CHIARA AMATO | Nel maggio ’22 il Piccolo Teatro di Milano ha tenuto il Festival Presente Indicativo, ispirandosi alle parole rilasciate su Avanti! nel 1975 da Giorgio Strehler, in merito a un teatro della storia, nella storia e per la storia: “l’uomo in prima persona: che è nella storia, che è fatto dalla storia, che la subisce la storia, ma nello stesso tempo la fa la storia, la sua e quella degli altri, la modifica, la porta avanti o cerca di arrestarla o arretrarla. L’uomo che pensa e agisce sempre politicamente, ma che vive anche umanamente”.
Su questa scia e dentro questa cornice ideale e di programmazione si inserisce lo spettacolo FRATERNITÉ, Conte fantastique, scritto e diretto da Caroline Guiela Nguyen: autrice e regista di cinema e teatro e direttrice del Théâtre National de Strasbourg. Nel 2009 ha creato la sua compagnia teatrale Les Hommes Approximatifs, il cui lavoro attinge alle storie di vita e alle biografie degli stessi interpreti, ponendo al centro della scena corpi e storie a cui il teatro generalmente presta poca attenzione.
È nel 2018 che inizia il percorso di lavoro con la sua compagnia per il ciclo FRATERNITÉ, che conta tre creazioni: un film co-prodotto da Les Films du Worso, Les Engloutis, FRATERNITÉ – Conte fantastique, realizzato nel 2021 e L’Enfance, la Nuit, andato in scena allo Schaubühne di Berlino nel 2022.
L’ideazione di questo spettacolo è nata in Italia, però, dopo l’incontro con Cristina Cattaneo, autrice del libro Naufraghi senza volto, che narra delle vite dei migranti spezzate in mare e ha lo scopo di ridare dignità identificando questi ‘morti di speranza’. In conferenza stampa la regista ha dichiarato di aver scoperto così che a Roma e in Francia esistono uffici dedicati al ricongiungimento familiare tra i “sommersi”, vittime di esilî, migrazioni e sparizioni, e le loro famiglie.
L’aver trascorso molto tempo in questi uffici è evidente non solo nella struttura drammaturgica ma anche in altri elementi dello spettacolo, che si articola in due atti.

La storia racconta un’eclisse che fa scomparire la metà della popolazione mondiale, e nelle tre ore di spettacolo il palco si trasforma in un “Centro di Cura e Consolazione”, per chi resta e non ha potuto dare sepoltura a chi non c’è più, per chi resta e non sa darsi una risposta su cosa sia accaduto. Uno spazio unico per tantissime storie: sul palco infatti si muovono tredici attori, professionisti e non, (Dan Artus, Saadi Bahri, Hoonaz Ghojallu, Maïmouna Keita, Yasmine Hadj Ali, Nanii, Pierric Plathier, Alix Petris, Lamya Regragui Muzio, Saaphyra, Vasanth Selvam, Anh Tran Nghia, Hiep Tran Nghia) dai diciotto agli ottant’anni, che parlano diverse lingue (francese, inglese, arabo, vietnamita, tamil) a testimonianza delle differenze sociologiche, spirituali e culturali, e che conferiscono una caratteristica di particolare realismo al fatto scenico. Assistiamo quindi all’attesa dell’impossibile, all’attesa che le persone scomparse tornino in vita, magari con una nuova eclissi.
Il sipario argenteo si apre e la scena (realizzata da Alice Duchange e Atelier du Grand Théâtre de Loire-Atlantique) vede sulla sinistra una stanza chiusa, dove è possibile registrare i messaggi da inviare agli scomparsi nello spazio iperuranio, e uno schermo sul quale, in alcuni passaggi dello spettacolo, appaiono volti con la funzione di voce narrante, che mettono insieme in un collante drammaturgico in video i pezzi della vicenda; sulla destra invece vengono proposte proiezioni video di carattere scientifico in cui si leggono i dati sul movimento terrestre e dei pianeti. Durante la vicenda, infatti, in modo evidentemente parossistico e surreale, scopriamo che il dolore delle perdite, rallentando il battito cardiaco dei protagonisti, sta fermando lentamente anche il moto dell’universo, impedendo così che riaccada una nuova eclissi.
Il primo atto si conclude con un momento canoro molto toccante di musica rap, in lingua francese: il canto di una ragazza che non rivedrà mai il proprio fratellino.

ph. Christophe Raynaud de Lage

Le musiche (opera di Teddy Gauliat-Pitois, Antoine Richard) hanno un ruolo fortemente narrativo nello scorrere dello spettacolo e assecondano lo stato d’animo addolorato dei cuori dei sopravvissuti: hanno un tono lirico, da opera, ed esprimono solennità e senso di solitudine.
Proprio questo senso di solitudine è quello che la Nguyen vuole colmare con la parola fraternité, a lei molto cara, come ha dichiarato in un’intervista: è un termine molto più pieno di compassione o compenetrazione, perché “contiene in sé un senso presente (indicativo) di attuazione dell’accompagnamento che l’altro può aggiungere al nostro percorso. Questo è ciò che accade nel nostro Centro di Cura e Consolazione: gli attori interpretano una collettività che si fa famiglia”.

Nel secondo atto invece assistiamo al processo di cancellazione dei ricordi dolorosi, da parte dei protagonisti, attraverso un programma chiamato MEMO, al fine di migliorare la situazione di stallo durata anni. L’obiettivo resta sempre quello di provare a recuperare i propri cari ma nonostante gli sforzi questo non avverrà.

Il tema dei profughi del mare, la metafora dei sommersi contrapposti ai salvati, torna in diversi momenti: nel primo atto di fronte al dolore di un uomo (Sebastian) che ha perso la propria moglie, viene detto infatti che non si deve ‘mai impedire a un uomo di piangere, altrimenti annegherà nel suo dolore’; e ancora, nel secondo atto, una figlia inventa per il proprio padre una giustificazione della scomparsa materna, fingendo un annegamento in mare.

ph. Jean Louis Fernandez

La difficoltà e la violenza della situazione narrata sul palco spinge la scelta registica verso il genere fantascientifico, allontanandola dalla realtà per la quale non trovava parole: ‘la dimensione della fantascienza mi ha permesso la giusta distanza per parlare di alcune cose’ e attraverso ruoli fittizi far avvenire quel riconoscimento delle persone e delle storie.
A questo elemento viene quasi contrapposta stilisticamente una recitazione assai realistica, senza nessun orpello lirico né forzatura enfatica, ottenuta indubbiamente con la fusione fra competenze attoriali e  istintività dei non professionisti. Su questa scia quasi veristica si colloca la decisione di far indossare agli attori panni (ideazione di Benjamin Moreau) appartenenti al quotidiano: non c’è distanza fra chi è sul palco e chi in platea ma anzi vicinanza, non c’è distacco tra le tipologie umane che si presentano sulla scena e il loro osservatore.
Lo spettacolo nel suo complesso riesce a reggere e analizzare la pesantezza del dolore, alternando questi racconti, talvolta ripetitivi come ripetuti sono purtroppo i naufragi e le migliaia di morti, sul tema della perdita.
Centrale è il tema della cura che tutti hanno nei confronti del prossimo, all’interno di questo micro-mondo di superstiti. La questione della cura è nodale in tutte le opere del ciclo Fraternité, anche per via della collaborazione della regista francese, durata otto anni, con l’Istituto Penitenziario di Arles, dove ha scavato nel tema dell’accoglienza: in quel caso la declinazione di accoglienza riguarda l’incontro con una persona che è stata via per un tempo lunghissimo, lontano dal mondo reale. Questione rilevante anche per il reinserimento sociale dei detenuti alla fine della loro pena.

La collaborazione tra il Piccolo di Milano e Nguyen, iniziata da oltre un anno, proseguirà su questi argomenti cercando di creare, in accordo con il direttore artistico Claudio Longhi, uno “spazio per le lacrime”. Le prossime indagini cercheranno anche di approfondire il collegamento fra il soccorso di vite umane in mare  e la spinta a farlo seguendo un ideale, con una particolare attenzione al tema religioso.

FRATERNITÉ, Conte fantastique

testo e regia Caroline Guiela Nguyen insieme a tutta l’équipe artistica
con Dan Artus, Saadi Bahri, Hoonaz Ghojallu, Maïmouna Keita, Yasmine Hadj Ali, Nanii, Pierric Plathier, Alix Petris, Lamya Regragui Muzio, Saaphyra, Vasanth Selvam, Anh Tran Nghia, Hiep Tran Nghia
collaborazione artistica Claire Calvi, Paola Secret
scenografia Alice Duchange
costumi Benjamin Moreau
luci Jérémie Papin
creazione sonora e musicale Antoine Richard
video Jérémie Scheidler 
drammaturgia Hugo Soubise, Manon Worms

musiche originali Teddy Gauliat-Pitois, Antoine Richard
collaborazione casting Lola Diane
costruzione arredi Atelier du Grand Théâtre de Loire-Atlantique
realizzazione costumi Ateliers du Théâtre de Liège
produzione Les Hommes Approximatifs
produzione delegata Festival d’Avignon, Les Hommes Approximatifs
in coproduzione con Odéon-Théâtre de l’Europe, ExtraPôle Provence-Alpes-Côte d’Azur (Piattaforma di produzione sostenuta dalla Regione SUD Provenza-Alpi-Costa Azzurra), La Comédie – centre dramatique national de Reims, Théâtre national de Bretagne – Rennes, Théâtre national de Strasbourg, Châteauvallon scène nationale, Théâtre de l’Union – centre dramatique national du Limousin, Théâtre Olympia – centre dramatique national de Tours, MC2: Grenoble, La Criée Théâtre national de Marseille, Le Grand T théâtre de Loire-Atlantique, Théâtre des Célestins – Lyon, La Comédie de Colmar – centre dramatique national Grand Est Alsace, La rose des vents – scène nationale Lille Métropole Villeneuve d’Ascq, Le Parvis Tarbes Pyrénées, Théâtre national de Nice, Théâtre du Beauvaisis – scène nationale
coproduzioni internazionali Prospero – Extended Theatre (un progetto cofinanziato dal programma Europe Creative dell’Unione Europea), Théâtre national Wallonie-Bruxelles, Théâtre de Liège, Les théâtres de la ville de Luxembourg, Centro dramático nacional – Madrid, Dramaten – Stoccolma, Schaubühne – Berlino, Théâtre national Dona Maria II – Lisbona, Thalia – Amburgo, Festival Romaeuropa
con il supporto eccezionale di Direction général de la création artistique
con la partecipazione di Jeune théâtre national e dell’Institut français – Paris e Ensatt

Piccolo Teatro Strehler, Milano | 27 gennaio 2023