CRISTINA SQUARTECCHIA l Civitanova danza è sempre palcoscenico di felici anteprime e fortunate residenze. Questo che raccontiamo è il percorso del terzo appuntamento del Festival nel festival nell’ambito della trentunesima edizione della rassegna, che ha riunito gli artisti intorno al tema del tempo, da quello vissuto, raccontato e immaginato, al tempo che lega i corpi danzanti di Ti ricordi il futuro? di Emma Zani e Roberto Doveri, Dear Son di Sasha Riva e Simone Repele e la maestosa Le Sacre du Printemps dei Dewey Dell, Premio Danza&Danza 2023 come migliore produzione italiana.
Si comincia al Teatro Cecchetti dove il duo di Emma Zani e Roberto Doveri presenta il proprio progetto, finalista di Dna Appunti coreografici e sostenuto dalla Regione Marche. Ti ricordi il futuro? risveglia da voci lontane memorie d’infanzia. Seduti in platea la mente torna in quei luoghi dove i giochi, le corse e le risa si stagliano nitide nella nostra mente. Siamo in un cortile o in una casa in campagna dove Emma Zani e Roberto Doveri, perfettamente all’unisono, ci raccontano di quella gaia mestizia che aveva in sé la pienezza del futuro. La pièce riavvolge il nastro dell’esistenza di due adulti che si ritrovano, mutati, quasi estranei davanti a quei sogni. È da questo scarto temporale che Ti ricordi il futuro? gioca con e nel passato, attivando la memoria corporea come campo d’azione prescelto per risvegliare stratificazioni e automatismi sedimentati. La danza con i suoi gesti torna ad abitarne vibrazioni e tensioni.
Nato su ispirazione della mostra personale di Valerio Berruti C’è troppa luce per non credere nella luce (Belgrado 2011), il lavoro di Zani e Doveri prende forma scavando nelle pieghe dei loro corpi. Lavorano a un duo di perfetta intesa, gestuale e ritmica, in un fraseggio articolato di movimenti fluidi inanellati a semplici sequenze di chiarezza formale e gestuale insieme. È una narrazione danzata di segreti inconfessati che passano dall’orecchio alle mani, dai piedi alle ginocchia e così via. Ne consegue una coordinazione organica e fluida insieme che disegna volumi nello spazio come a indicare mancanze, assenze, vuoti mai colmati in un dialogo intimo e delicato. Nulla in scena, solo Emma Zani e Roberto Doveri avvolti nel suono della fisarmonica suonata dal vivo da Timoteo Carbone, il cui ingresso, posato e mai banale, sostiene con quella suggestione nostalgica e melanconica, il ricordo di sapori e profumi sopiti nelle nostre membra.
Dear son di Sasha Riva e Simone Repele, presentato in anteprima assoluta al Teatro Rossini, ha tutta un’altra forza narrativa. Anche in questo caso si gioca con il tempo e l’urgenza di riavvolgere il nastro della vita ma con toni meno poetici. Dear son è l’incipit di una lettera che un padre – Sasha Riva – e una madre – intrepretata dalla longilinea e intensa Anne Jung – scrivono al proprio figlio morto in guerra. Il filo narrativo segue un percorso lineare in termini cronologi: tutto comincia dall’innamoramento dei due, dal fidanzamento al matrimonio, dalla nascita del figlio fino alla crescita e al terribile giorno della sua partenza al fronte. Un repertorio di canzoni italiane, da Claudio Villa a Gino Paoli, accompagna questa prima parte dove le fasi di crescita di una famiglia segnano il percorso evolutivo di ognuno e saldano l’unione.
È la potenza della danza e la capacità di Riva e Repele di costruire una coreografia dal forte impatto visivo per le video proiezioni a darci la misura di quanto l’unità familiare sia più forte della morte. Duetti, terzetti, soli fluiscono in una combinazione unica del loro stile che sa unire classico, neoclassico e moderno. Un’armonia di tecnicismi, virtuosismi, in alcuni casi troppi, uniti a coordinazioni gestuali, che a tratti scivolano nell’enfasi descrittiva o in piacevoli frammenti ironici, come quando il figlio gioca in un dondolio di passi su Il cielo in una stanza sotto tre fasci di luce che illuminano i danzatori in scena.
Risultano coreografie dinamiche, belle da guardare tra prese e intrecci che seducono lo sguardo ed entrano in empatia nel raccontare ed esprimere le emozioni, anche quando si tratta di morte. Da questo momento in poi le coreografie non danno più la sensazione che qualcosa possa progredire, non percepiamo più l’idea di un futuro che avanza, ma assistiamo a un ripiegamento di quanto visto fin ora. È l’impossibilità dei due coniugi di proiettarsi in un futuro privo di aspettative senza il loro figlio, destinati ad una vita ingessata nei ricordi dove Riva e Repele raccontano di questo dolore riprendendo le stesse coreografie, ricalcando quei passaggi nodali immersi questa volta sulle musiche di Fabrizio de Andrè, Ólafur Arnalds e Arvo Pärt che avvolgono la scena nell’incolore nostalgico di fronte all’inarrestabile invecchiamento. Con Dear son Riva e Repele aprono, attraverso la danza, uno spazio di riflessione su tutte le guerre, sull’irreparabile rottura umana nella dimensione individuale e collettiva.
È la forza del rito, la sua imperitura sacralità a spezzare il filo narrativo di memorie passate in questo trittico di spettacoli. Al Teatro Annibal Caro di Civitanova Alta ci attende in chiusura di serata, una delle ultime e più audaci versioni de Le Sacre du Printemps quella firmata dai Dewey Dell. Non siamo di fronte a una comunità che si prepara a rinnovare il rito dall’adorazione della terra fino al sacrificio dell’Eletta per favorire la fertilità. Niente di tutto questo. Per Teodora Castelluci con l’intervento sonoro del fratello Demetrio, che in alcuni punti lavora la partitura di Igor Stravinskij, tutto è da ricondurre alle prime forme viventi, agli organismi unicellulari, i primi che hanno posto in essere il processo riproduttivo del ciclo vitale. Se infatti leggiamo nella sinossi: «in ogni metamorfosi e grande cambiamento dell’essere umano, la morte è sempre al fianco della vita, manifestandosi come un rito di passaggio o di rivoluzione interiore», il divenire dell’esistenza sotto forme mutate è il cuore di questa versione del Sacre che riconduce tutto ad uno stato germinale. Una caverna bianca dove una massa informe di colore nero sui primi suoni dell’unicorno sembra muoversi su luci soffuse. Si delinea poi, in luce piena, un ovulo o una cellula dalla quale fuoriesce un bruco che si muove lentamente.
Dura poco la sua permanenza, fino alle potenti percussioni dei fiati quando s’impongono allo sguardo degli spettatori insetti neri, simili ad api, calabroni o tarante, che paiono voler fagocitare tutto ciò che li circonda eseguendo una serie di sequenze in break dance. È la lotta alla sopravvivenza, la dura legge che regola il creato secondo quel processo rigenerativo del grande che si nutre del piccolo per proteggere e mantenere in equilibrio l’ecosistema.
E via via seguendo questo filo logico di morti e successive rinascite in forme nuove i Dewey Dell attraversano la vibrante creatività danzante del Novecento citando Loie Fuller, come quando una grande e inquietante farfalla rossa agita con forza e in musica i suoi panneggi, o quando una massa informe in lotta con se stessa si agita sul finale sotto un telo dorato che giganteggia progressivamente. Un inno al mondo animale e vegetale tra creature nuove e sconosciute che si alternano in questa scrittura fatta di citazioni e simbolismi del passato, del presente, ma anche del futuro, di fronte a quel misterioso ed irrefrenabile ciclo vitale.
TI RICORDI IL FUTURO?
ideazione YoY Performing Arts
coreografia e interpretazione Emma Zani, Roberto Doveri
musiche Timoteo Carbone
DEAR SON
coreografie Simone Repele e Sasha Riva
danzatori Anne Jung, Sasha Riva e Simone Repele
musiche Gino Paoli, Claudio Villa, Fabrizio de Andrè, Ólafur Arnalds e Arvo Pärt
disegni nel video Gu Jiajun con l’aiuto di Adèle Vettu
luci Alessandro Caso
produzione Riva&Repele, Le voisin co- produzione Orsolina 28, Centre des arts Geneve Roamaeuropa Festival, Daniele Cipriani Entertainment
distribuzione Daniele Cipriani
LE SACRE DU PRINTEMPS
musica originale Igor Stravinskij
concept e regia Dewey Dell
con Agata Castellucci, Teodora Castellucci, Alberto “Mix” Galluzzi, NastyDen, Francesca Siracusa
coreografia Teodora Castellucci
dramaturg, disegno luci e scena Vito Matera
assistenza alla coreografia e Produzione Agata Castellucci
esecuzione musicale registrata MusicAeterna, diretta da Teodor Currentzis, 2013
suoni Demetrio Castellucci
costumi Dewey Dell, Guoda Jaruševičiūtė
realizzazione costumi e oggetti di scena Carmen Castellucci, Vito Matera, Plastikart studio
realizzazione scena Laboratorio scenografia Pesaro di Lidia Trecento
documentazione video Eva Castellucci, John Nguyen
produzione Dewey Dell
coproduzione progetto RING (Festival Aperto – Fondazione I Teatri Reggio Emilia, Bolzano Danza – Fondazione Haydn, FOG Triennale Milano Performing Arts, Torinodanza Festival, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale), Macalester College / Dipartimento di Teatro e Danza, BIT Teatergarasjen
partner associato: Lavanderia a Vapore – Fondazione Piemonte dal Vivo
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna e di Societas, Teatro Comandini