CRISTINA SQUARTECCHIA l All’Umbria Danza Festival la seconda giornata si apre con l’inaugurazione della mostra dedicata ad Alwin Nikolais, entrando nel vivo degli spettacoli. È lo Special day – come si legge dal pieghevole: un trittico di debutti significativi per la storia della Dance Gallery. Le memorie di chi è cresciuto in questa scuola diventano materie danzanti che restituiscono amore, gratitudine e bellezza di vite e storie in danza. È quanto ha costruito in trent’anni di insegnamento Valentina Romito, partita da Napoli insieme alla sua socia Rita Petrone, e approdate per scelta a Perugia, a radicare una realtà di danza che ponesse al centro il corpo, come canale di crescita individuale e collettivo di una comunità eterogenea come quella umbra. Forti entrambe degli insegnamenti di Alwin Nikolais prima e Carolyn Carlson poi, le due artiste sono partite avviando corsi di formazione per danzatori e danzatrici  in netta opposizione al proliferare di centri di danza classica e di balletto in città. «Abbiamo accolto in questi tre decenni allievi di ogni età – racconta Valentina Romito. Le nostre scelte didattiche e formative si sono orientate in controtendenza con quello che accadeva. Abbiamo abbattuto diversi stereotipi, partendo dal presupposto che il corpo e la danza rappresentino qualcosa di nostro, qualcosa di cui ognuno può riappropriarsi. Hanno trovato così accoglienza anche ragazzi e ragazze che iniziavano il loro percorso formativo a 18 anni. Alcune di loro saranno le protagoniste dei tre debutti di questa sera».

ph Claudia Ioan

Così nella Sala  Sant’Anna ci attende il primo lavoro dell’atteso trittico, quello  di Sara Maurizi dal titolo You might find you somewhere – an irrational esperiment /Potresti trovarti da qualche parteun esperimento irrazionale.  Da un angolo dello  spazio scenico la danzatrice avanza lentamente con una scimmia di peluche in un incedere poco lineare. Inizia così il viaggio a ritroso nella sua memoria in una composizione che distilla frammenti d’infanzia come un flusso di coscienza irregolare, i cui ricordi affiorano senza un ordine ben preciso. Un percorso di ricerca con e sul corpo che la danzatrice ha affinato nei suoi studi con le pratiche corporali e vocali di Marina Abramovic, in particolare quelli che risalgono a  Freeing the body, Freeing the voice, Freeing the memory (1975). Il corpo di Sara Maurizi diventa un tracciato mnemonico che lascia scorrere questi episodi d’infanzia, come macchie irregolari sulla scena, per raccontare quello che resta poi iscritto nel corpo a condizionare le nostre esistenze future.
Sono giochi ingenui, quelli che Sara Maurizi sceglie di condividere con il pubblico, come quando bimba lanciò dal balcone tutte le scarpe della nonna, oppure i disagi e le non accettazioni adolescenziali di fronte ai cambiamenti del corpo, esposti e mescolati qua e là in una danza basata sulla ripetizione. Roulade a terra e scivolate quasi fossero funzionali a sciogliere i nodi del filo della memoria. You might find you somewhere – an irrational experiment /Potresti trovarti da qualche parte – un esperimento irrazionale emana il profumo di una scrittura autoriale caotica, ma sostenuta da una sua coerenza espressiva.

«L’autorialità delle nuove generazioni è un argomento che mi sta molto a cuore – spiega ancora Valentina Romito. Come insegnante e formatrice assisto oggi a un eccesso di individualismo in scena che porta alla dispersione della creatività. Ciò può essere ascrivibile alla perdita della figura del Maestro, di colui che custodisce diversi saperi legati al corpo e che in sala riesce a trasmettere all’allievo una visione. Stiamo perdendo queste personalità che un tempo avevano forgiato la mia generazione. Oggi la didattica e la formazione si orientano altrove, c’è troppo sharing tra insegnante ed allievo, un relazionarsi che fa saltare dei punti fissi nella didattica. Succede che così si studia sempre meno e molti giovani emergenti sia nella coreografia e che nella performance rischiano di implodere. Quello che vedremo questa sera è il frutto di un lavoro di formazione poggiato sula valore del maestro e di quello che ho curato negli anni alla Dance Gallery. Ognuna delle danzatrici in scena ha fatto tesoro degli insegnamenti per spiccare il volo altrove».

ph Claudia Ioan

94-24 I Appunti per un archivio personale di trent’anni di movimento di Alice Gosti e Agave Barone è il lavoro che vediamo poco dopo sempre nella sala Sant’Anna e si continua a parlare di memorie autobiografiche, di corpi archivio. Si tratta di autrici giovani che ripercorrono in ordine cronologico i loro inizi in danza alla Dance Gallery. Dai primi corsi ai disagi giovanili di un corpo ancora tutto da conoscere, alla crescita individuale alla libertà e consapevolezza creativa, si crea il filo conduttore che le due artiste percorrono a partire dai ricordi condivisi in sala di danza.
Alice Gosti è una danzatrice italoamericana che, dalla Dance Gallery, ha poi concluso i suoi studi a Seattle, mentre Agave Barone si è laureata al Dams di Bologna. Su un gioco di alternanze al microfono prende vita la narrazione di episodi, dei quali le danzatrici restituiscono più le sensazioni che i fatti, più gli odori che le cause. Sono memorie sensoriali esposte come tessere i singoli momenti di vita di ognuna che trovano in danza un linguaggio fresco e autentico. Il racconto, seppur frammentario, segue l’iter cronologico fino al presente in una ricchezza formale di gesti, quasi didascalici, di attenzioni e guizzi dinamici innervati da coloriture vibranti ed entusiastiche.

ph Claudia Ioan

E sull’oggi restiamo per l’atteso debutto di Commosse geografieCapitolo 1 terracarne a cura di Stefano Mazzotta, regista e coreografo della compagnia Zerogrammi, chiamato a guidare Amina Amici, Cecilia Ventriglia, Chiara Michelini, Daria Menichetti, Eleonora Chiocchini e Sara Orselli: le prime allieve che Valentina Romito ha formato. Per questo atteso debutto ci spostiamo nel chiostro dove lo spazio scenico è stato allestito da un palco con sedie intorno. In scena, mentre scende la sera, si staglia al centro un tavolo, con sopra una candela e un pezzo di pane.  Sono gli elementi simbolo del tepore domestico, dove relazioni familiari, racconti e segreti si saldano solitamente attorno a un tavolo. È infatti andando e venendo da questo centro attrattivo che le cinque danzatrici iniziano a snocciolare memorie antiche. Ognuna è portatrice di una storia, un segreto, ma anche di giochi e amori che diventano tracce di memorie lontane, quelle che segnano l’esistenza di queste piccole donne. Il mondo della letteratura femminile si schiude davanti ai nostri occhi: l’immaginazione, nell’osservare la squisitezza del gesto, puntuale e individuale, sobrio ma mai enfatico, serve alla costruzione del flusso coreografico.

Possiamo leggere infatti le vicende delle protagoniste di Piccole donne di Louisa May Alcott, o la potenza de La casa di Bernarda Alba di una madre padrona nel capolavoro di Federico Garcia Lorca, ma anche certe atmosfere di tanto cinema di Pedro Almodovar.  Insomma, il potenziale espressivo e coreografico di Commosse geografie risiede nel materiale autobiografico delle singole danzatrici che suggerisce un immaginario ricchissimo di archetipi femminili. Lo vediamo dalla gestualità delle mani che si muovono in una sorta di danza che richiama ritualità antiche. Sono mani che accarezzano, cullano, curano, mani che pregano e sostengono in segno di una sorellanza; oppure mani da leggere come facevano le antiche fattucchiere riportandoci nell’arcaico  matriarcato del sud Italia. E questo, non solo perché scopriamo che il lavoro si è lasciato ispirare da La restanza,  il bel  saggio dell’antropologo Vito Teti, ma soprattutto perché è costruito sul ritorno del corpo che rivisita certi  paesaggi interiori, ritrova i resti di ricordi filtrati e sedimentati.

Il lavoro di coesione coreografica condotto da Stefano Mazzotta punta su queste restanze, per l’appunto, di movimenti o di sguardi condivisi. Mazzotta invita a rifrequentarli e riattraversali con il corpo, come quando il gesto che scaturisce dall’anca contagia tutte in una coralità che si propaga nello spazio, liberando dinamiche che approdano su racconti singoli. Commosse geografie lascia allo sguardo storie sull’abbandono, sulla solitudine, il rifiuto, le  assenze, sul bisogno di raccontarsi e ritrovarsi a dispetto di un tempo che ha mutato volti, sogni e speranze ma non il desiderio di stare insieme. Le briciole di pane, simbolo di nutrimento primario e puro, che a fine spettacolo vengono sparse, sono il segno di una via da non perdere mai, quella della strada verso casa; lì dove ritrovare la bellezza nell’unione.

Visti il 24 luglio


YOU MIGHT FIND YOU SOMEWHERE – AN IRRATIONAL EXPERIMENT/POTRESTI TROVARTI DA QUALCHE PARTE – UN ESPERIMENTO IRRAZIONALE  

di e con Sara Maurizi
Composizione originale di Dudj Doubleday
Voce registrata di Sara Maurizi

94-24 l APPUNTI PER UN ARCHIVIO PERSONALE DI TRENT’ANNI DI MOVIMENTO

di e con BARONEGOSTI
Agave Barone e Alice Gosti

COMMOSSE GEOGRAFIE

progetto, regia e coreografie Stefano Mazzotta
creato con e interpretato da Amina Amici, Cecilia Ventriglia, Chiara Michelini, Daria Menichetti, Eleonora Chiocchini, Sara Orselli
disegno luci Tommaso Contu
cura della produzione Valentina Tebaldi
una produzione Zerogrammi + Dance Gallery
coproduzione Umbria Danza Festival
con il sostegno di Mic Ministero della Culture e Regione Piemonte