ILENA AMBROSIO | 23 Maggio – 2 Giugno. A Castrovillari un altro anno di Primavera dei Teatri. Un’edizione che ha riconfermato l’energia centripeta di questo Festival, capace di catalizzare vivaci proposte performative e una vasta presenza di pubblico. L’atmosfera di quest’anno, curata da un’organizzazione calorosa e – ci teniamo ad annotarlo – attentissima anche alla comunicazione social, ha favorito, fuori da ogni retorica, una genuina occasione di vero incontro: artistico, professionale, più che mai umano.
Ne abbiamo potuto godere per due giorni, 31 maggio e 1 giugno, dei quali racconteremo in due parti.

31 maggio, al Teatro Vittoria, il debutto di Spezzata. Rapsodia (Per Intercessione del Silenzio), testo di Fabio Pisano messo in scena con la regia di Livia Gionfrida.
Gennaio 2021, Indiana. Lisa Montgomery, 53 anni, viene giustiziata con iniezione letale ed è la prima donna, dal 1953, a subire la pena di morte. La condanna in seguito a un omicidio efferato: nel 2004 Lisa si era introdotta in casa della giovane Bonnie Jo Stinnet, incinta di otto mesi, l’aveva strangolata e aperta con un coltello da cucina per appropriarsi del bambino che portava in grembo, lasciandola morire dissanguata. Eppure il team di psicologi che si occupava del caso aveva invocato la sospensione della pena in considerazione del passato di orrendi abusi e indicibili violenze subiti dalla donna. Lisa Montgomery, si leggeva nella perizia, “non è la peggiore delle peggiori. È la più spezzata di tutte le persone spezzate”.
A questa vicenda, che chiama in causa l’etica, la morale e l’intricato rapporto che c’è o dovrebbe esserci tra la legge e la compassione umana, ha dedicato la penna Fabio Pisano, con un testo – già vincitore del premio Nuovesensibilità 2.0 del 2022 e pubblicato sia nella raccolta Abbecedario per il mondo nuovo del Piccolo di Milano sia nel numero 1/24 di Hystrio – nel quale si concede finalmente la parola a Lisa.
I ricordi della donna si susseguono senza una precisa logica consequenziale, con un ritmo che non lascia tregua; schiaffi e pugni a chi li ascolta: le violenze inaudite e reiterate subite dal patrigno, qui il «patre regno» capace di dominare l’intera esistenza fisica ed emotiva di una bambina; gli osceni stupri di gruppo; la figura deprecabile di una madre complice e anzi, anch’essa carnefice; poi la finta gravidanza, il commovente desiderio di dare alla luce una nuova piccola Lisa cui, forse, destinare una vita migliore; ma anche la cronaca lucida e colpevole dell’omicidio.
Sintassi spezzata, parola sospesa, un tempo indefinito – perché, si legge nella didascalia iniziale, Lisa di tempo non ne ha avuto mai – conferiscono al testo un’andatura poetica ma anche spigolosa, a tratti crudele. Una parola, quella di Pisano, che si conferma arma affilata, capace, con chirurgica precisione, di dire anche l’indicibile.

La regia di Livia Gionfrida affida la totalità della scena vuota a Mariangela Granelli e alla presenza musicante e cantante di Serena Ganci (sue le musiche) che scandisce i tempi del racconto. La protagonista, nelle mutevoli vesti di Lisa, agisce tutto ciò che dice: si lascia andare a gesti sguaiati, a risate tonanti; muta vocalità, costumi, movenze, mimando ora il padre, ora la madre, ora i suoi aguzzini. Nulla è risparmiato allo sguardo, finanche l’oscenità dello stupro e la violenza dell’omicidio.
Granelli si districa tra i vari momenti della narrazione con notevole abilità ma il tutto restituisce una lettura scenica del testo forse eccessivamente enfatica ed espressionistica. Un testo che ha già nella parola tutto ciò che serve a comprendere lo strazio di questa vicenda, che esce purtroppo appesantito da ciò che la concretezza fisica della rappresentazione aggiunge. 

Cambio spazio, cambio tono. Al Capannone incontriamo Dario De luca e Gianfranco De Franco con I 4 desideri di Santu Martinu, riscrittura in dialetto calabrese liberamente tratta da fabliaux anonimi medievali. In uno spazio circolare luminescente i due, un cantastorie e un musico sospesi in un tempo indefinito che si colloca a metà tra l’antico e il futuristico, raccontano il loro favolazzo osceno. La vicenda, dagli irriverenti tratti boccacceschi, narra di una umile coppia devota a San Martino la quale, nell’incosciente entusiasmo di esprimere i quattro desideri concessi dal Santo, spreca l’occasione di trarne davvero vantaggio a colpi di scaramucce reciproche per ritrovarsi, esauriti i desideri, allo stato iniziale, priva delle ricchezze sperate ma consapevole infine, di possedere tutto ciò di cui ha bisogno.

De Luca, al centro della scena, tesse le fila della storia con presenza istrionica nel suo abito da pastore corredato da un cappello contornato di lampadine (curatussimo il costume di Mariella Carbone), mentre De Franco, dalla sua moderna postazione con mixer, flauto traverso e sax, accompagna la narrazione con musiche originali che rievocano melodie medievali restituite però con sonorizzazioni elettroacustiche.
La favola è oscena, non c’è dubbio, ma Dario De Luca non scade mai nella molesta volgarità, conserva sempre il giusto ritmo e la misura dei toni e della gestualità che pure asseconda anche i momenti più spinti dell’intreccio. Un esempio godibilissimo di destrezza narrativa e di virtuosismo mai fine a se stesso. 

Conclude la serata, al Teatro Sybaris l’anteprima assoluta di Quello che non c’è di Giulia Scotti.
“Ci sono storie famigliari che non vengono raccontate nella convinzione che quello che non si dice non si saprà mai: quella di Daniela è una di queste. In gran parte è una storia vera, ma non lo è più, a ben vedere, dal momento in cui a scriverla sono io, che in quegli anni non ero altro che una bambina e che pertanto, per quanto mi sia sforzata di riportare i fatti con una certa fedeltà, non ho mai assistito, nè preso parte alle scene in questione”.
Così in sinossi. Daniela è la zia di Giulia, morta in solitudine per alcolismo, ritrovata senza vita dal fratello, il padre di Giulia che, a un certo punto delle loro vite, decide di raccontarle questa storia.
Le parole del padre sono la base di realtà sulla quale l’artista costruisce il proprio lavoro innestando su di esse le suggestioni e le impressioni scaturite in lei. Una sovrapposizione tra verità e verosimiglianza che si traduce sulla scena nell’incontro tra la parola detta e quella rappresentata, sul grande schermo retrostante, dai fumetti realizzati da Scotti stessa. I disegni in bianco e nero, delineati da tratti semplici ed essenziali, dialogano con lei, a momenti ne riportano i pensieri che fanno da didascalie alla scena; danno voce visibile al racconto del padre o mostrano le immagini cruente – solo qui note di rosso – che la giovane Giulia dovette figurarsi ascoltandolo o, ancora, animano le trasposizioni simboliche e metaforiche degli eventi che la sua mente dovette elaborare.
Davanti allo scorrere delle animazioni del fumetto, luogo possibile della fantasia, l’artista interagisce in scena con pochi oggetti – quattro sedie, una lampada, un telefono, un microfono su asta – maneggiandoli come fossero materici punti di riferimento cui agganciarsi per tenere ferma e stabile la verità di ciò che sta raccontando, presente pur se appartenente al passato, concreta pur se frutto di sovrapposizioni mentali.
Perché raccontare questa storia? Perché questa vicenda famigliare che per tanto tempo è rimasta celata, che per tanto tempo non è esistita, ha potuto suggestionare così profondamente la creatività? “Le cose non dette, soprattutto in famiglia, restano come fantasmi nella stanza – spiega Scotti. Quando mio padre mi ha raccontato questa storia mi sono sentita come sollevata perché ho rimesso insieme i pezzi di tante cose che da bambina non capivo”. 

Ma Quello che non c’è non è solo una storia autobiografica e familiare. È, forse ancora prima, un abile gioco da equilibrista che vede l’interprete maneggiare e mescolare assieme verità e finzione.
Si legge nelle note di regia al testo: “La storia che il testo racconta non può limitarsi ad avere il carattere del realismo ma deve sempre puntare ad aprire zone di surreale. Chi guarda, lo spettatore, dovrebbe potersi chiedere tra sé e sé “quello che sto vedendo è vero o è un’allucinazione?”.
Lo spettatore è allora ingaggiato in questo gioco, a più riprese esortato a leggerne i segni e a chiedersi quanto c’è di vero e quanto, invece, è finzione; a scegliere a quale frammento della rappresentazione dare priorità. 

“So che questo oggetto che abbiamo creato non sarebbe stato così se fossi stata sola – ci tiene a sottolineare l’artista – È un lavoro che è stato reso possibile dal confronto con le persone incontrate durante percorso, in particolare con Andrea Pizzalis che si è inserito a lavoro avviato ma che, mettendosi in ascolto delle mie proposte, è riuscito poi a elevarle a un livello superiore. È  un momento di grazia, quando accade”.
Ma nei crediti si ringrazia anche chi ha sostenuto il progetto dall’inizio: Antonio Tagliarini, Fabiana Iacozzilli, Francesco Alberici, in modo speciale Daria Deflorian. Ecco, Giulia Scotti dà prova di aver tratto il meglio dalle poetiche e dai modi di abitare la scena dei suoi mentori, senza però diventarne un epigono: il suo lavoro, al netto di qualche tratto spigoloso ancora da limare, emerge in tutta la sua intelligente complessità con una matura  e brillante costruzione drammaturgica che rivela commovente profondità del sentire e insieme poetica levità interpretativa. Un esito ammirevole. 

 

SPEZZATA. RAPSODIA (PER INTERCESSIONE DEL SILENZIO)

testo Fabio Pisano
con Mariangela Granelli
regia Livia Gionfrida
musiche Serena Ganci
luci e spazio sonoro Alessandro Di Fraia
costumi Daniela Salernitano
direttrice di produzione Hilenia De Falco
produzione Teatri Associati di Napoli
ufficio stampa Elena Lamberti
in coproduzione con Bottega degli Apocrifi ed Ente Teatro Cronaca
Si ringrazia per la collaborazione Casa del Contemporaneo, Teatro Metastasio di Prato, Teatro Metropopolare

 

I 4 DESIDERI DI SANTU MARTINU
favolazzo osceno adatto ad essere recitato dopo i pasti 

con Dario De Luca e Gianfranco De Franco
riscrittura originale, spazio scenico, disegno luci e regia Dario De Luca
musiche originali e sonorizzazioni elettroacustiche Gianfranco De Franco
costumi e oggetti di scena Mariella Carbone
allestimento e assistenza alla messinscena Giovanni Spina
organizzazione e amministrazione Tiziana Covello
distribuzione Egilda Orrico
produzione Scena Verticale
con il supporto di Matrioskaoff |Spazio Mai – Movement Art Is(Residenza Artistica Cura_Umbria)

QUELLO CHE NON C’È

testo e regia Giulia Scotti
collaborazione al progetto Andrea Pizzalis
consulenza Alessandra Ventrella
con Giulia Scotti
disegno luci Elena Vastano
suono Lemmo
coproduzione Tuttoteatro.com
residenza produttiva Carrozzerie | n.o.t
con il sostegno di  IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia|Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt)|Olinda / TeatroLaCucina
in collaborazione con mare culturale urbano|Ex Asilo Filangieri
produzione, organizzazione, amministrazione Valentina Bertolino,Silvia Parlani,Grazia Sgueglia
comunicazione Francesco Di Stefano
Si ringrazianoAntonio Tagliarini,Fabiana Iacozzilli,Francesco Albericiper averci creduto per primi
Un ringraziamento particolare aDaria Deflorianper il sostegno al progetto

Foto di Angelo Maggio