ELENA SCOLARI | Armando Testa è stato un pubblicitario davvero di genio. Tra le sue creazioni più note e amate ci sono Carmencita e il caballero misterioso per il caffè Paulista, Pippo l’ippopotamo blu della Lines, il pianeta Papalla per la Philco. Una bella mostra a Cà Pesaro a Venezia ne racconta esordi e successi. Testa è stato anche autore di campagne tematiche su argomenti importanti, per esempio il referendum del 1978 per non abrogare il diritto all’aborto, qui sotto il suo manifesto con lo slogan “Meglio il divorzio che inchiodati nell’odio”.
Uno stile diretto ed esplicito, con un’immagine molto forte, che chissà se sarebbe accettata oggi, su un cartellone affisso nelle nostre città in Italia.
Si può scegliere di parlare di questioni scomode in tanti modi. In bianco o in nero, come suggerisce il titolo dato da ricci/forte per la loro quarta direzione artistica della Biennale Teatro di Venezia (Niger et albus), oppure con molti colori ma con una divisione di ruoli così netta da risultarne una visione del mondo tutt’altro che arcobaleno, come accade per Phobia di Markus Öhrn e Karol Radziszewski, in cui si affronta la discriminazione contro la comunità Lgbtq+ in Polonia, dove vige anche una delle leggi più restrittive dell’Ue sull’aborto; oppure ancora usando un solo tono, il verde di un Livido, fiorito dopo una violenza, come nel testo omonimo di Eliana Rotella, vincitrice della sezione Biennale College Teatro – Drammaturgia Under 40 e protagonista di una delle mise en lecture dei testi nati o sviluppati durante la masterclass in drammaturgia tenuta nel 2023 da Davide Carnevali.
Entrambi i lavori sono in sintonia con il tema dell’anno, almeno per come noi lo abbiamo recepito, benché siano espressioni teatrali lontane, proprio come il bianco e il nero, si concentrano però sul male, sull’esplosione e il superamento di azioni aggressive o subdole.
L’idea di Phobia è un commando di terroristi gay – i Fag fighters (trad. “i combattenti froci”) – che assale le case con indosso un passamontagna rosa shocking (però tuta e calzini Adidas).
I criminali agiscono in coppia e hanno un modus operandi: pongono tre quiz sulla storia della Polonia ai malcapitati, se questi ultimi non conoscono le risposte allora giù botte, sodomie, stupri e via seviziando. In realtà è tutto piuttosto comico perché l’esibizione della violenza è talmente in stile Grand Guignol, così gustosamente splatter, che non può fare impressione a nessuno. Al massimo si può essere un po’ disgustati, perché certe torture sono volutamente stomachevoli ma è tutto un gioco fatto con le tempere, la Nutella, con colori come quelli degli Sguish (per chi se li ricorda). In una scena scatola bianca i personaggi indossano maschere che li rendono simili a cartoni animati, occhi molto grandi cerchiati di nero e bocche aperte a mo’ di tragedia greca, e le mazzate che colpiscono le vittime sono sonorizzate con colpi secchi, amplificati come nei film che si reggono sui cazzotti.
Le domande che i Fag pongono riguardano personaggi storici, regnanti, scrittori (Gombrowicz), ballerini (Nižinskij), tutti omosessuali, anche donne, travestiti o femministe ante litteram, di cui nei libri di storia si sono misconosciute o nascoste o trascurate le tendenze sessuali, anche quando queste sono state causa di dileggio o peggio.
I vendicatori in rosa colpiscono, in tre lunghi episodi, piuttosto ripetitivi, tre diversi bersagli: una famiglia madre-padre-figlia, un art director di un’azienda di abbigliamento che opera il cosiddetto pinkwashing (campagne pubblicitarie per l’inclusione sociale con obiettivi di vendita) e un regista/drammaturgo identificabile come Öhrn stesso. Nel primo caso la famiglia è una banale presa in giro delle mode: lei fa yoga, lui si disinteressa di lei, per salvarsi dicono cose come ho un sacco di colleghi gay, lavorano come tutti gli altri o noi andiamo alle parate e gridiamo love is love; la ragazzina cucina sanguinacci vegani e vuole adottare un cane senza zampe. È l’unica che indovinerà uno dei quiz e sarà così risparmiata, verrà coperta con una bandiera arcobaleno per non vedere il castigo inferto ai genitori. Gli episodi successivi sono un crescendo di luna park della violenza, i due picchiano, sodomizzano, fanno a pezzi e poi copulano con le membra dell’ucciso mentre un pianista e violoncellista al lato della scena suonano musiche soavi, in una pallidissima eco di Arancia meccanica.
Con il suo lavoro, il drammaturgo svedese Öhrn, qui in collaborazione con l’artista queer polacco Radziszewski, intende superare “il fatto di essere cresciuto in una società fortemente eteronormativa e patriarcale nel nord della Svezia”. E noi che pensavamo che i Paesi scandinavi fossero più aperti e più avanti di noi, da decenni! Pare che ci sbagliassimo, dunque.
Per ottenere lo scopo l’autore e regista ha scelto una via grottesca, eccessiva, satura ed esplicita, con una vena di spirito, spinta all’estremo; ci auguriamo stia riuscendo nella sua lotta personale. Quanto all’effetto sull’uditorio rimane il dubbio che il semplice ribaltamento di buoni e cattivi per cui la minoranza “da proteggere” diventa invece la falange armata da cui proteggersi, sia uno schema povero e che non dia nuovi stimoli di riflessione sull’argomento intolleranza.
C’è bisogno di mettere il tema all’attenzione, certo, ma se l’appropriazione dei rozzi mezzi di chi discrimina da parte dei discriminati è il cambio di prospettiva – seppur strumentale – non c’è granché da aspettarsi. Più interessanti invece gli inserti sui personaggi, non tanto per le singole figure quanto per il fatto che possano essere stati traditi nel racconto storico proprio perché portatori di scelte anticonvenzionali.
Decisamente ellittico è invece l’atteggiamento della scrittura di Eliana Rotella. Nella lettura scenica del suo Livido l’autrice è presente in scena, terzo vertice tra i due poli interpretativi Marco Cavalcoli e Bianca Cavallotti, entrambi molto ben centrati; il primo nel ruolo di un medico che deve fare dei controlli alla seconda, una ragazza che supponiamo essere stata vittima di un trauma non meglio specificato ma di cui si lascia sospettare possa essere proprio il medico il responsabile. I tre sono chiamati Ovidio, Narciso ed Eco, evidente richiamo al mito. E il livido è la traccia di un fatto di cui si è persa la memoria: la giovane Eco dice quello che l’autrice/Ovidio ha scritto per lei, nel tentativo di ricordare l’origine di quella macchia verde.
Il testo è sincopato, scritto secondo una precisa armonia (anche se un poco attorcigliata) fatta di spigoli, di inciampi, di ripetizioni, di reiterazioni che danno il ritmo dello sforzo che si compie cercando di ricostruire una sequenza di azioni che la mente ha confuso, rimosso, per difesa. Le parole di Rotella sono un percorso accidentato in una vita accidentata ma che guarirà, come quell’alone verdastro. Ovidio è la sorgente che scrive e riscrive la storia, la interrompe, la riprende, la fa ripetere a Eco e Narciso. Non è chiaro l’inizio, non è chiara la fine.
C’è senz’altro rigore, nello stile di Rotella, la volontà precisa di suggerire soltanto, dicendo il meno possibile, scelta condivisa dalla regia – per ora solo abbozzata, come è naturale sia nella fase di una messa in lettura – di Fabio Condemi, che utilizza importanti inserti sonori (a cura di Andrea Gianessi) a rendere un’atmosfera fatta di vuoti e di buchi che contribuisce alla sensazione di una certa sgradevolezza, proprio come quando ti tocchi un livido e provi a capire da dove viene il male che senti.
PHOBIA – prima nazionale
di Markus Öhrn e Karol Radziszewski
regia Markus Öhrn
scene e costumi Markus Öhrn e Karol Radziszewski in collaborazione con Saskia Hellmann
immagini Karol Radziszewski
musica Michał Pepol, Bartek Wąsik
maschere Makode Linde
trucco Monika Kaleta
con Wojciech Kalarus, Ewelina Pankowska, Piotr Polak, Magdalena Popławska, Jan Sobolewski
direttore di scena Łukasz Jóźków
assistenti alla regia Anna Lewandowska, Angelika Mizińska
produttrici Anna Skała, Angelika Mizińska
(spettacolo in polacco, traduzione in italiano e adattamento sovratitoli di Matilde Vigna)
progetto cofinanziato dal Ministero della Cultura Repubblica di Polonia
LIVIDO – mise en lecture
testo Eliana Rotella, vincitrice Biennale College Teatro – Drammaturgia Under 40
regia Fabio Condemi
con Marco Cavalcoli, Bianca Cavallotti, Eliana Rotella
musica e sound design Andrea Gianessi
Biennale Teatro, Venezia | 26/27 giugno 2024