ILENA AMBROSIO | È un Aristofane poco più che adolescente l’autore della sua prima commedia giuntaci, Acarnesi, messa in scena nel 425 a.C. e dunque nel pieno della Guerra del Peloponneso. Diceopoli, in greco “il giusto cittadino”, vecchio contadino ateniese, fa di tutto per convincere i propri concittadini a smetterla con la guerra, partecipando con ardore pacifista alle assemblee della polis. Un ardore, però, inascoltato e, anzi, beffeggiato, tanto da condurlo a trattare una pace separata, per sé e la propria famiglia, con gli Spartani. Così se ne torna nel suo podere a celebrare Dioniso mentre la città è in fiamme. Contro di lui si metteranno gli Acarnesi, un gruppo di vecchi e fieri patrioti del demo di Acarne, ma Diceopoli riuscirà a smontare le loro ragioni per la guerra e a convincerli che servire la patria significa prima di tutto cercare la pace.

A questo testo, evidentemente di viva attualità, si è avvicinato Marco Martinelli che, dopo Uccelli, torna al Teatro Grande di Pompei a dirigere i giovani delle scuole del territorio – il Liceo E. Pascal di Pompei, l’Istituto Superiore E. Pantaleo di Torre del Greco, il Liceo G. de Chirico di Torre Annunziata e l’Istituto Superiore R. Elia di Castellammare di Stabia – facendoli incontrare con Aristofane.
Lo spettacolo – produzione teatrale del Parco archeologico di Pompei, realizzata in collaborazione con Ravenna Festival, Teatro delle Albe/Ravenna, Teatro di Napoli-Teatro Nazionale e Giffoni Film Festival – rientra nel più ampio progetto Sogno di volare, avviato lo scorso anno e nato da un’idea del direttore generale del Parco, Gabriel Zuchtriegel.

Nell’orchestra vuota, i giovani cittadini ateniesi entrano uno dopo l’altro, in abiti militari, nella colorata alternanza di luci pensata da Vincent Longuemare e accompagnati dalle musiche di Ambrogio Sparagna: chitarra elettrica, tamburi e strumenti popolari che fanno del trio di musicisti posti sulla skenè un mix tra band rock, gruppo folkloristico e l’equivalente dei musici del teatro greco. Uno dopo l’altro entrano i cittadini – circa una sessantina – e a uno a uno cadono come mosche colpiti dal suono di spari. È la guerra che imperversa ma alla quale gli Ateniesi sono ferventemente attaccati, nella quale identificano la forma più alta di patriottismo. Ciò che l’assemblea cittadina ha a cuore è dunque ingaggiare i migliori chef stellati per l’esercito, gli stilisti da migliaia di visualizzazioni social per le sue divise. Cadono nel vuoto le proteste di Diceopoli, qui Giustino, coltivatore di friarielli; inutile è dimostrare l’evidenza del disastro economico e sociale che la guerra provoca. Del resto lui è solo, e la democrazia coincide con il governo della maggioranza.

E la maggioranza si incarna di volta in volta nei cori con i quali il protagonista deve confrontarsi e i cui interventi Martinelli struttura in precisissimi botta e risposta tra un corifeo e il resto del gruppo: il coro degli Acarnesi, il coro delle seducenti presentatrici della tv locale che, nell’intento di screditare il paladino della pace, si vota a un’informazione tutta gossip e pettegolezzi; il coro dei figli di Diceopoli, una quindicina di bambini e bambine – un manipolo in t-shirt variopinte – che lo convincono ad aprire le porte della sua casa dove regna la pace e dove può riunirsi finalmente la cittadinanza.

L’operazione di Martinelli è nel segno della semplicità ma non della facilità. La sua riscrittura di Aristofane si è tenuta ben lontana dall’aggiungere per creare complesse stratificazioni di senso che potessero agganciarsi al presente. Ha, piuttosto, messo in atto un vero e letterale processo di tra-duzione del testo originario: le immagini, i sensi, i riferimenti del passato sono ripresi puntualmente ma trasposti in immagini, sensi e riferimenti al presente e al contesto territoriale, così da diventare del tutto accessibili alla sensibilità dei ragazzi interpreti quanto del pubblico. Il nome del protagonista, che da contadino diventa coltivatore di friarielli, l’uso del dialetto napoletano, i riferimenti ai social, alla dimensione virtuale delle nostre vite; Pericle che diventa un moderno Ministro della Guerra subito pronto a diventarlo della Pace quando questa torna alla ribalta.
Un processo messo in atto, soprattutto, grazie alla scelta di un testo nato dalla posizione pacifista del suo autore e che quindi può dar voce ai molti che osservano il nostro tempo con sconcerto e insieme con il desiderio pieno di energia di cambiarlo, di urlare, come da sottotitolo, “Stop the war!”. Quale guerra? Quella alla quale immediatamente si pensa, ovviamente, che sta riportando l’Europa nel terrore dei conflitti mondiali. Ma anche tutte le guerre che fanno poco scalpore e tuttavia feriscono l’umanità. E anche, a ben vedere, la guerra che giornalmente e spesso inconsapevolmente si deve deve combattere contro ciò che mette in forse l’identità, che omologa le coscienze e annulla la relazione: la pervasività dei social, la tirannia dei like, la corsa alla visualizzazione, l’informazione gretta e superficiale.

«Bisogna saper resuscitare i classici, immaginarseli quando ancora non erano classici… immaginarseli da vivi, ragazzini, da ribelli e insoddisfatti e scalpitanti, polemici e indisponenti… Se lo interroghiamo, se sappiamo interrogarlo, quel marmo comincia a parlarci». Nel suo Aristofane a Scampia (ed, Ponte alle Grazie, 2016), Martinelli ripercorreva la storia e il metodo della non-scuola delle Albe e a quella storia e a quel metodo non si può non tornare per comprendere un’operazione come Acarnesi. Per questa speciale e peculiare attitudine verso i classici, in primis, ma anche e soprattutto per ciò che il recupero del classico genera a contatto con l’energia dell’adolescente, per quel «fuoco» che nasce dallo «sfregamento di due legnetti»: appunto l’adolescente e la tradizione.
Un fuoco che la non-scuola alimenta dal ‘91 e che si sforza di mantenere acceso per mezzo del teatro, non insegnandolo, perché «il teatro non si può insegnare», bensì facendo in modo che scaturisca istintivamente, come un gioco: «canto, danza, recitazione, non sono che splendidi giochi… attraverso quel gioco, in partenza imitativo, gli adolescenti diventando choreia – ovvero coro, danza e poesia unite insieme – si accendono, si tras-formano, sono innamorati, nel senso di Eros e Dioniso, attraversati da una forza vitale».
E non è un caso, allora, che quella delle Albe sia una poetica che, rispetto ai classici, parla in termini di messa in vita, piuttosto che di messa in scena. Una messa in vita tanto più energica ed entusiasta se a praticarla sono adolescenti; disarmante se quegli adolescenti sono gli stessi che siamo abituati a pensare «apatici, abulici, menefreghisti, opportunisti, barbari che se ne stanno silenziosi in disparte… senza desideri, in fondo in fondo cinici».

Questa nuova messa in vita della non-scuola racconta ancora una volta che il teatro, l’arte possono accendere, far innamorare, che possono vincere la competizione con lo schermo di uno smartphone. Acarnesi dice con forza, urla anzi con la stessa energia dei suoi interpreti che pare vogliano gridare agli adulti, ai genitori, a chi della loro educazione è tutore, che c’è un modo per interessarli, infiammarli. Che il teatro può essere un modo.

ACARNESI STOP THE WAR!

riscrittura da Aristofane
drammaturgia e regia Marco Martinelli
musiche Ambrogio Sparagna
con adolescenti di Pompei, Torre del Greco e Castellamare di Stabia
spazio e luci Vincent Longuemare
costumi Roberta Mattera
aiuto regia Valeria Pollice e Gianni Vastarella
produzione Parco archeologico di Pompei
in collaborazione con Ravenna Festival, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Giffoni Film Festival, Teatro delle Albe/Ravenna Teatro
cofinanziato dalla Direzione Generale Spettacolo e da American Express

27 e 28 maggio 2023 | Teatro Grande di Pompei