, la zattera, ma questa non è necessariamente la loro salvezza. Potrebbe sì, sembrare un approdo sicuro per i nostri due naufraghi, ma in realtà si rivela presto un perimetro pieno di insidie. Ad attenderli fin dall’inizio c’è un altro sopravvissuto, Matteo Sacco. Miserabile tra i miserabili, rifiuto tra i rifiuti. L’enfer c’est les autres, diceva qualcuno. Ma qui non si tratta di un generico antagonismo tra uomo e uomo, homo homini lupus, ma di odio e ingiustizia sociali. Anche chi ha pochissimo, ovvero una mela su una zattera in mezzo al nulla, pensa di poter sopraffare chi ha meno di lui.
Inizia così una lotta di tutti contro tutti. Chi detiene il potere aizza, l’uno contro l’altro, chi non ce l’ha. Ci si contende un pezzo di mela. Ma chi è privo di qualsiasi cosa ha la vista offuscata dall’impellenza dei propri bisogni, dallo stato di privazione – non solo materiale – in cui vive. È un vicolo cieco. Ecco allora che le note di un canto partigiano, Fischia il vento, aprono un possibile orizzonte, un’alleanza. Si possono unire le proprie forze per trovare insieme la salvezza. La lotta dell’uomo contro l’uomo diventa una lotta di classe, una lotta più consapevole ma ugualmente sadica e cannibale. Altro vicolo cieco. Altro loop.

E allora, quale mondo possiamo immaginare quando il cambiamento sembra reso impossibile dall’accumulo, dall’abbandono e dalla condanna a ripetere se stessi e i propri errori? Questo l’interrogativo che ha guidato Lara Guidetti nello sviluppo di questo lavoro. Una possibile risposta è contenuta nella scena finale in cui la lotta fratricida cessa momentaneamente, i tre corpi sfiniti e sfatti dal reciproco odio, ormai più relitti dei relitti, tentano una coreografia corale. Liberi dalla spazzatura che li avvolgeva all’inizio, si rialzano facendo perno sul corpo dell’altro e spiegano una vela enorme in cui si intravede la sigla “ITA”.
Altre alleanze (di corpi) sono possibili?

TOXIC GREEN 

coreografia Lara Guidetti 
danzatori Luis Fernando Colombo, Gioele Cosentino, Matteo Sacco
assistente alla drammaturgia Saverio Bari 
elaborazioni musicali e musiche originali Marcello Gori 
costumi Fabrizio Calanna 
scenografia Maria Croce 
Produzione Sanpapié
Progetto vincitore del Bando Greening Arts
Promosso dalla rete Intersezioni del Friuli Venezia Giulia
Con il sostegno di AreaDanza – azienda RE49 Udine 

6 novembre | Pacta dei Teatri Salone | PRIMA NAZIONALE