CHIARA AMATO | Uno, nessuno e centomila, esito intramontabile della penna di Luigi Pirandello, viene inserito in cartellone dal Teatro Out Off di Milano, per la regia di Lorenzo Loris. Il regista, residente da anni all’Out Off, di cui condivide la direzione artistica con Mino Bertoldo, ha affidato l’adattamento della vicenda pirandelliana, incentrata sullo sfaldamento dell’io di Vitangelo Moscarda, a Renato Gabrielli. Il drammaturgo e sceneggiatore, impegnato con il teatro dal 1989, e che attualmente insegna alla Scuola Paolo Grassi e alla Luchino Visconti di Milano, ha debuttato all’Out Off proprio in questa primavera con la sua commedia Basta Problemi.

All’ingresso in sala tre lapidarie didascalie proiettate su un telo informano il pubblico della presenza di un Moscarda “al cubo”. Sulla scena, ideata dallo stesso Loris con Luigi Chiaromonte, sono posizionati partendo da sinistra, due fili elettrici con le luci che penzolano come liane, al centro tre pannelli rettangolari, e sulla destra ancora le stesse luci, in modo da racchiudere lo sguardo del pubblico in una sezione di palco di forma trapezoidale.
Tale cornice viene mutata in medias res dagli stessi attori, vista la struttura dotata di rotelle di tutti gli oggetti di scena. I pannelli diventano la tela bianca dove, all’occorrenza, vengono proiettati video, opera di Stefano Sgarella, che portano l’immaginazione della platea all’ambientazione casalinga del protagonista, alla chiesa di paese e all’aperto, in corrispondenza con le parti ambientate in esterno. Gli unici due video di ispirazione arte astratta rimandano vagamente al cubismo picassiano, con un intreccio di volti e colori.

Loris sceglie per il ruolo più carico di complessità una figura d’esperienza  del teatro milanese: Gaetano Callegaro, calca le scene dal 1976, fondatore della Coop. Teatro degli Eguali – Teatro Litta, di cui attualmente è anche Direttore Artistico e Presidente, portatore di quella padronanza dello spazio teatrale che solo l’esperienza dà così pienamente a un attore, creandogli attorno un’aura.
L’inizio dello spettacolo chiarisce immediatamente il fulcro della vicenda, quando Moscarda si specchia e riscontra che le persone non lo percepiscono per come lui si è sempre visto. Partendo da un episodio di una semplicità elementare: la vista del proprio naso, si assiste a una moltiplicazione dell’io agli occhi della moglie (Stella Piccioni) e dei suoi amici/nemici (Mario Sala).
Il riadattamento che Gabrielli fa del testo si articola per lo più in parti dialogiche: tra i due Moscarda; fra il protagonista e la moglie, che lo distoglie dalla sua ricerca di isolamento; il chiacchiericcio del paesino intorno alle sue stranezze; le liti con suoi compaesani e l’incontro finale con Annarosa.

ph. Stefano Sgarella

I tre attori indossano i panni di tutti i personaggi, anche quelli solo accennati, utilizzando il palco stesso come camerino per cambiarsi d’abito o le pareti mobili come separé per entrare in altre vite. I costumi sono di Nicoletta Ceccolini e restano fedeli all’ambientazione e all’epoca del romanzo: vi è molta sobrietà nei completi grigi dei due uomini e raffinatezza nell’abbigliamento della moglie di Moscarda, sempre sulle stesse tinte. Infine ci sono i poveri del paese, in vesti trasandate e sporche, e il rappresentante del clero in abito liturgico: un codice che non azzarda alcuna stranezza, e anzi cerca un certo realismo.
La bravura e l’esperienza degli attori è innegabile: mantengono sempre coerenza e credibilità verso il ruolo interpretato, riuscendo a caricare di valore quasi ipnotico le sequenze in cui indossano le maschere, realizzate da Gianluca Sesia. Queste coprono solo la parte superiore del volto: sono semplici, lineari e totalmente bianche, come per non fornire allo spettatore un pregiudizio interpretativo o un rimando ad altro che all’hic et nunc.
Queste parti si distaccano dal fluire degli eventi e creano bolle atemporali, dove l’estraniazione del personaggio principale dal suo contesto lo porta lontano da tutti, per seguire il suo flusso di coscienza, i suoi dubbi, le sue paure e la sua rabbia.
Il dialogo con sé stesso ha il sapore di una seduta psicanalitica e di scandaglio del mondo interiore, che urta fortemente con quello esterno: ‘quando uno vive, vive e non si vede… conoscersi è morire’, ‘un nome è un’epigrafe funeraria’, frasi pesanti cui Callegaro regala una cifra e una lettura drammatica.

L’adattamento segue in  maniera pedissequa la trama originale, soffermandosi anche su passaggi che potrebbero avere minore spazio di resa. Per fare ciò viene impresso alla pièce un ritmo molto veloce e incalzante che non consente però di soffermarsi sui topoi su cui questo testo, all’epoca rivoluzionario, volle porre attenzione nel lontano ’26.
Di pari passo con il ritmo frenetico, anche la trasformazione continua della scenografia, ad opera degli attori, finisce poi per risultare ridondante e talora inefficace, perché si svuota di senso diventando un girare perenne, vorticoso e meccanico di oggetti, che affievolisce la partecipazione emotiva. Ad accompagnare la recita ci sono le musiche realizzate da Filippo Ferrari, Alessandro Papaianni, Pietro Rodeghiero, allievi della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado, che dettano un andamento più lento in corrispondenza dei momenti intimi, delle riflessioni dei “vari” Moscarda: segnalano che sta per occorrere un momento di condivisione emotiva tra quegli infiniti io e la platea in ascolto.

ph. Stefano Sgarella

Lo stile di recitazione guarda verso un naturalismo in cui l’attore entra nel personaggio. L’unica scena in cui assistiamo a un leggero allontanamento da un codice interpretativo di stampo più tradizionale, anche se dinamico, è nella scazzottata subita dal protagonista, da parte del mondo che lo circonda. Un’immagine forte ed empirica su quello che spesso la vita appare essere: una ripetizione di pugni che non sempre è possibile schivare. Il protagonista diventa pungiball e vittima di ciò che gli accade intorno, ma soprattutto degli occhi e delle parole altrui, senza possibilità di difesa.
Il testo di Pirandello, profondamente umoristico e amaro, viene riletto da Gabrielli esaltando ulteriormente la chiave freudiana: all’interno dell’essere umano fanno a botte, e a volte scendono a patti, l’es, l’io e il super-io.
La sensazione complessiva, pur nello sforzo di una resa briosa e movimentata, è che non arrivi una lettura di senso nuova, idea che ci pare di condividere con la reazione del pubblico più maturo, che resta tiepida. Una rilettura che forse resta più incisiva per spettatori più giovani, che iniziano a confrontarsi con i dilemmi pirandelliani sulla strutturazione del proprio io.

 

UNO, NESSUNO E CENTOMILA

di Luigi Pirandello
adattamento Renato Gabrielli
con Gaetano Callegaro, Stella Piccioni, Mario Sala
regia Lorenzo Loris
musiche originali realizzate da Filippo Ferrari, Alessandro Papaianni, Pietro Rodeghiero allievi della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado del corso di Composizione (IRMus)
scene Luigi Chiaromonte e Lorenzo Loris
costumi Nicoletta Ceccolini
interventi visivi Stefano Sgarella
luci Luigi Chiaromonte
maschere Gianluca Sesia