ELENA SCOLARI | I “massimi sistemi” sui quali Galileo Galilei ha disquisito nel suo Dialogo (1624-1630) sono quello tolemaico-aristotelico e quello copernicano, uno geocentrico in cui la Terra è fissa e i pianeti le girano intorno e l’altro eliocentrico in cui è il sole a essere il centro dell’universo. Poi le discussioni sui massimi sistemi sono diventate, nel senso comune, conversazioni su grandi teorie con poco aggancio alla realtà concreta delle cose, chiacchiere alte e astratte. Del resto anche l’investigatore più famoso del mondo, Sherlock Holmes, in Uno studio in rosso, diceva davanti a un incredulo Watson: “Voi affermate che la Terra giri attorno al sole, ebbene se noi girassimo intorno alla luna non cambierebbe nulla per me o per il mio lavoro”. E qualcuno è forse ancora tentato di dargli ragione.
E pensare che lo scienziato pisano, messo sotto processo, fu costretto ad abiurare le sue scoperte astronomiche e il suo appoggio alla teoria copernicana davanti alla Santa Inquisizione.

Proprio da estratti del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo e dalle parole dell’abiura di Galileo prende inizio lo spettacolo Processo Galileo, scritto da Fabrizio Sinisi e Angela Demattè con la collaborazione di Simona Gonella e diretto da Andrea De Rosa e Carmelo Rifici (produzione LAC Lugano, TPE – Teatro Piemonte Europa, Emilia Romagna Teatro ERT), andato in scena pochi giorni fa al Teatro Strehler di Milano dopo il debutto svizzero.
I testi citati compongono il primo dei tre tronconi di cui consta il lavoro: uno prevalentemente storico, uno contemporaneo in cui una donna scrittrice è alle prese con studi sull’astronomo ma anche con il proprio lutto per la scomparsa della madre, e un terzo nel quale si discetta di macchine che forse sopraffaranno l’uomo. Sostanzialmente passato presente e futuro.

PROCESSO GALILEO foto © Masiar Pasquali

In una scena grande, spaziosissima (a cura di Daniele Spanò) – niente quinte, i tiri sono a vista come la parete di fondo con cartelli ed estintori svelati – i sei attori si muovono poco, sono come incapaci di padroneggiare tanto agio di superficie e occupano posizioni ridotte, forse a simboleggiare la loro piccolezza in confronto al cosmo.

Galileo, interpretato con la giusta indignazione della ragione da Luca Lazzareschi, ascolta le amorevoli suppliche della figlia Virginia (Roberta Ricciardi) e dell’allievo Benedetto (Giovanni Drago) stando sempre di spalle, come ignorandole fin dall’inizio, già inconsciamente consapevole di un futuro che ancora non conosce ma che sa intuire; la giovane si appella al padre perché smetta di incaponirsi  sulle sue ricerche e torni anche a occuparsi dell’orto, un tentativo di riportare lo sguardo dello scienziato dal cielo alla terra. Intanto Milvia Marigliano, in un cardinalizio cappotto rubino, enumera con ficcante precisione inquisitoria le obiezioni alla teoria galileiana che la Chiesa lanciò durante il processo.
Marigliano è anche la madre di Angela (Catherine Bertoni de Laet), la ricercatrice/scrittrice che nel capitolo sul presente combatte con il dolore per la perdita, dimidiata tra un approccio razionale che identifica l’anima con la mente e uno più emotivo che lamenta la mancanza di quella parte del rito funebre legata al corpo del defunto: “ti hanno cremata ma io avevo bisogno di più tempo davanti al tuo corpo”. Interessante la riflessione che equipara l’esistere alla presenza fisica, al soma. Vari sono poi i richiami alla terra: dalla terra si cavano frutti (l’orto) e nella terra si muore (in scena un rettangolo di terriccio per tomba).

PROCESSO GALILEO foto © Masiar Pasquali

Il personaggio di Angela è centrale perché esprime i pensieri più complessi e che danno il la alla terza parte in cui si ragiona, un po’ confusamente, sulla relazione uomo-macchina. Ne è l’emblema la macchina-pianoforte al centro della scena perché, si afferma nel programma di sala, è uno strumento creato dall’uomo “capace di generare bellezza pur essendo il suo funzionamento regolato da rigide e fredde regole meccaniche”. Le regole sono regole e non è loro richiesta un’emotività, anche il cuore è meccanica e il cervello è un circuito elettrico.
I nodi tematici suonano quindi contraddittori: c’è un elogio alla luce, all’illuminismo della scienza, ma si dice anche che la luce piena offusca il mistero che è parte della vita; c’è un pasoliniano rimpianto della vita semplice (nel personaggio caldo e paesano di Marigliano madre) ma Galileo stesso è un anelito alla conoscenza e al progresso; Angela esclama ‘magari fossimo già macchine che non soffrono’ ma lei deve attraversare il dolore per crescere.
I tre blocchi descritti si compenetrano nella scrittura, sia testuale sia scenica, creando qualche ostacolo alla comprensione dello spettatore, o più precisamente dando dimostrazione di uno smarrimento generale; nelle intenzioni degli autori uno smarrimento dell’Umanità, che finisce però per contagiare le (tante) mani artistiche che a questo disorientamento dovrebbero dare un ordine, almeno teatrale.

C’è poi un personaggio-manifesto (Isacco Venturini), un giovane che impersona tanti ribelli che nella Storia si sono scagliati contro la tecnologia del momento ma anche contro molte altre cose: prima è l’operaio tessile Ludd (da cui il luddismo) che ha bruciato un telaio, macchinario minaccia per i lavoratori, poi passa per le rivolte no global di Seattle arrivando – ovviamente – al G8 di Genova 2001, ma è anche Julian Assange che la tecnologia l’ha usata eccome per spifferare al mondo nefandezze-leaks. Chi è, dunque, questo paladino petulante che ripetutamente cade ucciso (anche lui nel suo rettangolo di terra)? La Verità? La Natura?

PROCESSO GALILEO foto © Masiar Pasquali

Il problema di questa benedetta tecnologia, ce lo diciamo come minimo dalla rivoluzione industriale ma la questione si pone in realtà dalla prima pietra affilata manualmente per tagliare, è l’utilizzo che ne viene fatto (qui c’è un inserto su Prometeo che donò all’uomo il fuoco e il succo è sempre quello) e soprattutto – qui sta il vero busillis poco indagato – nell’utilizzo che ne fa chi detiene il potere. Con tutto il cascame etico dello sfruttamento, della marginalità della persona rispetto al capitale, ecc. ecc.

I costumi di Margherita Baldoni sono sobri, puliti e quasi atemporali. Galileo infatti attraversa uguale e onnipresente le tre epoche e nel suo ben monologo, indubbiamente la parte più trascinante, asserisce che la sua abiura non impedirà alla Terra di muoversi, le stelle vanno e vengono, quella calotta astrale creduta immobile ed eterna è ormai incrinata, come lo statu quo.

Processo Galileo è uno spettacolo in cui lo stordimento prevale, forse anche per la necessità di amalgamare più voci, più mani, più stili; la sensazione complessiva è di uno sforzo teso alla geometria visiva – per esempio nell’uso di tavole di luci fisse (disegno di Pasquale Mari), sospese sopra ogni personaggio, o in quei rettangoli delimitati, oppure ancora nelle linee delle corde che dall’alto cadono come fili a piombo – non supportato da chiare linee di contenuto nel testo. Si mette cioè l’accento su tanti temi, ma nella trattazione (a volte sommaria benché condotta con una lingua mai popolare, anzi così poco colloquiale da risultare letteraria) si sostengono posizioni in contraddizione. E ci si perde un po’, il testo predomina sulla regia.

Nel finale calano tanti soli, pannelli dorati multipli (sempre rettangolari), che oscillano come giganti specchietti per le allodole: l’uomo non sa quale sole guardare, non sa a quale santo – scientifico o credenziale – votarsi. Siamo abbagliati da troppi soli.

PROCESSO GALILEO

di Angela Dematté, Fabrizio Sinisi
dramaturg Simona Gonella
regia Andrea De Rosa, Carmelo Rifici
con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano e con (in ordine alfabetico) Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini
scene Daniele Spanò
costumi Margherita Baldoni
progetto sonoro GUP Alcaro
disegno luci Pasquale Mari
assistenti alla regia Ugo Fiore, Marcello Manzella
produzione LAC Lugano Arte e Cultura, TPE – Teatro Piemonte Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
in collaborazione con Associazione Santacristina Centro Teatrale
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco

Piccolo Teatro Strehler, Milano | 10 gennaio 2023