VALENTINA DE SIMONE | Secondo un articolo apparso di recente sul New York Times, Pokémon Go non solo accrescerebbe la percezione dello spazio urbano, ma costituirebbe un incentivo a conoscere le nostre città con occhi nuovi, favorendo il contatto e lo scambio con gli altri. Che dare la caccia ad animaletti colorati ci induca a rimettere a fuoco le meraviglie dei nostri habitat sfocati dall’abitudine pare un’idea abbastanza azzardata. Quasi come a voler scovare punti di contatto fra il gioco, divenuto fenomeno sociale in brevissimo tempo, e le derive situazioniste che negli anni Cinquanta guardavano all’ambiente metropolitano come coacervo di suggestioni da (ri)scoprire con occhi vergini, mediante attraversamenti, senza una meta precisa né una finalità predeterminata. Bene, considerare Pikachu un antenato in realtà aumentata di Guy Debord va oltre le più deliranti interpretazioni; è indubbio, comunque, che il potenziale di attivazione dell’applicativo sia notevole, viste le masse in costante crescita di “cacciatori” che quotidianamente affrontano la giungla cittadina per fare incetta dei mostriciattoli. I numeri d’altronde parlano chiaro: ventuno milioni di utenti all’opera ogni giorno solo negli Stati Uniti, e un ritmo di download pari a ottantuno volte al secondo. Cifre del genere, al di là di tutti i ragionamenti e le ripercussioni economiche e sociologiche, ci offrono la possibilità di riflettere ancora una volta sulla fisionomia dei luoghi che oggi abitiamo, sulla performatività aggregativa che continuano ad esercitare a dispetto della solitudine, della diaspora galoppante delle identità.
La leggerezza dell’immaginazione, il mistero di procedere per percorsi noti del nostro vivere consueto, imbattendosi in una dimensione invisibile abitualmente, ma che per un attimo decide di palesarsi e farsi ascoltare. È il solletico dell’ignoto a far mettere in moto i perlustratori urbani, è il bisogno insperato di fantasia che ancora alberga in ognuno di noi a risvegliare la curiosità ingenua e assopita. Lasciarsi andare senza per forza dover arrivare, affidandosi magari a qualcuno, concedersi del tempo per assaporare, anche per perdersi, e ritrovarsi. Cosa significa oggi abitare la città, camminare il suo corpo segnato, violento e sempre più violato dei giorni nostri? E come recuperare uno sguardo attento su di essa?
Il teatro non ha mai smesso di porsi queste domande, producendosi a fasi alterne in esplorazioni dal dentro al fuori i luoghi dello spettacolo, uscendo per le strade alla ricerca di una topografia della visione che interroghi e crei trasformazioni. Tra le varie declinazioni di quest’approccio, quello delle passeggiate urbane per un solo spettatore o più alla volta ha abitato con forme eterogenee ed illuminanti la stagione festivaliera in corso. Costruendo un rapporto privilegiato con il pubblico, coinvolgendolo come parte attiva della storia che s’intende raccontare, puntando tutto sulla sincerità e semplicità dell’incontro.
L’uomo che cammina di Dom, regia di Leonardo Delogu e Valerio Sirna, progetto speciale per Santarcangelo 2016, è una drammaturgia fatta di passi con il suo tour di oltre tre ore attraverso Rimini centro e la spiaggia, fino a toccare periferie e aree dimenticate. Senza una narrazione se non quella scandita dal ritmo dei partecipanti, dalla resistenza dei loro fiati, dei corpi chiamati a scrivere con il loro solo esserci sul corpo della città. Seguendo uno sconosciuto dai capelli lunghi grigi e cappello di paglia, Maurizio Lupinelli, consegnandosi alla sua guida, tra apparizioni e depistaggi, scoperte impreviste e contemplazioni, inseguendo una vertigine che conosce il bilico tra realtà e finzione.
Distante, ma neanche poi troppo, a Sansepolcro, Daniele Bartolini con il suo The Stranger per Kilowatt festival allestisce un format immersivo per uno spettatore alla volta che, trasformato in attore della sua stessa performance, si addentra fra vicoli, case e rifugi nascosti del centro storico, abbandonandosi al tocco di un accompagnatore ogni volta diverso. Si parte con un atto di fiducia per questo viaggio: bendati e condotti per mano, muti, a riguadagnarsi un altrove da intercettare ad ogni angolo, nella carezza musicale di un pianoforte accordato sulle emozioni, nella bellezza di un dialogo temperato sulla diversità, nell’affondo spudorato su una tela da segnare, nell’euforia ariosa di una corsa che poi diventa una danza, con cuffie ben piantate sulle orecchie, con uno sconosciuto dal sorriso dolce. Alla ricerca dello straniero che è in ognuno di noi, in una spirale del movimento che si allontana dalla ginnastica del quotidiano, per allenare muscoli nuovi e cuore al paesaggio inedito dell’umano.
Dom-
L’uomo che cammina
drammaturgia degli spazi Leonardo Delogu, Valerio Sirna, Hélène Gautier, Mael Veisse
regia Leonardo Delogu, Valerio Sirna
con Maurizio Lupinelli
e Leonardo Delogu, Valerio Sirna, Hélène Gautier, Mael Veisse, Giulia Mereghetti
produzione Teatro stabile dell’Umbria, Ternifestival
coproduzione Santarcangelo Festival Internazionale del Teatro in Piazza 2016
liberamente ispirato a Jiro Taniguchi, L’uomo che cammina
Santarcangelo Festival 2016
Daniele Bartolini
The Stranger
ideazione e regia Daniele Bartolini
con la collaborazione di Chiara Fontanella, Danya Buonastella, Rory de Brouwer e / andNicole Dufoe
aiuto regia Gilda Foni
performers Alessia Ferri, Marco Mercati, Paola Mastrapasqua, Tina Milanesi, Laura Senesi, Veronica Ducci, Amedeo Testerini
musiche originali Matteo Ciardi
in co-produzione con CapoTrave / Kilowatt
in collaborazione Ass. Laboratori Permanenti / Scuola Comunale di Teatro di Sansepolcro
Kilowatt Festival 2016, Sansepolcro