RENZO FRANCABANDERA | Al Teatro delle Moline, uno degli spazi bolognesi del circuito di ERT, Emilia Romagna Teatro, abbiamo assistito ad un riadattamento del Macbetto di Giovanni Testori affidato alla cura e regia (oltre che alla co-interpretazione) di Roberto Magnani. Lo spettacolo ha un annetto di vita circa.
Giovanni Testori è una delle figure centrali della ricerca drammaturgica fra lingua, archetipo psicologico e suo risvolto scenico, una figura contraddittoria e imprescindibile per chiunque ami il teatro e la parola. È stato fautore di una parola barocca e neologistica assieme, in cui si mescolano gli idiomi neolatini, per creare un esperanto in cui precipita la conoscenza millenaria dell’Europa Mediterranea dei miti, dalla Grecia ad oggi, per filtrarsi in una crudezza sconvolgente, lacerante, che si può amare o detestare, ma che è impossibile lasci indifferenti.
Una delle cifre più spiccate della parole di Testori è la sua ricerca quasi musicale. Il suo verbo crea continue onomatopee, agganci sonori. Da qui parte la ricerca di Roberto Magnani, figura ormai stabile dentro l’attività del Teatro delle Albe, di cui è una delle creature: viene dalla pratica della non-scuola per proseguire poi con la sua militanza artistica attiva praticamente in quasi tutte le creazioni dell’ultimo decennio delle Albe. Magnani è un appassionato ricercatore, soprattutto in quella terra di confine fra lingue, suoni, significati performativi della pratica teatrale.


MACBETTO o La chimica della materia
non è proprio un allestimento del testo dell’autore tal quale, ma sono trasmutazioni dal Macbetto di Giovanni Testori affidate sul palcoscenico ad una voluta tripartizione di valori semantici, e che da questo vuole trarre uno specifico di senso. Oltre alla presenza “ravennate” di Magnani, in scena ci sono anche la Ledi di Consuelo Battiston (che a tratti ricorda la sua stessa Semiramis di un decennio fa), della compagnia faentina Menoventi, e la strega di Eleonora Sedioli, del gruppo forlivese Masque, con il suo corpo nudo, capace di sfumature di significato nell’evoluzione del movimento e nella contorsione non comuni.
In questo testo, come non di rado emerge dall’opera testoriana, la figura femminile è madre generatrice ma anche matrigna e strega. Da lei tutto nasce, in lei tutto torna, quasi come condanna: forse la vera dannazione, nell’immaginario ossessivo e barocco di Testori, che Magnani prova a ricostruire in una scena cromaticamente mai neutra, resa viva da un gioco luci, di bui e affioramenti prima, e di cromatismi violenti poi.
La drammaturgia rilegge lo schema di potere su cui si incentra il classico del Bardo riletto dallo scrittore italiano, in una sorta di passaggio di mano dal maschile indebolito ad un femminile che sa essere spietato.
Ovviamente Magnani, che tempo fa aveva anche lavorato ad un altro testo intriso di dialettalità verace come l’E’ bal del poeta romagnolo Nevio Spadoni, si tuffa nel complesso labirinto testoriano, armato di un immaginario più che gotico. La sua maschera e l’esito scenico si ispirano visibilmente, come tutto il trucco, all’opera cruda di Olivier de Sagazan, e alle dissacrazioni socio-sessuali di Paul mcCarthy fra gli altri.
Ma il rimando al primo dei due artisti è molto nitido, perchè quando Magnani parla di trasmutazioni nel sottotitolo dell’opera, non può che venire in mente Trasfiguration, la storica performance del 2001 di de Sagazan.
Alcuni dei gesti scenici mutuati in questo spettacolo dalla pratica dell’artista francese, fin dall’inizio, raccontano il rapporto con la corporeità intrisa della stessa materia ferina, bestiale, che ci genera, di come questo ci crei ma allo stesso tempo ci mascheri e ci trasfiguri, e di come la parola stessa sia maschera e questa maschera insieme all’identità biologica, definiscano una sorta di spazio del potere.

Magnani centra la riduzione del testo su una simbolica tripartizione che rinuncia al Coro e all’ambientazione esplicita della chiesa sconsacrata, lavorando sui tre personaggio di Macbet, Ledi Macbet e la Strega e pescando anche da un altrove testoriano che per similitudini di argomenti riverberano nella produzione letteraria dell’autore.
E infatti questo tema del triangolo concettuale ispira le indagini di Magnani, che cerca una sorta di circolarità triangolare, ma anche binaria, sessuale, in cui proprio l’elemento fluido, il sangue, fa passare l’uomo alla donna, la donna all’uomo. Il concetto mascolino si perde in una sanguinaria lotta di potere, generatrice di morte, che però simbolicamente si lega da subito all’atto del parto; questo origina la vita ma anche la morte, tanto che il Macbet di Magnani, forse per sfuggirla, cercherà di rientrare nell’utero.
Fin da subito il genere umano incarnato dai due archetipi shakespeariani, uniti ma contrapposti alla natura ferina della strega, viene piombato in una sorta di girone dantesco, in cui vive nei suoi liquidi organici, sangue e merda. Tutto viene esibito allo spettatore fin dalla prima scena: una trasfigurazione à-là de Sagazan dove la maschera di Macbet è appunto un mascheramento (simbolico) di merda. Una cosa che ha evidentemente a che fare con il ruolo disvelante del teatro, che pur ammettendo la maschera, in realtà toglie il velo
Affidiamo alle parole stesse di Magnani l’interpretazione autentica del cuore della sua creazione: «Le tre figure sembrano dettare un continuo e ciclico movimento di generazione vicendevole, come se fossero, ciascuna, una e trina. Tramite un parto defecatorio, Macbet genera la Strega, legata indissolubilmente alla Ledi (sanno le stesse cose: hanno la stessa voce o sono proprio la stessa persona?). Nel finale Macbet vorrebbe, se non proprio scomparire, quanto meno rientrare nell’utero della donna, come se fosse quello della sua stessa madre, mentre la Strega, sempre nel finale, viene reincorporata non più dentro Macbet, che l’aveva generata, ma nel ventre della Ledi cui spetterà l’atto conclusivo. Il maschile e il femminile sono in continua discussione, scambio, mutazione. D’altronde c’è un Eros nero nel testo, un Eros rovesciato nella sua parte oscura, malata, ossessiva: un priapismo che passa dall’uomo alla donna».

E quanto dice Magnani in fondo succede nello spettacolo: l’intenzione ha una sua declinazione molto chiara e organica, seppure non facilissima come si può capire, nel triangolo di nascita, vita, morte e delle permutazioni di ruolo che questa ricerca contempla. Lo schema scenico è coerente dal punto di vista intellettuale, documentato e preciso nei rimandi artistico-letterari, come si è visto.
Bella anche la creazione sonora originale di Simone Marzocchi.
L’ambiente ossessivo e parossistico è indagato senza soluzione di continuità in tutto lo spettacolo.
I due attori si avvicendano in un gioco di ruoli “di genere”, mentre la terza figura, la performer, si agita nel sangue, che copioso scorre sul pavimento fin dalla scena iniziale del parto, per poi mescolarsi oltre di vino, sangue.
Insomma la dominante cromatica del rosso prende ben presto il sopravvento, determinando un effetto visivamente saturante molto forte, concettualmente centrale nella costruzione.
Questo nitore di intenzioni poetiche e cromatiche finisce però per essere anche un limite perché la variazione di atmosfere e caratteri (ma anche di pausa) che nell’opera testoriana veniva affidata per esempio al controcanto del Coro, in questo lavoro viene meno, e tutto si addensa in una amalgama verbale e visiva densissima e molto insistita di valori sonori, pittorici e simbolici compatti; così compatti da non ammettere più, da un certo punto della recita in avanti e fino alla fine degli applausi, la possibilità dell’inatteso, la variazione profonda.

 

MACBETTO o La chimica della materia
Trasmutazioni dal “Macbetto” di Giovanni Testori

ideazione e regia Roberto Magnani
con Roberto Magnani, Consuelo Battiston, Eleonora Sedioli
musica Simone Marzocchi
coreografia Eleonora Sedioli
tecnica Luca Pagliano
clavicembalo Chiara Cattani
realizzazione scene Masque Teatro; squadra tecnica Teatro delle Albe-Ravenna Teatro: Danilo Maniscalco, Fabio Ceroni, Luca Pagliano; Antonio Barbadoro
cura video Alessandro Renda
foto di scena Enrico Fedrigoli
organizzazione Francesca Venturi, Ilenia Carrone
produzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro, Masque Teatro, Menoventi/e-production
ringraziamenti Associazione Giovanni Testori, A.N.G.E.L.O., Sabrina Fiore, Matteo Gatta, Maria Rossini

durata: un’ora e 20 minuti

Teatro delle Moline,
via delle Moline, 1/b – Bologna
dal 7 al 9 febbraio 2020
venerdì ore 20.30 | sabato ore 20.00 | domenica ore 16.30