RENZO FRANCABANDERA | Have a good day! era già stato in Italia alcuni anni fa in una data unica al Teatro Argentina di Roma e poi non più riproposto, ma l’idea del direttore del Mambo di Bologna Lorenzo Balbi di avere in città in occasione di Artefiera il collettivo lituano vincitore del Leone d’oro 2019 – composto da Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė – è stata raccolta con favore dalla città, che in occasione delle repliche (per altro gratuite su prenotazione) previste nello spazio di Teatri di Vita, ha fatto registrare il tutto esaurito. L’evento era promosso dal MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, insieme all’Istituto di Cultura Lituano e all’Ambasciata Lituana in Italia che negli anni si sono fatti forti sostenitori della proposta artistica del gruppo di artiste.
Si può dire che sia stato uno degli eventi di maggior successo di questa edizione della rassegna d’arte bolognese, che è stata comunque molto frequentata incontrando un grande riscontro in tutti gli eventi diffusi in tutto il territorio cittadino, alcuni dei quali si sono prolungati per durata anche dopo la chiusura della kermesse.

Il collettivo di artiste è reduce dal clamoroso successo che aveva portato all’assegnazione del Leone d’Oro alla Biennale 2019. Il Padiglione Lituania era localizzato in un magazzino della Marina Militare, poco distante dall’Arsenale di Venezia. Sun & Sea (Marina) era il titolo dell’opera, anche in quel caso un’opera performance che si sviluppava su una spiaggia artificiale popolata per otto ore al giorno da cantanti e comparse (inclusi cani) e osservata dall’alto di un ballatoio. Era la prima volta che la Marina Militare apriva le porte al pubblico. Il team di cantanti era formato da molte voci locali, e anche il successivo catalogo/vinile è stato un grande successo, un progetto, su design di Åbäke, prodotto e stampato dalle Grafiche Veneziane e MaleFatte – Rio Terà dei Pensieri, una cooperativa che lavora con i detenuti della prigione di Santa Maria Maggiore. Il successo del Padiglione Lituania è derivato anche da questo: insieme ai temi toccati, l’opera in sé, l’interdisciplinarietà e la collaborazione di sole donne.

Photo Andrej Vasilenko © Courtesy the Artists

Temi già esistenti in questa opera riproposta a Bologna e temporalmente nata prima, nel 2013, un dato interessante per capire anche la genesi formale e concettuale di Sun & Sea e che rivede le tre artiste all’opera: Vaiva Grainytė (autrice del libretto), Lina Lapelytė (compositrice e direttrice musicale), Rugilė Barzdžiukaitė (regista e scenografa). Anche questo lavoro aveva subito incontrato un grandissimo successo e fu subito selezionato da una giuria dell’International Theatre Institute (ITI) per una presentazione alla finale del concorso mondiale Music Theatre NOW (Biennale per le Arti dello Spettacolo, Jönköping, Svezia), dove ha ricevuto il premio Globe Teana – Theatre Observation. Nel 2014 ha ricevuto il premio Golden Stage Cross per il miglior spettacolo di autori lituani e ha ottenuto due premi al Baltic Theatre Festival (Riga, Lettonia), nonché il primo premio al Festival “Fast Forward” (Braunschweig, Germania). La produzione è stata presentata in numerosi festival internazionali di musica, teatro e opera in tutto il mondo e ancora, come si vede, gira.

Lo spazio performativo modifica la consueta gradinata su cui di solito viene fruito lo spettacolo nel teatro della periferia bolognese vicino a borgo Panigale. Le sedute della platea si trovano, per così dire, al piano terra, in piano, mentre lo spazio agito dalle dieci performer è una sorta di pedana rialzata, ampia giusto lo spazio delle sedie. Ciascuna di loro su un’isola piedistallo, a isolarla comunicativamente e fisicamente da quanto intorno.
Dietro di loro una parete su cui vengono proiettate le sovrascritte con la traduzione del testo in italiano (per altro una delle rare occasioni in cui si può dire che l’opera di traduzione sia stata davvero di alta qualità).
Sulla destra di questo stretto palcoscenico uno spazio di poco più basso, per un pianoforte.
All’ingresso del pubblico le dieci cassiere, dal sembiante e dall’anagrafe assai diversa fra loro, sono già sedute e hanno in mano un foglio plastificato su cui sono attaccati i codici a barre relativi ad alcuni prodotti. Con il noto strumento con cui vengono letti i codici a barre nei supermercati, quasi a forma di pistola con raggio rosso, le cassiere, mentre il pubblico si accomoda, muovono il lettore sul foglio, leggendo così dei codici e producendo i relativi bip bip che moltiplicati per dieci e con un leggero sottofondo ambientale di ‘white noise’ da supermercato, inizia a creare già un ambiente sonoro introduttivo, la cui coerenza con il luogo supermercato viene confermata e in qualche modo esaltata dalle file di neon paralleli che in alto riempiono la sala dal palcoscenico fino all’ultima fila della platea. In questo modo lo spazio della rappresentazione comprende la platea e in diverse occasioni dell’azione performativa le luci vengono accese e spente,  diventano intermittenti, si spengono per creare il buio adatto a permettere la lettura dei sovratitoli.
Di qui in poi la performance ha le caratteristiche di una composizione per voci, piano e sonorità digitalizzate, che includono, come detto, il suono del lettore dei codici a barre  e una certa sonorità ambientale che fa da tappeto alle voci e alla coralità delle protagoniste. Queste sono tali non solo dal punto di vista visivo ma anche dentro la tessitura drammaturgica, che infatti riguarda la narrazione delle vite di costoro in forma dolente, cruda, sarcastica.

Photo Tiziana Tomasulo – replica del 2018 al Teatro Argentina

Dentro un portato lessicale ironico che attraversa tutto il testo, si dipana la vicenda non di questa o quella persona, di questo o quel personaggio, ma proprio di quell’ambiente lavorativo, fra umanità e disumanizzazione. Le voci delle dieci donne così abilmente composte in una coralità qualitativamente alta, vanno poi a creare sequenze monodiche, di cui è protagonista ciascuna interprete, senza che questo corrisponda a un esplicito e soggettivo venir nominate. Infatti nei crediti dello spettacolo proposto nel 2018 al Teatro Argentina, le dieci interpreti, tutte in divisa blu da supermercato, venivano nominate alla voce Cassiere, ma affiancate poi da un fra parentesi che ne delineava il tratto-maschera, lo specifico umano: Indrė Anankaitė-Kalašnikovienė (Cassiera I, duetto della mattina presto), Liucina Blaževič (Cassiera II, la forestiera), Vida Valuckienė (Cassiera III, l’ottimista esaltata), Veronika Čičinskaitė-Golovanova (Cassiera IV, sfrontata, che si dà le arie (una tirata)), Lina Valionienė (Cassiera V, la nuova arrivata), Rima Šovienė (Cassiera VI, la madre dell’emigrato), Milda Zapolskaitė (Cassiera VII, studiosa d’arte), Rita Račiūnienė (Cassiera VIII, una mamma sola), Svetlana Bagdonaitė (Cassiera IX, canta la ninna nanna ai prodotti), Kristina Svolkinaitė (Cassiera X, duetto della mattina presto) mentre Kęstutis Pavalkis (pianoforte) era individuato come il Responsabile della sicurezza, e infatti è vestito in abiti da lavoro anche lui, e con cappellino.

Siamo quindi di fronte a uno spettacolo che vuole raccontare il fatto umano per linee generali. La potenza è proprio in questo doloroso e autoironico racconto in cui la pratica lavorativa del tempo trans-umano viene raccontata in tutta la sua miseria, fatta di banali offerte per consumatori sempre più poveri, finti prodotti deluxe del mondo globalizzato, orari e paghe da fame, sfruttamento, il tutto usando il codice  bizzarro e pieno di inutili vezzeggiativi delle pubblicità dei supermercati che esaltano i cavoletti o il tarallino come se fosse un dono di Dio; che, per carità, lo sono, e a volte non ce ne rendiamo conto, ma diciamo che in questo caso il tema della generosità della natura non si rileva, mentre al centro del dialogo di codificazione e decodificazione fra artisti e platea c’è proprio il rito disumanizzato del lavoro.
Si tratta di una creazione collettiva di grande pregio, interpretata molto bene dal punto di vista canoro e con una mimica minimale capace però di indurre un sottostante di significati di particolare forza penetrativa, tanto che il pubblico alla fine applaude lungamente.
Chiaro dunque il nesso fra questa creazione e  quella che tanto clamore e successo aveva incontrato alla Biennale di Venezia, l’operazione della finta spiaggia con tutti gli umani ad affollarla.
E c’è da dire che in realtà in alcuni posti come i grandi centri commerciali in Asia queste performance sono realtà, parte della vita dei finti villeggianti che ormai siamo, come genere umano, dentro pollai che rivelano ed esaltano, invece che le singole identità, un senso sempre più clamoroso e percepibile di masse indistinte votate a qualche forma di intrattenimento anestetizzante, dietro il quale però si nascondono le pene di ciascuno: è il bordo più significativo dell’indagine artistica e si comprende in modo molto chiaro il valore di autorappresentazione della fine per autosoppressione del genere umano, almeno per come l’abbiamo conosciuto in questi ultimi secoli.
È così triste, visto da spettatori, il nostro passaggio verso l’era delle macchine spirituali di cui si vaneggiava profeticamente a inizio secolo.

HAVE A GOOD DAY!
opera lirica contemporanea per 10 cassiere, suoni del supermercato e pianoforte

di Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė
a cura di Lorenzo Balbi
Libretto: Vaiva Grainytė
Compositrice e direttrice musicale: Lina Lapelytė
Regia e scene: Rugilė Barzdžiukaitė
Lighting designer: Eugenijus Sabaliauskas
Costume designer: Daiva Samajauskaitė
Sound engineer: Arūnas Zujus
Produzione: Operomanija
Cassiere: Indrė Anankaitė-Kalašnikovienė, Liucina Blaževič, Vida Valuckienė, Veronika Čičinskaitė-Golovanova, Lina Valionienė, Rima Šovienė, Milda Švelnienė, Rita Račiūnienė, Svetlana Bagdonaitė, Kristina Svolkinaitė
Responsabile sicurezza: Kęstutis Pavalkis (pianoforte)
prodotta da Operomanija
promossa da MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, Istituto di Cultura Lituano e Ambasciata Lituana in Italia
in collaborazione con Teatri di Vita
evento ART CITY Bologna