GIORDANA MARSILIO | Il celebre regista e autore tedesco Alexander Kluge ha definito il lavoro del regista svizzero Milo Rau come ‘teatro reale’: una vera e propria indagine della realtà, cruda e viva così com’è, analizzata nel suo rapporto con la finzione.
Ma quanto può la finzione rappresentare davvero il reale, specialmente quando doloroso e tragico? Come si può spiegare la specie umana nei suoi versanti più profondi e tragici a teatro? Sono, queste, domande centrali all’interno di tutto il percorso artistico di Rau, punto focale dei suoi lavori.

Al Romaeuropafestival 2018 Milo Rau ha presentato due lavori. Il primo è The Congo Tribunal: un film-documentario nato da un lungo studio e da una dura ricerca sfociati in un’opera teatrale nel 2015 e poi in un libro. Tramite testimonianze e immagini decisamente forti si vuole ricostruire un pezzo di storia drammatico e troppo spesso dimenticato, quello della guerra in Congo.

Il secondo è una pièce teatrale dal titolo The Repetition. Histoire(s) du Theatre (I) andata in scena al Teatro Vascello di Roma.

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Ph Hubert Amiel

Una scena – a cura di Anton Lukas –scarna, buia, con pochi oggetti: sedie, tavoli e una telecamera. Mentre il pubblico è in procinto di accomodarsi in sala, gli attori sono già presenti, ma non inermi o già nella parte: alcuni chiacchierano, bevono dell’acqua, altri restano al buio in fondo al palco, dove si erge uno schermo. Quando il pubblico inizia a quietarsi si comincia.

E comincia Johan Leysen con un monologo in fiammingo nel quale si interroga sui tempi del teatro: quando un attore deve cominciare a recitare? Quando inizia realmente uno spettacolo? Ma, soprattutto, afferma come a teatro tutto sia possibile, anche dialogare con i morti. Così ce lo dimostra recitando alcuni versi dell’Amleto nel quale interpreta lo spirito del padre e conclude sentenziando: «Questo è teatro, uno spirito, un morto che parla».

Fin da subito, dunque,  si comprende che una delle questioni portanti dello spettacolo sarà quella del ruolo e delle potenzialità del teatro stesso.
Questo prologo dà inizio alla storia vera e propria, tratta da un fatto di cronaca. Nel 2012 il trentaduenne Ihsane Jarfi, figlio di padre marocchino e madre belga, perse la vita una notte di aprile a Liegi, durante la quale venne denudato e pestato a morte da un gruppo di quattro coetanei che lo aggredirono per omofobia. Proprio da qui parte il lavoro di Rau, sempre mosso dalla riflessione sul legame dell’arte con l’attualità, tendenza, questa, certamente da ricercare nell’attività “originaria” di Rau. Prima che regista e autore, nasce, infatti, come giornalista e sociologo ed è lui stesso a dichiarare la confluenza di questi ambiti nel suo lavoro artistico, sempre incentrato su uno studio e una ricerca della verità e sulla realtà.

La vicenda, infatti, non viene semplicemente rappresentata, non vuole dare l’illusione – quella propria del teatro, del cinema – di star assistendo realmente alla tragedia di quella notte; ciò che ci viene raccontato è il lavoro che è stato fatto per poter rappresentare un avvenimento tanto crudele e violento. L’illusione del teatro viene così smascherata per rendere lo spettatore partecipe del processo di creazione.

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Ph Hubert Amiel

Fin dal 2007 quando Rau fonda l’IITM – International Institute of Political Murder – centro di produzione teatrale e cinematografica con focus su conflitti storici e socio-politici, attento alla sperimentazione e all’avanguardia artistica – il regista ha sempre lavorato su più media in parallelo, sviscerando il rapporto tra recitazione e azione reale con proiezioni video, telecamere in scena, interrogandosi non solo su una specifica vicenda in sé, ma sul suo rapporto con la sua ri-produzione, nel senso più intrinseco del concetto di mimesis.

Questa riflessione sul concetto di ri-producibilità si ritrova preponderante in The Repetition, divisa in cinque atti, ognuno con un titolo e una foto – che ritrae lo sfondo di una città – proiettati sullo schermo. Il primo capitolo, ad esempio è La solitude des vivants e mostra una città industriale, probabilmente Liegi, scenario della storia raccontata; il terzo capitolo – riferimento alla celebre opera di Hannah Arendt – è La banalité du mal.
I sei interpreti – due dei quali non professionisti, aspetto che evidenzia l’importanza per il regista di mescolare il più possibile il reale con la finzione – tentano di raccontare la vicenda nel modo più sincero e realistico possibile, come se ne fossero  stati testimoni, come se fossero i genitori o gli assassini di Isahne.
Intanto scene precedentemente girate con gli stessi attori – da Maxime Jennes e Dimitri Petrovic – vengono proiettate sullo schermo, arricchendo o, in altri casi, replicando le azioni degli interpreti.
Si tenta con tutti i mezzi, anche raddoppiando gli strumenti in scena, di toccare, almeno con la punta delle dita, la realtà. Ma si può davvero riprodurre il dolore che avvolge questa vicenda?

Gli attori, professionisti e non, danno prova di grande sinergia riuscendo a coinvolgere lo spettatore non solo all’interno della storia, ma – ancora più centrale in questo genere di teatro – trasportandolo in un viaggio comunitario alla ricerca di risposte: si può davvero rappresentare questa storia?  Se sì, in che modo?

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The Repetition. Foto di Hubert Amiel

Il tema dell’omicidio di Ihsane Jarfi viene introdotto lentamente. Dopo il monologo iniziale di Leysen, si simulano i casting svolti a Liegi per scegliere gli attori di The Repetition. Sara De Bosschere, Sébastien Foucault e Johan Leysen testano Tom AdjibiFabian Leenders e Suzy Cocco – i due attori non professionisti – i quali raccontano agli  esaminatori la propria esperienza con il teatro, ripresi da una telecamera al centro del palco. Poi è tempo di provare, di capire: come avranno vissuto i genitori di Ihsane la morte del figlio? Come sarà stata la serata in discoteca del giovane prima di morire? Che persone sono i suoi assassini? Cosa è successo la notte dell’omicidio?

Gli attori, in pieno stile brechtiano, escono ed entrano dal loro personaggio riflettendo su di esso on modo distaccato ed estraniante. Allo stesso modo i brani musicali – in particolare il brano Polynomial C degli Aphex Twin – assumono un ruolo fondamentale all’interno del racconto di Ihsane, diegetico e fortemente straniante.

L’attenzione è, dunque, posta sul contenuto e non sulla forma, tant’è che il palco è buio e per tutta la durata dello spettacolo le rare luci – curate da Jurgen Kolb –, perlopiù dai toni gialli e bianchi, illuminano come fari un personaggio o uno spazio specifico.

The Repetition è  un lavoro che ricorda, per estetica, toni cupi e tecniche, Five easy pieces, che valse a Rau il Premio Ubu 2017. Anche qui il racconto di uno dei fatti di cronaca più sconvolgenti del Belgio, ovvero il sequestro e la violenza su sei bambini, quattro dei quali brutalmente uccisi, tra il 1985 e il 1995.
La rappresentazione scenica di atti così violenti dimostra la concezione che Rau ha del teatro: uno strumento per indagare il male più atroce, il buio nell’animo umano e, di conseguenza, un mezzo di denuncia potentissimo, di presa di coscienza e di informazione.

Rau pare volersi inserire in quel filone della filosofia che da sempre  si è interrogata sul rapporto dell’uomo con il male. Pensiamo a Thomas Hobbes e alla sua concezione dell’uomo come «homo homini lupus» ovvero lupo, divoratore di altri uomini. Ebbene nella terribile vicenda di The Repetition di fatto è l’uomo in quanto lupus, in quanto branco ad agire. E su questo il regista vuole far riflettere.

Un atto atroce è stato compiuto, come in una tragedia greca – tant’è che cinque sono gli atti  dello spettacolo –, la comunità ne deve prendere atto e porsi davanti alla propria natura malvagia. Può l’uomo salvarsi? Può il teatro rappresentare un male simile e divenire mezzo per trovare delle risposte? Nella realtà qualcosa resta sempre celato, assente, allora è necessario partire proprio dal reale e tramite la finzione decostruirlo, mostrare ciò che viene nascosto nel quotidiano e far scaturire una certa reazione sul pubblico. L’obiettivo di Rau, allora, non è dare risposte concrete e assolute, ma coinvolgere lo spettatore, scuoterlo e proporgli degli spunti di riflessione che difficilmente potranno lasciarlo indifferente. Questo è ‘teatro reale’.

 

THE REPETITION. HISTOIRE(S) DU THEATRE (I)

Ideazione, Regia Milo Rau
Testo Milo Rau ed ensemble
Performer Sara De Bosschere, Sébastien Foucault, Johan Leysen, Tom AdjibiFabian Leenders, Suzy Cocco
Ricerca, Drammaturgia Eva-Maria Bertschy
Collaborazione alla drammaturgia Stefan Bläske, Carmen Hornbostel
Scenografia, Costumi Anton Lukas
Video Maxime Jennes, Dimitri Petrovic
Disegno luci Jurgen Kolb
Direttore tecnico Jens Baudisch
Direzione di produzione Mascha Euchner-Martinez, Eva-Karen Tittmann
Assistente alla direzione Carmen Hornbostel
Assistente alla drammaturgia François Pacco
Assistente alla scenografia Patty Eggerickx
Coreografia lotta Cédric Cerbara
Vocal coach Murielle Legrand

Pubbliche relazioni Yven Augustin
Attrezzature tecniche e studi del Théâtre National Wallonie-Bruxelles Produzione The International Institute Of Political Murder (Iipm), Création Studio Théâtre National Wallonie-Bruxelles

Supporto Capital Cultural Fund Berlin, Pro Helvetia, Ernst Göhner Stiftung In collaborazione con Kunstenfestivaldesarts, NTgent, Théâtre Vidy-Lausanne, Théâtre Nanterre-Amandiers, Tandem Scène Nationale Arras Douai, Schaubühne am Lehniner Platz Berlin, Théâtre De Liège, Münchner Kammerspiele, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt a. M., Theater Chur, Gessnerallee Zürich, Romaeuropa Festival

Con il supporto di ESACT Liège

Romaeuropa Festival 2018
Teatro Vascello – Roma
11 novembre 2018

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