CRISTINA SQUARTECCHIA l Mentre sbiadisce l’eco dei sax dell’Umbria jazz e si impongono i timbri più sinfonici del prossimo Music Fest di Perugia tra le vie del centro storico, si fa largo la danza nell’ultima decade di luglio, con l’Umbria Danza Festival. Un po’ distante dal frastuono turistico della città, in zona Borgo bello, si respira un’aria più quieta e rilassata varcando il portone del complesso monumentale del convento di Sant’Anna. È  il luogo dove opera con instancabile cura la direttrice artistica Valentina Romito, alla guida del festival. Una new entry nella vasta geografia degli eventi estivi di danza italiani che da due anni si è imposta all’attenzione del MIC grazie a una progettazione oculata e inclusiva sulle arti performative  che risale a più di un decennio fa. «Il festival nasce da lontano, nel 2012 sulle basi di una mini rassegna estiva, da quando abbiamo iniziato ad abitare questo luogo che è il complesso di Sant’Anna, la sede della Dance Gallery – ci racconta Valentina Romito. Sin da subito ho sentito la necessità di far vivere questi spazi che sono il chiostro, la palestra, la sala di danza, l’orto botanico, il campetto, il parcheggio. È stato per me quasi naturale andare a intercettare quegli spettacoli o quei progetti che potessero calarsi in questi spazi e costruirvi un dialogo. Poi con il nuovo triennio ministeriale c’è stato il grande salto, ho deciso di far crescere questa realtà partecipando al bando e passare così dalla rassegna di pochi giorni a un festival di più ampio respiro. Con il claim di quest’anno che è Celebration, come inno alla bellezza della danza e alle sue declinazioni di spazio, suono, comunità, formazione, gesto, memoria e condivisione, festeggiamo anche i trent’anni di attività qui a Perugia, per un’idea di danza dal sapore artigianale, tra arte e servizio per il territorio».

ph Claudia Ioan

Dallo spazio al gesto e dal gesto allo spazio si costruisce questo primo itinerario dell’Umbria Danza Festival con un autore di ricerca artigianale in Italia,  Virgilio Sieni. Radunati all’ingresso della biglietteria veniamo condotti nello spazio antistante alla sala di danza e adiacente a un parcheggio. Da una salita vicina vediamo scendere lentamente, senza dare troppo nell’occhio, una macchina che si dirige verso di noi. Si tratta di un modello d’epoca, una Diana 6 con a bordo due danzatori, Jari Boldrini e Maurizio Giunti, quest’ultimo alla guida. Dopo un paio di giri lenti, quasi a passo d’uomo, Marco Giunti ferma e spegne la macchina. C’è una cura quasi maniacale nella lentezza, nella dilatazione degli automatismi  gestuali che ripetiamo quotidianamente alla guida: dallo scalare le marce, a girare lo sterzo, togliersi la cintura di sicurezza e così via. Il primo tentativo della pièce è di far emergere la “danzabilità” di questi gesti quotidiani, a partire dal tempo, rompendone il ritmo automatizzato.

ph Claudia Ioan

Come suggerisce il titolo Sleep in the car, dormire nella macchina, la pièce tratta di un fenomeno sempre più diffuso ed  emergente: quello di  sperimentare  le diverse possibilità dell’abitare con il proprio corpo l’interno delle auto. In  contrasto temporale con la frenesia quotidiana con cui guidiamo, aspettiamo, e consumano le nostre vite in strada, i corpi dei due danzatori esplorano e cercano un dialogo dentro questa casa ambulante. L’auto diventa un rifugio, una protezione da un mondo caotico che ci tiene sempre più lontani dal calore delle nostre case, per lavoro, per eccesso di traffico, o per necessità, come ultima nostra dimora. L’atto danzato diventa un gioco di corpi, un entrare e uscire dalle portiere laterali e posteriori che fanno affiorare  movimenti, sospensioni e continui accomodamenti dentro e fuori l’abitacolo alla ricerca di un equilibrio, di un possibile ristoro.

Possiamo immaginare storie di abbandono, solitudini, incomprensioni di chi incontriamo sulle strade o in sosta nei tre appuntamenti che Sieni snocciola da questa idea. Tre risalite e tre discese della Diana 6, tre andate e tre ritorni: due amici, poi un uomo solo e poi  una coppia, uomo-donna, mentre  il soave brano di Domenico Scarlatti Sonata in D minore K32 aria, preceduto dal silenzio e ancor prima da un tappeto jazz, conduce il corpo verso nuovi accomodamenti nella dilatazione quasi ipnotica del gesto.

«Sono una delle principali formatrici in tecnica Nikolais in Italia, – spiega ancora Valentina Romito – e con  Simona Bucci abbiamo studiato con il grande maestro Alwin Nikolais che professava nel suo lungo magistero coreografico e didattico il valore fondante del gesto per ogni danzatore, tanto da approfondirlo nel bel volume The unique gesture. Oltre il gesto c’è la persona che danza, il suo vissuto, la sua identità artistica e creativa. È il centro propulsore di ogni movimento e la sua scoperta e riappropriazione quotidiana offre le chiavi per trovare una dimensione spirituale di sé. Sento una certa vicinanza con tutto questo nella poetica di Virgilio Sieni».

Danza cieca che andiamo a vedere subito dopo nella Sala  Sant’Anna, è un lavoro nato durante la pandemia in un periodo di residenza al borgo della Martella, vicino Matera, caratterizzato da una raffinata scrittura gestuale. Mentre ci sistemiamo intorno, Virgilio Sieni e Giuseppe Comuniello si fanno trovare già pronti in scena ad attenderci con indosso camicia bianca e pantaloni rossi. Al buio quasi totale i due corpi oscillano avviando la danza. La luce soffusa amplifica la percezione spazio temporale tra i due corpi legati da un comune sentire, un’intimità sensoriale che non ha bisogno di tocchi, ma di una relazione di vicinanza. Danza cieca è un dialogo sull’ascolto, amplificato nella sua dimensione cinetica in un dualismo tattile, di materia danzata espansa nello spazio, sostenuta dal respiro dei due che vivono nell’aura dell’altro.

ph Claudia Ioan

Giuseppe Comuniello danzatore non vedente e partner di tanti progetti coreografici di Sieni, spinge oltre la finitudine del gesto per lasciarsi sorprendere dal flusso, da una multisensorialità corporea ed emozionale insieme. Lo sguardo agito e consapevole crea un luogo di contatto invisibile tra i corpi che risuona negli interstizi come punto generatore di dinamiche, appoggi reciproci e sospensioni, funzionali alla sintassi coreografica del gesto, frastagliato e lirico insieme, evocativo e sfuggente. Il movimento che affiora si fa campo di conoscenza, un meravigliarsi reciproco di pause e incontri.  Si schiudono, senza volerlo, visioni ancestrali, dove il live sonoro di Spartaco Cortesi, presente in scena a comporre quasi un trio, sostiene dall’inizio alla fine la danza, per suggerire o a volte sviare l’immaginazione, per opporre o congiungere le dinamiche figurali. L’orecchio accoglie questo tappetto sonoro che non è mai invasivo, ma che invita i danzatori, e noi con loro, a prolungare e dilatare il movimento nello spazio come nuovo approdo.

Visti il 23 luglio

SLEEP IN THE CAR

di Virgilio Sieni
in collaborazione con Franco La Cecla
con Jari Boldrini, Sara Sguotti, Maurizio Giunti

DANZA CIECA

coreografia Virgilio Sieni
assistenza artistica Delfina Stella
interpreti Virgilio Sieni e Giuseppe Comuniello
musica dal vivo Spartaco Cortesi (elettronica)
produzione Fondazione Matera-Basilicata 2019, Compagnia Virgilio Sieni