RENZO FRANCABANDERA | Pasquale Marrazzo, il 10 marzo (fino al 20) debutta al Litta “Prometeo incatenato” di cui è regista e produttore con NOI Cinematografica. Istintività e sensibilità soprattutto nella guida degli attori e nella costruzione delle immagini sceniche sono la cifra di un regista che si muove a suo agio fra cinema e palcoscenico.

Un percorso come regista di teatro iniziato qualche anno fa con “Non si sa come” di Pirandello, cui poi sono seguiti “La donna del soldato” di N. Jordan e “Veronica Voss” di Fassbinder; Prometeo nasce ora da un suo intimo bisogno di misurarsi con il mito classico e la tragedia, e di converso con la cultura greca per eccellenza, per parlare della libertà, tema che al centro anche del suo prossimo film.

unnamed-2.jpgQuesto allestimento vede in scena un gruppo di attori interessanti, composto da Riccardo Buffonini, Pietro Pignatelli, Michele Radice e Désirée Giorgetti con le scene di Giovanna Angeli, i  costumi di Lucia Lappola e le luci di Massimo Foletti. Come noto, il dramma eschileo mette in scena il titano Prometeo di fronte a diversi personaggi divini, senza mai presentare un suo confronto diretto con Zeus. Efesto, il Potere e la Forza lo hanno catturato e incatenato ad una rupe. Zeus lo punisce perché ha donato il fuoco agli uomini, ribellandosi al suo volere. Questo porterà ad una serie di conseguenze inevitabili nel momento in cui l’umano si contrappone al divino, in un dramma che sviluppa uno spazio emotivo di grande potenziale, che abbiamo voluto indagare con il regista.

Come è nata l’idea di questo lavoro e in che modo si è sviluppato il rapporto fra allestimento e mito?

L’idea parte da molto lontano, più o meno da quando ho iniziato a frequentare la Grecia, che coincideva con gli studi universitari in filosofia, dove ho tantissimi amici e ho imparato la lingua che mi ha permesso di leggere il Prometeo in lingua originale. Chiaramente in greco moderno. Quando penso agli elleni, non posso fare altro che considerare l’eredità che questo grande popolo ha lasciato all’occidente e ci tenevo a “omaggiarli.”

Anche in una precedente regia teatrale in cui le vicende si svolgevano in Irlanda fra combattenti IRA, il tema della lotta per un ideale e le costrizioni nelle scelte dovute ai legami personali si ponevano in maniera netta. E’ qualcosa che rientra per così dire fra i topos della tua fantasia e del tuo vissuto?

Ci pensavo proprio in questi giorni, effettivamente faccio fatica ad innamorarmi di personaggi che non dimostrino un certo tipo di carattere. Facendo un passo indietro ci trovo un po’ me stesso. Nella mia vita, fin da bambino, venendo da una famiglia del sottoproletariato e terzo di 11 figli, me la sono sempre dovuta cavare da solo e questo aspetto del mio carattere me lo porto dietro anche nel percorso “artistico”. Questo è se vogliamo fare un po’ di psicanalisi da bar. Altrimenti direi che, in questo momento parlare di cose “minime” mi interessa poco. Preferisco gli universali e Prometeo è un mito/eroe universale.

Come si coniugano oggi la tua pratica teatrale e il medium cinematografico a cui pure ti sei sempre dedicato? 

Sono coniugate dall’amore che ho verso la finzione e ambedue mi trascinano in un turbinio di emozioni. Poter trasferire il proprio pensiero e non solo speculativo ma, soprattutto emotivo, mi provoca un sentimento poetico che non mi fa smettere di reiterarlo.

Cosa rende possibile il teatro che a cinema non si può fare? E in questo caso particolare quali sono le scelte più profondamente teatrali che hai dovuto fare?

Il teatro ha l’immediatezza che il cinema non ha. La messa in scena permette di ricreare una situazione specifica partendo da semplici simboli, cosa che al cinema è praticamente impossibile. Tranne se non realizzi un’ opera fantasy. Il teatro ha un’ambiguità che oltrepassa l’immaginazione, basti pensare che ogni sera lo stesso spettacolo non è mai uguale a se stesso.

Che bilancio tracci a questo punto del tuo percorso artistico rispetto al dialogo fra cinema e teatro?

Non sono mai riuscito a fare un bilancio, anche perché dovrei soppesare quello che è la mia vita nella sua complessità e quando ci penso mi dico di cambiare discorso. Il cinema e il teatro, come ti dicevo prima, si condizionano e si nutrono a vicenda. Sto finendo di montare un film e mi rendo conto di quanto il teatro si sia infilato nella pellicola senza che me ne accorgessi.