ILENA AMBROSIO | Il jamais vu – “mai visto” in francese – è l’opposto del déjà vu, l’incapacità, ossia, di ricordare o riconoscere qualcosa che, in realtà, si conosce; un’amnesia, spesso associata a fenomeni patologici. Questo il titolo della pièce scritta e diretta da Eduardo Di Pietro che ne è anche interprete assieme al Collettivo Lunazione.

In scena i quattro personaggi in pantaloni neri e camicie bianche sporche di polvere sono i maldestri rapinatori della Banca Nazionale, rinchiusi, qualche ora dopo il misfatto, in un rifugio dove unici oggetti presenti sono una radio che trasmette di tanto in tanto notizie sulle ricerche della polizia, uno sgabello  e, pendente dal soffitto, una lampadina accesa.

JV Laura Pagliara e Gennaro Monforte2Maldestri i rapinatori – il colpo pare non essere andato a buon fine –  ma anche smemorati, poiché tutti affetti da un’amnesia parziale che impedisce di ricordare frammenti dell’accaduto, di riconoscersi tra loro e, soprattutto, di ritrovare la refurtiva.

Tra toni della contemporanea commedia napoletana, scene da fiction poliziesca e momenti drammatici – abili gli interpreti a muoversi tra essi –, si svolge così un’azione che pare volersi muovere intorno a due nodi drammaturgici.

Da una parte, il dolore del ricordare un vissuto. L’amnesia – inizialmente generatrice di ilarità – rende necessaria una sorta di terapia di gruppo che spinga i personaggi a ricercare le radici profonde del gesto compiuto. Le luci si incupiscono diventando blu, un inquietante stacchetto musicale e, davanti a un’asta con microfono – metaforico lettino freudiano – ciascuno di loro ricorda  e racconta. Si scopre, allora, che il personaggio un po’ strano ma tanto divertente, apparso in scena con una benda sugli occhi, è un imprenditore fallito costretto a vendere i propri organi; raccontando apre la camicia e svela medicazioni insanguinate… nessun posto più per il sorriso. JV Laura Pagliara e Giulia EspositoSappiamo poi che la ragazza più irruenta dei quattro è una ricercatrice universitaria resa rabbiosa da un sistema in cui solo i “figli di” riescono a ottenere successi e che gli altri due che fino a un attimo prima avevano battibeccato con spirito e comicità sono un ex operaio e sua moglie, finiti in miseria per il licenziamento di lui.

Il ricordo genera dolore pare di capire – «Ricordare è importante ma dimenticare lo è di più. Solo così si può tornare a vivere» –, ma questi drammi contemporanei girano evidentemente intorno a un punto che è l’altro nodo affrontato: il denaro. Il denaro è ciò che muove dei rapinatori, è ciò che questi rapinatori hanno perduto a causa dell’amnesia ma soprattutto ciò che, mancando, rende drammatica la loro vita. E che tutto ruoti intorno al denaro è abbastanza chiaro se i nomi dei quattro sono Spread, Leasing, Jones e Bond.

Il covo dal quale i personaggi non riescono a uscire è allora metaforica prigione di un passato che non si vuole ricordare, di un presente di dolore che quel passato ha generato e di un futuro incerto. Soprattutto di un futuro, perché c’è un quinto personaggio – interpretato dallo stesso Di Pietro – che si capisce essere come il burattinaio che ha mosso le fila della vicenda, che ha spinto al crimine e che ora tiene con la forza i quattro in quel luogo costringendoli a ricordare. Un personaggio il cui nome è proprio Future; il nome di un prodotto di finanza derivata spesso assurto agli onori della cronaca per grandi speculazioni internazionali ma anche futuro tiranno e asfissiante – l’asfissia di quattro mura – di vite allo sbaraglio, quello che costringe a gesti estremi e folli: «La  mia ossessione è la vostra», dice.

Lo spettacolo scorre abbastanza fluido eppure pare che qualcosa sfugga, che il messaggio o i messaggi che si vogliono trasmettere non riescano fino in fondo a trovare una propria coerenza drammaturgica, una solida collocazione in un tutto coerente.

Restano comunque i temi pregnanti la cui resa scenica, secca ed essenziale, permette di affrontare in modo diretto ed emotivamente vivo, temi di vita vera, attuale che, perciò, ben si sposano alla commistione – seppur sopra le righe di tanto in tanto – di generi.

Resta, nel toccante finale, sulle note di California dreaming, l’amarezza per vite dal passato doloroso, travolte dai meccanismi del potere e del consumo, che non trovano riscatto nel presente, né, presumibilmente nel futuro.

 

JAMAIS VU

con Eduardo Di Pietro, Giulia Esposito, Vincenzo Liguori, Gennaro Monforte, Laura Pagliara
costumi Federica Del Gaudio
aiuto regia Alessandro Errico
progetto e regia Eduardo Di Pietro
produzione Collettivo Lunazione
in coproduzione con Fondazione Campania dei Festival

Teatro Tram
4/6 maggio 2018