ROBERTA LEOTTI | Quest’estate londinese, ormai al termine, sarȧ sì ricordata per esser stata tra le più calde degli ultimi decenni, ma anche per le numerose iniziative che hanno interessato il teatro italiano, registrando da ultimo, con l’avvio dell’Italian Theatre Festival, una buona partecipazione di pubblico ed un certo interesse mediatico.

E’ il primo festival del genere: due giorni di programmazione al Coronet Theatre (30 e 31 agosto), all’interno della quale ricordiamo titoli come ‘Ritorno in Italia’ di Paolo Sorrentino, con Iaia Forte, ‘Novecento’, di Alessandro Baricco, interpretato da Eugenio Allegri o ancora il ‘Mistero Buffo’ di Dario Fo, con Matthias Martelli.

La finalità è far conoscere il teatro italiano sia con spettacoli in lingua orginale come nel caso del festival, o tramite opere contemporanee tradotte dall’italiano all’inglese.

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Questo è il caso, ad esempio, dell’Italian Playwrights Project, iniziativa che ha visto il suo principio con una serata evento, organizzata lo scorso 24 agosto, in concomitanza con la presentazione di “A Notebook for the Winter”, (Un quaderno per l’inverno) di  Armando Pirozzi, vincitore del premio UBU 2017. Si tratta di una collaborazione tra l’Istituto Italiano di Cultura a Londra e Valeria Orani, di  Umanism LLC, fondatrice della società di produzione teatrale 369gradi, che ha portato in scena Echoes a Londra. Per quest’ultimo spettacolo a presentare un estratto della drammaturgia sono stati gli attori Stefano Patti e Marco Quaglia, coppia teatrale ormai collaudata, che ha portato appunto lo spettacolo in scena al Tristan Bates Theatre, nella capitale inglese.

Entrambi Italo-Inglesi per parte di madre, sono stati così facilitati nella traduzione  di Echoes di Lorenzo De Liberato: la struttura di questo testo ben si adatta, secondo i suoi interpreti da noi avvicinati, all’inglese ed alla recitazione in lingua straniera. L’ambientazione della pièce sembra da thriller americano: a seguito di una bomba che ha cancellato parte di una città, rendendo l’aria e l’ambiente invivibile, fra i sopravvissuti i protagonisti si fronteggiano. Siamo al 13 aprile di un anno imprecisato in un bunker, dove ai lati opposti di un lungo tavolo dalla superficie metallica (accorgimento scenico di Barbara Bessi) sono seduti il giornalista De Bois (Stefano Patti, anche regista della pièce) e l’autore del massacro, Mr Echo (Marco Quaglia) per un’intervista.

 

Il classico nero delle pareti del teatro esalta il disegno luci di Paride Donatelli; un’illuminazione fredda, diretta e quasi esclusivamente concentrata sul tavolo, facendo percepire la scena come un ambiente confinato e ristretto.

Ma attenzione: la trama non è il classico “buoni contro cattivi”, dove i due personaggi si scontrano verbalmente, su potere e politica. De Boi da giornalista, vuole indagare sul perché di quell’atto di violenza, mentre Echo pur argomentando con fermezza sulla necessità del suo agire, sembra quasi non volersene assumere la responsabilità materiale dell’atto, adducendo come giustificazione il fatto di averlo solo autorizzato.

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Il pubblico è disposto sia in platea che dall’altro lato del tavolo: sono spettatori di un’arena dove le continue rivelazioni e i colpi di scena vengono spesso accompagnati da esternazioni di Echo o dagli annunci di Nancy Babic (voce di Alice Spisa), una fantomatica intelligenza artificiale da lui programmata, che pur alimentando un certo ritmo scenico, induce tuttavia più ad interrogativi fuorivianti che a nitore drammaturgico. I costumi di Marta Genovese aiutano meglio a definire l’apparenza di due personaggi agli antipodi: un signore del male elegantemente vestito ed un timido giornalista dai vestiti quasi consunti. Ma la comunicazione non verbale dei due voluta dalla regia confligge con questo abito esteriore: De Boi  è spesso seduto  a gambe divaricate oppure a cavalcioni girando la sedia, gesti che indicano tipicamente un’indole dominante, mentre Mr Echo è tradito da un leggero tremore delle dita che di tanto in tanto passa sul viso a frenare una risata nervosa o per sistemare gli occhiali, quasi a rendere insicuro il personaggio del criminale. Soprattutto nella prima parte della drammaturgia è Quaglia a dominare la scena, con Patti quasi costretto rincorrere ed adeguare la sua recitazione a quelle che sembrano improvvisazioni di Quaglia, un ring di grande spontaneità recitativa.

L’evoluzione psicologica dei personaggi ha poi il suo culmine con la scoperta che il giornalista è in realtà capo di un movimento sovversivo (Gli Apostoli) che, al momento dell’intervista, sta in realtà tessendo una trama altrettanto criminale che ovviamente non sveliamo. Appare dunque evidente che entrambi esercitano una funzione di potere e la facoltà di decidere il destino altrui, in una sorta di ideale una staffetta, in cui l’esercizio del potere diventa uno scomodo testimone, simboleggiato dalla pistola del giornalista, che passa da uno all’altro dei protagonisti negli attimi finali dello spettacolo.

Chi avrà il coraggio di premere il grilletto? Il blackout nel momento clou della performance decide per tutti, e lascia un po’ l’amaro in bocca allo spettatore che forse un po’ abituato alle serie TV, ha bisogno di sapere come finisce la vicenda. Ma il teatro ha proprio la caratteristica di porre l’interrogativo, e non è un male che lo spettatore resti un po’sospeso, anche se la meccanica del rovesciamento dei ruoli e della morale, già di suo, ha elementi rodati proprio in quella serialità televisiva thriller a cui siamo ormai abituatissimi. Un finale incompiuto costringe comunque il pubblico a considerazioni più profonde sulle personalità dei due personaggi, con il dilemma di trovare ciascuno per sé il giusto finale. Da vedere.

 

ECHOES

Drammaturgia Lorenzo De Liberato

Regia Stefano Patti

Interpreti Marco Quaglia e Stefano Patti

Scena Barbara Bessi

Costumi Marta Genovese

Luci Paride  Donatelli

Suono Matteo Gabrielli e Samuele Ravenna

Live set Cristiano Demurtas

Voce di Nancy Babic Alice Spisa

Produzione 369gradi

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