ELENA SCOLARI | Scoppietta come i ceppi nel camino, crepita come fiamma, illumina, guizza, scotta come vampa, punge e solletica, la lingua di Gadda. Il suo Racconto dell’incendio di via Keplero, pubblicato per la prima volta nel 1940 sulla rivista milanese Il Tesoretto e poi nella raccolta Accoppiamenti giudiziosi (ed. Adelphi), prende spunto da un fatto di cronaca: un incendio accaduto a Milano, in via Boltraffio 1, l’11 giugno 1929. Ne riferì ampiamente il Corriere della Sera e lo scrittore utilizzò alcuni particolari per la sua storia di semi-invenzione, in cui descrive con impagabile ironia come si comportarono i condòmini «dell’ululante topaia», sorpresi dalle fiamme, in una calda giornata estiva milanese, impreparati a un evento che li colpì – democraticamente – tutti allo stesso modo: giovani e vecchi, benestanti e poveracci, uomini e donne.

Anna Nogara, attrice milanese classe 1936 che lavorò anche con Luca Ronconi in più occasioni tra cui l’Orlando furioso del 1970, rimette in scena, grazie al Teatro Franco Parenti, lo spettacolo che fu prodotto dallo stesso teatro nel 1996 e che oggi lo ripropone in cartellone fino al 5 febbraio. L’allestimento è pensato per la sala piccola del Parenti, riorganizzata con due tribunette una di fronte all’altra, in mezzo un corridoio che ricorda le scale del palazzo, unica via di fuga per gli abitanti, e due piccoli palcoscenici ai lati: sul primo solo una sedia e un incendiario pannello rosso, sul secondo una sezione di percussioni attrezzata e animata da Marco Scazzetta (forse un po’ sovradimensionata rispetto alla effettiva presenza), contrappunto ritmico e sonoro alla narrazione. Nogara indossa una lunga veste rossa, calzini rossi senza scarpe come gli incendiati che hanno dovuto scappare di corsa; la chioma fulva la fa assomigliare a una fiammella che saltella  avanti e indietro tra gli spazi.

Come in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana il palazzo è al centro, il pubblico vede sfilare lungo quel corridoio di scena i coloriti personaggi del condominio, dai nomi antichi e che profumano della Milano anni ’30: il poeta italo-americano Anacarsi Rotunno, Flora Procopio di Giovan Battista di anni 3, lasciata sola in casa con un pappagallo, la signora Isolina Fumagalli, il Besozzi Achille pregiudicato “in linea di furto”, Balossi Ermenegildo di Gesualdo di anni 17 (l’Ermes di Cinisello), il vecchio beone Zavattari e Carlo Garbagnati, l’ex garibaldino agonizzante del quinto piano con la sua governante.

È magnifica e piena di calore (e non per l’incendio) l’umanità che Carlo Emilio Gadda dipinge nel racconto e descrive con tocco sferzante ma colmo di benevolenza e attenzione per dettagli a volte squallidi, riportati però con con un affetto infinito. Così, sull’avvinazzato Zavattari, inebetito dai suoi bicerott:

E anche lo sguardo, del resto, velato, immalinconito, affisato lontan lontano dentro il cielo della slóngia, con le due metà superiori dei bulbi celate dalle palpebre ricadenti, in una specie di sonno-della-fronte, anche lo sguardo assumeva una tal quale intonazione di Sacro Cuore, ma era invece il sacro fiasco che funzionava in pieno. Così, ore e ore, col gomito su quel letamaio della tovaglia pomodoro-Barletta, con la mano a penzolare, e l’altra, se non mesceva o centellinava, a grattarsi il ginocchio; così grugnolava  e ronfava di gola per delle ore intere, lungo tutto il declino del pomeriggio, sudato, dentro l’afa e il lezzo della camera, ch’era piena di polvere, con il letto ancora da prender aria, la federa color lepre; coi pantaloni sbottonati da cui usciva una cocca della camicia di notte, con due ciabattazze fruste infilate nei piedi nudi e verdastri, con il respiro breve che pareva scorrere su biglie di muco, coccolando con l’amorevolezza d’una mammina giovine quel suo catarro sommesso di catacomba, una colla che barbugliava, a lente bolle, in un pignattone dimenticato sul fuoco. 

L’andamento dei salvataggi, l’arrivo della Croce Verde, dei pompieri è scandito dagli accenti sonori di Scazzetta, in dialogo consonante con la recitazione disincantata di Anna Nogara, che testimonia la dimestichezza con una popolazione non estranea, con una città che ha visto trasformarsi nei decenni e che ha perso quell’inimitabile cantore della gente, caustico e amorevole insieme.
Su quelle scale si alternano donne in déshabillé per via della calura, altre che perfino nella fuga non rinunciano ai tacchi (e si incastrano nelle ringhiere della balaustra), altre ancora che trasportate in braccio da maschi forzuti non mollano il fagottello dei preziosi nonostante l’emergenza. Si dà poi il fortuito caso del ladruncolo Besozzi che, dormendo di giorno per poter esercitare la professione con il favore delle tenebre, si accorge degli strepiti dell’infante e del di lei pappagallo Loreto al piano di sopra: e che dire della signora Arpàlice Maldifassi, parente del noto baritono, che proprio quel giorno aveva ritirato le gioie al Monte di Pietà e le aveva messe nel cassettone? O del signor Procopio, che per la prima volta aveva dimenticato il suo orologio d’oro sul comò nella foga della fuga?
Tra asciugamani color topo di chiavica, scarpe mezzo sfatte come vecchie torpediniere, ottomane pisciose e mongolfiere di tappezzeria carbonizzata, si snocciola la favolosa processione infuocata che Gadda fa rotolare giù dalle scale di un palazzo in via Keplero, forse a evocare con i suoi vorticosi movimenti le traiettorie dei pianeti descritte dall’astronomo.

Il racconto dell’incendio di via Keplero è un gioiello letterario che ben si presta alla traduzione teatrale nel corpo e nella voce di un’interprete che maneggia con familiarità quel vocabolario rutilante e tutto l’immaginario – visivo, olfattivo e cromatico – limitrofo a quell’area di memoria.

In sala era presente una classe di scuola superiore che ha seguito un po’ attonita questa cavalcata meneghina condotta in una lingua lontana dalla loro, piena di vocaboli desueti come dagherrotipo o di espressioni dialettali come magütt (muratore), una lingua che volutamente mescola termini elevati ad altri volgari proprio per ridurre la separazione tra narratore e personaggi, il tutto calato nel contesto di una Milano assai diversa da quella che loro vivono. Chissà se hanno potuto cogliere l’atmosfera neorealista (e che tanti di noi conoscono proprio grazie al cinema e non per esperienza diretta) di un racconto che tanto dice di un’epoca tramite lo sguardo di chi la abitava e di chi la osservava con occhio  arguto e sagace.

L’ultimo sorriso è per il cavalier Carlo Garbagnati, l’ex garibaldino (proprio uno dei mille di Marsala, non dei cinquantamila del cinquentenario…) che “non ostante le urla della domestica Cesira Papotti, s’era ostinato a voler portare a salvazione le sue medaglie, contro ogni evidente criterio di opportunità”.
Un racconto che sa di Sofà e angoliere, credenze e luganeghini, tram e biscotti di Saronno.

IL RACCONTO DELL’INCENDIO DI VIA KEPLERO

di Carlo Emilio Gadda
interpretato e diretto da Anna Nogara
percussioni Marco Scazzetta
elemento scenico Elisa Montessori
produzione Teatro Franco Parenti

Teatro Franco Parenti, Milano
25 gennaio 2023