MATTEO BRIGHENTI | Il Coronavirus ci ha fatto mancare la terra sotto i piedi. Da qui riparte con tenacia Kronoteatro: dal suo territorio, Albenga, in Liguria, e dalle sue aziende agricole, le cui celebri serre custodiscono il cuore dell’attività produttiva locale. Il e il 2 agosto i Terreni tornano a essere Creativi: per il festival multidisciplinare di teatro contemporaneo, danza e musica dal vivo, è l’edizione XI. «Per noi rappresenta una grande vittoria, una bellissima soddisfazione – afferma Maurizio Sguotti – l’intuizione avuta di mettere insieme le nostre eccellenze economiche con quelle artistiche, territoriali e nazionali, ha visto la sua realizzazione in questo particolare festival con risultati sorprendenti e molto gratificanti».
Terreni Creativi ha vinto nel 2016 il Premio Nico Garrone e nel 2017 il Premio Rete Critica come miglior progetto di comunicazione. Ma il primo, fondamentale riconoscimento, è stato quello del pubblico. «Ci piace pensare che nelle ore in cui gli spettatori vivono il festival si possano creare relazioni e rapporti che prescindono dall’evento e che siano inaspettati e fruttiferi – ragiona Sguotti, che cura la manifestazione con Tommaso Bianco e Alex Nesti – si respira un clima molto particolare, che invoglia gli spettatori a partecipare e a tornare ogni anno, e ogni anno sono sempre più numerosi».
Il valore aggiunto, finora, è stato l’aperitivo quasi cena, un rito collettivo tra il pubblico, gli artisti e gli operatori, attraverso cui si sperimentava concretamente un intimo senso di appartenenza a una comunità. L’emergenza sanitaria quest’anno non lo rende possibile, così come la crisi ha imposto la riduzione delle serate da tre a due, in un’unica azienda, la Bio Vio di Bastia d’Albenga. «Nonostante le difficoltà di realizzazione imposte dai protocolli di sicurezza e la grave crisi economica che stanno vivendo le aziende sostenitrici del festival, abbiamo fortemente voluto questa edizione di Terreni Creativi – precisa Maurizio Sguotti – seppur con un programma più ridotto e un format necessariamente meno conviviale, crediamo che sia importante dare un segnale di presenza e resistenza tanto alla comunità che siamo riusciti a creare sul nostro territorio, quanto al comparto nazionale».
Un festival diverso, ma non per questo, sulla carta, meno interessante. In programma, infatti, ci sono Simona Bertozzi e i Babilonia Teatri (1° agosto), Manfredi Perego e i Maniaci d’Amore (2 agosto). E in più, i musicisti selezionati da Rock’n’Roll Robots & Riviera Gang Crew. Ingresso rigorosamente alle 21, con mascherina, biglietto online e temperatura corporea inferiore a 37,5°C.

Immagine di Nicolò Puppo

La prima domanda di questi miei incontri me la porto dietro fin dall’inizio della pandemia. È un passo che si è fatto inevitabile e chissà per quanto, ancora, lo sarà. In tanti hanno definito il tempo di oggi come “sospeso”. Che cosa vuol dire per voi?

L’inizio è stato traumatico. La sospensione di tutte le attività, il distacco fisico dai miei compagni di lavoro, l’incognita dei tempi, hanno fatto sì che io abbia vissuto le prime settimane del lockdown con angoscia e timore. La cosa che più mi ha spaventato, devo dire, è stata l’idea di non riuscire a progettare il futuro. La sospensione della creatività. I bisogni primari erano diventati altri: capire cosa stesse succedendo e difendersi dal virus. Tutto questo è durato un paio di settimane, nel momento in cui io e i miei “soci” di Kronoteatro abbiamo iniziato a incontrarci in remoto, abbiamo deciso che dovevamo mettere a frutto questo tempo che ci veniva concesso. Volevamo, nel momento della ripartenza, essere pronti e consapevoli che molte cose sarebbero cambiate. Abbiamo iniziato a ripensare le nostre modalità di lavorare. È un percorso che continua ancora oggi e non ci ha dato ancora risposte definitive, sicuramente è stato un modo per affrontare questa chiusura con una speranza nel domani, senza essere schiacciati dall’angoscia del momento.

L’attesa pare essere diventata una o forse addirittura la misura dei nostri giorni.

Noi abbiamo sempre avuto dei tempi produttivi e creativi lunghi. Pur avendo un’intensa attività con molti appuntamenti nell’arco dell’anno, abbiamo sempre cercato di realizzarli con ritmi che ci permettessero di correggere i risultati in corso d’opera e a volte di ripartire da capo. L’attesa non la vedo come un valore negativo, naturalmente l’attesa unita all’incertezza del domani, come è stato per il periodo in cui la pandemia era all’apice, assumeva una valenza differente. Devo dire, comunque, che per quel che riguarda la nostra struttura, dal momento in cui abbiamo ripreso le attività ai primi di giugno, tra organizzazione di Terreni Creativi, pianificazione della nuova produzione che debutterà a dicembre e problematiche varie da risolvere, non siamo stati molto in attesa in queste settimane.

Che cosa ha dato Terreni Creativi a Kronoteatro e ad Albenga che altrimenti non avrebbero avuto? 

A Kronoteatro ha dato la possibilità di completare il proprio progetto creativo. Insieme alla produzione di spettacoli e alla stagione teatrale invernale, il festival chiude un perfetto cerchio rispetto alle iniziative culturali che l’Associazione ha realizzato in questi anni. Inoltre, ha fatto sì che quella comunità che seguiva le nostre manifestazioni diventasse molto più ampia, e sempre più appassionata. Per quel che riguarda, invece, la città di Albenga, attraverso il festival e le nostre attività legate allo spettacolo dal vivo, è stata conosciuta anche a livello nazionale come un luogo della cultura.

Il pubblico ritratto mentre entra in una serra

Il titolo di questa XI edizione del festival è Scàmpati. Il senso è duplice. Cominciamo da quello serio. Vi dichiarate «ammaccati e disorientati, ma non per questo meno combattivi». Dove trovate la voglia di combattere ancora? E per chi lo fate?

La voglia di combattere fa parte del nostro DNA, se non fosse così non saremo mai riusciti a fare quello che abbiamo fatto in 13 anni in questo territorio. Riuscire a produrre e a portare ad Albenga il teatro contemporaneo e riuscire a mettere in piedi un festival estivo che ha un respiro nazionale penso necessiti di un gran spirito combattente. Noi provinciali siamo molto agguerriti. Abbiamo costruito una comunità attorno alle nostre attività e a Terreni Creativi, quindi da un po’ di tempo si combattono delle battaglie (sì, perché noi siamo sempre in battaglia, purtroppo) per noi, ma anche per tutti quegli spettatori che ci sostengono e che partecipano attivamente alle nostre manifestazioni. Ancora di più dopo questo ultimo periodo pensiamo sia doveroso fare il festival anche quest’anno. Per noi è un necessario atto politico.

Il senso faceto di Scàmpati è il riferimento al dialetto ligure: scamparsi sta per divertirsi, svagarsi. È ancora possibile tra misurazione della temperatura corporea all’ingresso e mascherine?

Perché no? In fondo, se ci saranno più di 100 persone che ogni sera verranno al festival sapendo di dover osservare delle regole di sicurezza, verranno per svagarsi, per divertirsi, per riflettere, ma soprattutto per far parte di quella comunità che vuole, ama e sostiene Terreni Creativi. Dopo il periodo buio che abbiamo passato la scorsa primavera, credo ci sia una gran voglia di aggregazione.

Tra le regole, la più dura da accettare, credo, è l’impossibilità di servire la cena. Il momento conviviale tra spettatori rendeva il “semplice” pubblico una comunità, appunto, riunita attorno alla stessa tavola, non solo metaforicamente. Come farne a meno oggi senza snaturare l’identità del festival?

Siamo partiti dal fatto che Terreni Creativi 2020 sarebbe stato diverso dalle 10 edizioni precedenti. Nel momento in cui abbiamo deciso di farlo eravamo consapevoli che il festival si sarebbe snaturato rispetto al passato, ma siamo anche convinti che la necessità che ci porta a realizzare questa edizione farà in modo che la manifestazione avrà una sua identità e una sua particolarità. Siamo anche certi che, essendo forte il nostro progetto e la comunità che lo sostiene, in quelle due serate di agosto si respirerà il clima che contraddistingue da sempre questa manifestazione.

Simona Bertozzi. Foto di Luca Del Pia

Ciascuna serata si compone di due spettacoli di danza e di teatro, inframezzati da interventi di musica dal vivo. Quale criterio avete seguito nella scelta degli artisti?

Per questa particolare edizione abbiamo voluto vicino a noi alcuni artisti con cui il rapporto non si limita solo al professionale, ma va oltre e coinvolge sia la stima che l’amicizia. Siamo molto grati ai Babilonia Teatri e ai Maniaci d’Amore che si sono offerti di sostenere il nostro festival di quest’anno partecipando con una loro produzione e, nel caso dei Maniaci, con la messa in scena ad Albenga di un nuovo progetto. Per quel che riguarda la danza, con Simona Bertozzi e Manfredi Perego c’era un discorso aperto da parecchio tempo e abbiamo deciso di concretizzarlo in questo momento di ripresa delle attività post virus. Anche Bertozzi realizzerà per Terreni Creativi un “solo” site specific, e la cosa ci riempie di orgoglio. Le scelte musicali sono state concordate come tutti gli anni con il nostro consulente e collaboratore MaNu dj.

Simona Bertozzi con Porpora e Manfredi Perego con Primitiva mi pare che mettano l’accento sui conti che il nostro corpo deve fare con se stesso e con le proprie insanabili contraddizioni. Bertozzi cita espressamente Henry David Thoreau: «Non importa quello che stai guardando, ma quello che riesci a vedere». Che cosa siamo diventati? Ciò che già eravamo prima del Coronavirus?

Danza e teatro ambiscono da sempre a essere filtro del presente, su questo porre domande e ipotizzare futuri. I corpi dei danzatori e delle danzatrici, poi, sono portatori di una narrazione dinamica in continuo rapporto osmotico con l’oggi e i suoi movimenti. Ci sembra che questi due percorsi artistici e queste due produzioni possano in parte dare una risposta alla domanda che ci poni. Saranno perciò gli stessi performer in scena e la proiezione dei loro movimenti nello sguardo del pubblico a rivelare a tutti, in maniera effimera, ma reale, quanto di noi si è trasformato dopo l’esperienza collettiva che abbiamo esperito e quanto di noi, invece, è rimasto immutato.

I Babilonia Teatri con Calcinculo e i Maniaci d’Amore con Siede la terra direi che affrontano, al contrario, il corpo sociale, smembrato in un quotidiano incapace di immaginare un futuro. Come non essere schiacciati, ma invece mettere a frutto l’ira, l’insofferenza, l’indignazione e anche la vergogna?

Ira, insofferenza, indignazione e vergogna fanno parte delle infinite sfumature emotive di cui l’umano ha esperienza e di cui il teatro si nutre famelicamente. Crediamo che questi due spettacoli, queste due compagnie dal linguaggio e dalla storia diverse, nel loro mettere in scena uno sgangherato, crudo e spigoloso universo, nelle domande che dal palco rivolgono anzitutto a se stessi e poi a tutti, sappiano lasciarci intravedere l’alternativa, tanto emotiva quanto sociale e di pensiero, utile a non rimanere, appunto, vittime di questi stati emotivi, a volte proprio portandoli all’eccesso e all’estreme conseguenze. Stati emotivi da cui si lasciano attraversare con fermezza, non a forma di martirio, ma come tentativo di rivalsa, di acquisizione di una consapevolezza e di sintesi.

Maniaci d’Amore. Foto di Marco Ragaini

In fondo, già l’immagine del festival e il trailer parlano chiaro. Si può essere pugili suonati, ma ciò che conta non è quanti pugni hai preso, ma se sei rimasto in piedi. Questo, per voi, vuol dire essere forti?

Beh, sì. Noi mazzate ne abbiamo prese e ne prendiamo parecchie, sotto tutti i punti di vista. Pensiamo siano un grande stimolo a migliorare e ad andare avanti caparbi con le nostre idee. Tanti pugni presi, tanto onore.

Quanto vi pesa, se vi pesa? A chi va il vostro grazie per esserci riusciti anche quest’anno?

No, non pesa. Tutt’altro. Siamo orgogliosi di mantenere aperto il nostro presidio culturale nel Ponente ligure. Sicuramente dobbiamo ringraziare molti compagni di viaggio, su tutti lo staff tecnico e i molti volontari.