Sergio BustricFRANCESCA CURTO | “Io non faccio cabaret, il cabaret è una forma di teatro comico dove le battute si leggono, si raccontano e fanno ridere. Benigni mi diceva che «Far ridere con le barzellette è un po’ come vincere una partita ai tiri di rigore».”

Sergio Bini, in arte Bustric, una combinazione scenica fra comicità e poesia, lo abbiamo incontrato a Bergamo dove portava “Questa sera grande spettacolo”, andato in scena il 13 dicembre al Teatro Sociale di Città alta, in occasione della rassegna “Il Teatro Vivo 2014”.
Bustric è attore, clown, illusionista, mimo. Un artigiano del teatro o un “filosofo domestico”, come si definirebbe lui. Ha recitato in sceneggiati televisivi e film da Oscar come “La vita è bella” ed è anche regista.
Però è nel teatro che ci confessa di aver ottenuto le maggiori gratificazioni, infatti il cinema dura nel tempo, ma a volte un ricordo confuso è qualcosa di più di una memoria vera perché, sottolinea Bini, «Il cinema non ti appartiene, una volta fatto è finito quindi non sono più io».
Ma in teatro Sergio/Bustric si sente se stesso e ci ha svelato un poco del suo io.

Qual è la genesi di “Questa sera grande spettacolo” ed il Suo approccio alla drammaturgia di uno spettacolo comico?

“Questa sera grande spettacolo” l’ho fatto due anni fa ed io lo chiamo il mio “Best of” in cui ho messo insieme le cose più belle dei miei spettacoli per farne un punto di arrivo da cui ripartire. Quando scrivo seguo un pensiero, un gioco. Trovo una storia, un elemento, a volte più letterario, come nel caso del mio ultimo spettacolo, “Shakespeare e le nuvole”, in cui voglio cercare i segreti di Shakespeare e cerco di incontrare lui.
In “Questa sera grande spettacolo” l’elemento è flebile, è semplicemente il desiderio di trovare il tesoro, un tesoro. Ma sempre di più i miei spettacoli sono un viaggio, perché il viaggio mi permette di introdurre vari elementi, c’è proprio un bisogno tecnico di ricorrere ad una metafora come quella del viaggio per unire generi diversi.

Il teatro aiuta spesso a far emergere sul palco il proprio Io nascosto. Quanto c’è di Sergio Bini in Bustric?

Sicuramente c’è molto, Bustric e Sergio Bini si sono confusi per molto tempo. Bustric si avvicina sempre di più a Sergio Bini, è sempre più quello che io sono, però che io sono in quel momento, mentre esercito quel ruolo.
Poi nella mia vita privata io sono molto diverso, sono anche molto solitario, non sono molto presenzialista e non amo essere sempre al centro dell’attenzione.
Mi piace vivere la mia vita tranquillo, anche per i fatti miei. Quindi sono due cose molto diverse, se vado a una cena e uno mi chiede di fare un gioco io non lo faccio. Mi soddisfa il mio lavoro nel momento in cui lo faccio e, quando non lo faccio, non faccio altro.

Lei è abituato a lavorare da solo nei suoi spettacoli. Questo perché il mondo degli attori è in realtà un mondo di interpreti solitari?

No, è che semplicemente io ho fatto un istituto d’arte, vengo da una formazione di decorazione pittorica e lì si faceva da solo. E poi uno che scrive, scrive da solo. Legge, guarda, scopre, cerca, non è che fa il lavoro a livello di gruppo.
Non ho predisposizione a lavorare da solo, è un po’ il frutto della situazione;
Poi quando si lavora in gruppo va anche bene, mi piace. A lavorare da soli però ci si gestisce meglio.

Il genere comico è quello che ha riscontrato meno cambiamenti nella storia del teatro. Secondo Lei c’è stata un’evoluzione del comico rispetto agli inizi della sua carriera?

Purtroppo il teatro comico è poco scritto. Il comico letto non è comico quindi questo genere ha una difficoltà di trasmissione proprio perché la battuta comica è fatta di tempi, di silenzi, di azioni che non possono essere scritti e dettagliati. Il vecchio teatro comico non si conosce proprio perché il teatro comico è poco scritto.
Ci sono dei pezzi che possono essere ancora considerati comici, per esempio per me un testo come “Aspettando Godot” sarebbe molto comico se lo si recitasse come è scritto.
In questo caso non credo che il comico sia uno spettacolo che non abbia avuto una sua evoluzione. La comicità ha tanti aspetti e io ho un’idea della comicità che nasce non tanto dalla battuta ma quanto dalla situazione drammaturgica, dietro il comico per me c’è sempre un elemento drammatico di drammaturgia proprio, non di battuta.

A proposito del rapporto tra comico e drammatico, perché il linguaggio comico è solitamente svalutato rispetto al drammatico?

Il comico mette in discussione, fa diventare ridicole delle presunzioni di verità. Il comico per sua natura deve dare lo sberleffo, deve invertire e sovvertire le cose, è qualcosa di pericoloso e sovversivo. Quindi è chiaro che il comico non piace. È più facile che un giornalista parli di uno spettacolo in cui si è rotto le scatole tutta la sera che magari parli benissimo di uno spettacolo che l’ha fatto divertire.

A che punto della sua carriera di attore si sente arrivato in questo momento? Corrisponde alle sue aspettative iniziali?

Arrivati, non si arriva mai! Però sono in un momento in cui il mio pensiero corrisponde alla mia azione, mi sento abbastanza libero, la mia vita privata è serena, quindi sto bene è un periodo bello.
Quando uno comincia non sa mai dove andrà. Io penso che ognuno arriva dove può e si può sempre fare di più o anche meno, meglio ma anche peggio.
Adesso mi sento leggero, devo fare una cosa che non mi annoi quindi faccio quello che mi fa piacere fare. Trovo i gesti e le azioni per raccontare le storie che voglio raccontare e racconto solo ciò che mi fa piacere raccontare.