ELENA SCOLARI| Orgia, di Pierpaolo Pasolini, produzione Teatro Outoff, è in scena fino al 27 Marzo, regia Fabio Sonzogni, con Sara Bertelà, Silvia Pernarella, Fabio Sonzogni. Il testo di Pasolini colpisce ancora oggi nonostante l’assuefazione agli eccessi.Pasolini ancora ci sveglia e ri-sveglia dal torpore e indebolisce l’effetto dell’etere che quotidianamente anestetizza le nostre reazioni alle brutture del mondo. Menomale.

La sensazione di sgradevolezza che si prova nell’ascoltare parole ancora oggi (il testo è del 1966) tanto taglienti e crudeli dà la prova rasserenante di essere ancora sensibili.

La messinscena di Fabio Sonzogni per Orgia è senz’altro efficace nel rendere il fastidio, l’aria pesante di infelicità e il cupio dissolvi dei personaggi, ma non solo dei personaggi: di archetipi di uomini e donne vuoti e insoddisfatti, che si vogliono annullare fino a compiere gli atti più bestiali.

Sonzogni è in scena, e restituisce, anche se con una recitazione forse non abbastanza carnale, la disillusione, incompiuta anche quella, di un uomo borghese di mezza età che vorrebbe vivere con la moglie l’orgia preparatoria al sacrificio. Emozionante in questo ruolo è Sara Bertelà, perfetta miscela di purezza e squallore, rabbia, lucidità e sudditanza.

La scenografia è minima, fatta di pochi mobili ricoperti con nastro marrone, il tutto risulta fangoso, ci ricorda il colore delle sabbie mobili dalle quali i protagonisti non riescono a sollevarsi, nemmeno con la negativa vitalità dei loro atti.

Difficile ritrovare una trama in un testo così poco teatrale quanto a quota narrativa ma così forte sulla scena grazie ad una parola sempre “chirurgica” e incisiva.

Il teatro di parola evocato da Pasolini e da lui definito “antico e innovatore” è qui realizzato in maniera essenziale, lasciando anche la inevitabile staticità di un teatro la cui sostanza è nel senso del detto e non del fatto. Lo sconvolgimento e l’emozione stanno nella violenta ventata di quello che gli attori pronunciano, gridano, in “una lingua che non distingue più tra morte e vita”. Ed è proprio qui il nocciolo di Orgia: un punto emotivo di così alta saturazione e disgusto verso il mondo, le persone, verso l’amore e i sentimenti da non vedere più il confine con tutto ciò che invece rappresenta la morte e l’autoinfliggersi di offese e lacerazioni, nel corpo e nell’anima.

Nemmeno la gioventù è fatta salva da questa melma vischiosa: nella ragazza-prostituta impersonata da Silvia Pernarella, volutamente svampita, si mostra una certa leggerezza, incomsapevole, che sembrerebbe una via di fuga, ma è solo simbolo di una vacuità a cui ci si può abituare fin da piccoli. Il tentativo dell’uomo di soverchiarla gli servirà solo per avere conferma dell’ossessione della figura materna, del potere femminile sulla forza fisica maschile.

La speranza dei due coniugi è di eseguire un rito che li liberi, ma l’Orgia del marito che osserva la moglie presa da più uomini, lo stereotipo della banda di giovinastri, altra frequente ossessione dell’autore, non avrà alcun esito di alleggerimento.

Lo spettacolo soffre talvolta di qualche pudore nel rappresentare la nauseante cattiveria delle parole, prive di reale cinismo e piene di volontà salvifica verso l’umanità. Addirittura con qualche opinabile ingenuità verso la certezza positiva di un ritorno al mondo contadino, che, per quanto “genuino” non era certo basato sulle sottigliezze umane e le distinzioni che Pasolini rappresenta con la sua opera.

Il testo di Pasolini è un avvertimento a non addormentarsi, a non ritrovarsi sommersi dallo squallore e alle nequizie quando è troppo tardi. Un allarme a scandalizzarsi quando è il caso, e prima che ci sembri inutile.