ELENA SCOLARI | L’abito non fa il monaco, ma fa la principessa. Una casa di alta moda parigina è selezionata e incaricata di confezionare l’abito da sposa per la prossima principessa d’Inghilterra, nel 2025. Il velo sarà realizzato dalle merlettaie di Alençon e i ricami dai migliori ricamatori del mondo: gli indiani di Mumbai. Tra queste tre città si tesse la trama di Lacrima di Caroline Guiela Nguyen, autrice e regista nata in Francia da madre vietnamita e padre pied-noir sefardita algerino, e ora direttrice del Théâtre national de Strasbourg; lo spettacolo è andato in scena per due sole repliche al Piccolo Teatro Strehler di Milano, la terza è saltata per lo sciopero nazionale dello scorso 29 novembre. La qual cosa ha un’assonanza fortuita con ciò che Nguyen racconta.

La scena rappresenta l’atelier della maison di haute couture: manichini che indossano modelli di prova, relle con abiti appesi (finalmente questi arredi hanno un motivo stringente!), un paravento, alcune scrivanie e computer, qualche specchio, un grande tavolo centrale dove si ritaglia, si misura, si controllano i tessuti, uno schermo che pende dall’alto. Tutto è illuminato da tubi al neon bianchi sospesi sopra l’intero spazio scenico. Dieci attori popolano il palco, molti in camice bianco come medici che curano il proprio lavoro e le proprie stoffe; non sembra, ma sono perlopiù attori non professionisti.

LACRIMA – ph. Jean Louis Fernandez

Lo schermo è un altro spazio di presenza, lì compaiono personaggi che si trovano altrove: lo stilista genio capriccioso, che sta ora a Londra, ora chissà, e impartisce ordini alla capa della casa di moda, la figlia di una delle merlettaie che vive in Australia e ha un problema con la misteriosa malattia di sua figlia, il direttore della ditta di ricamatori in India. I fili che intrecciano i tre tronconi geografici sono molteplici e molto ben orditi lungo le tre rocambolesche ore che lo spettacolo occupa.
In questo tempo lungo vediamo dipanarsi e sdoppiarsi i tre gomitoli delle storie: il lavoro di manifattura dell’abito si annoda con il rapporto malato tra la responsabile della maison e il marito, suo sottoposto in azienda: morbosamente geloso le controlla quante volte fa pipì, perché la cistite può essere sintomo di sesso eccessivo, non con lui; Alençon e chi lavora al pizzo si collega con l’indagine della nonna ricamatrice sulla malattia della nipote: “la malattia della genziana”, nome floreale per un brutto male all’apparato nervoso; il principale della ditta di Mumbai incarica il suo miglior ricamatore per cucire centinaia di migliaia di perle sul velo dell’abito, e lui finirà per perderci – letteralmente – la vista, unendo il dramma personale alle rivendicazioni sindacali contro l’occidente ipocrita, che costringe l’India a firmare patti di correttezza verso i dipendenti, pretendendo lavori di mesi in poche settimane.
L’intrico c’è, ma è ben gestito, il ritmo altissimo della regia non annoia mai, la precisione di tempi e movimenti dei dieci attori e una scrittura credibile, realistica, molto scorrevole, costruiscono una mini-saga appassionante, profondamente umana, perché mostra entusiasmi, paure, debolezze, meschinità, dedizione, rabbia, delusione, affetto, sacrificio. E poesia. Tutto in uno spettacolo solo.


Non sappiamo quanto siano vere alcune delle tante cose raccontate, per esempio: il protocollo di assoluta segretezza che deve essere sottoscritto da tutte le persone che lavorano alla manifattura dell’abito principesco e tenuto sigillato per cento anni (!) è abbastanza assurdo ma quando c’è di mezzo la corona gli inglesi perdono la testa, si sa.
La romanzesca storia delle merlettaie sorde è altrettanto affascinante: si racconta che all’inizio del secolo scorso, le donne, mentre cucivano, non potevano parlare, il filo da usare era talmente sottile, meno di un capello, che per la tensione si dimenticavano anche di respirare. Ogni lavoratrice doveva curare l’altra mettendole delicatamente una mano sulla spalla, per ricordarle di non stare in apnea. Poi, si scoprì che vicino al ricamificio c’era un convento che dava rifugio a ragazze sorde: le merlettaie perfette! Queste donne si passavano il sapere artigiano a gesti e oggi sono rimaste in sei a detenere il metodo.
Non sarà vero (speriamo), ma è molto ben inventato.
Ci sono rimandi minuti, ma tenaci tra tutte le storie: scavare nel passato per conservare un mestiere e tramandarlo, ma anche trovarvi la soluzione per non ripetere gli errori; la meraviglia della vista per un manto regale che tutto il mondo vedrà e la cecità di chi, a quel manto, ha dato la luce; una donna che comanda con decisione un’intera squadra di lavoro ma subisce le angherie di un uomo insicuro e perciò aggressivo, rendendo la vita impossibile alla figlia adolescente.
Ci sono anche alcune esagerazioni, non ci sono sfuggite. Per esempio, si consuma una ‘tragedia’ intorno alla costruzione dell’abito: il velo soccombe sotto il peso delle migliaia di perle che vi sono cucite – l’indiano l’aveva detto: mettiamole di plastica… – e il disegno del ricamo va a farsi benedire. Segue scena drammatica di tentativo di salvataggio con la vaporella. Fallito. Diciamo che perdere quel po’ po’ di fiori rosa su una gonnona a quadruplici strati non era così grave e tutta questa gente che, per mesi, non pensa ad altro che al vestito per sua maestà, perde il sonno, perde la vista se non la vita, è anche un po’ ridicola.
La figliola della coppia di sarti d’alto bordo che va a fare lo stage proprio nella ditta di maman in modo da poter assistere a tutte le peggio liti tra lei e il padre, è una contingenza che produce un certo sovrappiù di sofferenza, evitabile. Ammettiamo, quindi, che si deve addormentare un po’ il senso critico per godersi appieno lo spettacolo. Prevalgono, però, la sapienza registica e la credibilità degli interpreti: sanno farci preoccupare con loro, gioire con loro, arrabbiare, intristire, commuovere. Sanno farci capire.

Un punto di analisi formale importante scaturisce, poi, dalla frequente presenza dei personaggi in video, che distolgono l’attenzione dal lavorìo continuo di chi rimane in scena. Ci sono tanti lunghi collegamenti on line per conversazioni via skype o simili tra i personaggi sul palco e quelli che si trovano altrove. Tutto sommato queste ‘differite’ non sono sempre necessarie e la significativa porzione di tempo che lo spettacolo passa lì, sullo schermo, dà l’impressione di perdere la fisicità e il senso diretto del teatro.

Molti sono i temi, dunque, se ne disegnano i contorni punto per punto sulla grande stoffa drammaturgica di Lacrima, con fili sottili, ma resistenti. Ogni filo si bagna di pianto, ma come dicono in India: non si deve mai disfare un ricamo fatto di seta, perché in ogni nodo ci sono le lacrime dell’epoca in cui è stato cucito.

LACRIMA

testo e regia Caroline Guiela Nguyen 
traduzione linguaggio dei segni, inglese, tamil Nadia Bourgeois, Carl Holland, Rajarajeswari Parisot 
con Dan Artus, Dinah Bellity, Natasha Cashman, Michèle Goddet – in alternanza con Liliane Lipau , Charles Vinoth Irudhayaraj, Anaele Jan Kerguistel, Maud Le Grevellec, Nanii, Rajarajeswari Parisot, Vasanth Selvam 
in video Nadia Bourgeois, Charles Schera, Fleur Sulmont 
voci Louise Marcia Blévins, Béatrice Dedieu, David Geselson, Kathy Packianathan, Jessica Savage-Hanford 
collaborazione artistica Paola Secret 
scenografia Alice Duchange
costumi e capi d’alta moda Benjamin Moreau 
luci Mathilde Chamoux, Jérémie Papin
suono Antoine Richard in collaborazione con Thibaut Farineau 
musiche originali Jean-Baptiste Cognet, Teddy Gauliat-Pitois, Antoine Richard 
video Jérémie Scheidler
motion design Marina Masquelier 
acconciature, parrucche e trucco Émile Vuez 
casting Lola Diane
assistente alla drammaturgia Hugo Soubise, consulenza artistica Juliette Alexandre, Noémie de Lapparent
musiche registrate Quatuor Adastra – quartetto d’archi
sovratitoli Panthéa, coordinamento generale Stéphane Descombes, Xavier Lazarini
decorazioni, costumi e ricami realizzati dagli ateliers del TnS – Théâtre national de Strasbourg
équipe tecnica della tournée: coordinamento generale Stéphane Descombes, suono Julien Feryn, video Marina Masquelie, luci Thibault d’Aubert, Valérie Marti, vestiarista Edwin Nussbaumer-Krencker, sovratitoli Manon Bertrand (Panthéa), produzione Dorine Blaise, Isabelle Nougier, Emma Perez
produzione Théâtre national de Strasbourg 
coproduzione Festival TransAmériques, La Comédie – Centre national dramatique de Reims, Points communs – Nouvelle scène nationale de Cergy-Pontoise, Théâtres de la Ville du Luxembourg, Centro Dramático Nacional de Madrid, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Wiener Festwochen | Freie Republik Wien, Théâtre de Liège, Théâtre national de Bretagne, Centre dramatique national, Festival d’Avignon, Les Hommes Approximatifs
con il contributo di Odéon – Théâtre de l’Europe, Théâtre Ouvert – Centre national des dramaturgies contemporaines (CNDC), Maison Jacques Copeau, Musée des Beaux-arts et de la Dentelle d’Alençon, l’Atelier-Conservatoire National du Point d’Alençon, l’Institut Français de New Delhi e l’Alliance française de Mumbai
LACRIMA di Caroline Guiela Nguyen è pubblicato dalle edizioni Actes Sud 

Piccolo Teatro Strehler, Milano | 30 novembre 2024