ESTER FORMATO | Per la programmazione di Piccoli Parenti, rassegna teatrale che il Franco Parenti dedica ai più piccoli, è andato in scena nel weekend di Sant’Ambrogio, lo spettacolo Cappuccetto Rosso ideato da Michelangelo Campanale e messo in scena dalla compagnia La luna nel letto.
Intercettato subito e accuratamente raccontato da PAC nel lontano 2019, questo gioiellino di teatro per ragazzi ritorna sulle scene con inedita freschezza, lasciando addirittura spazio a nuove suggestioni e riletture che vale la pena cogliere e conservare.
Eh sì, perché la visione di Michelangelo Campanale, supportata dall’eccellente bravura espressiva, coreografica e acrobatica degli interpreti – Claudia Cavalli, Erica Di Carlo, Francesco Lacatena, Marco Curci, Roberto Vitelli – tutti danzatori della Compagnia Eleina D., è complessa e apre un varco alle nostre inquietudini che qui si colorano delle mille sfumature che la scenografia dello stesso autore è in grado di proporci.
La storia di Charles Perrault di fine ‘600, poi ripresa nell’800 dai fratelli Grimm che le hanno attribuito il lieto fine che tutti conosciamo, si presta, come tutte le favole, a una complessa gamma di interpretazioni che vanno da quella funzionale o strutturale, come assunto nella celebre opera del linguista russo Propp, a quella psicoanalitica, approfondita da diversi studiosi nel XX secolo, in cui gli elementi ricorrenti del testo fiabesco o favolistico diventano chiare metafore delle pulsioni e paure, quali caratteristicbe archetipiche del nostro inconscio.
È quindi impensabile rappresentare in teatro una storia come quella di Cappuccetto Rosso, senza tenere conto dell’immenso bagaglio multidisciplinare che accompagna la comprensione di un universo che si cela sotto la candida coltre di semplicità e immediatezza stilistica e narrativa del genere della favola.
Dunque, lo spettacolo coprodotto da Teatri di Bari e Cooperativa Crest, è un’esperienza, ancor prima che una visione, perché la sala grande del teatro meneghino pullula fortunatamente di famiglie e bambini anche molto piccoli, i quali conoscendo la favola ne identificano subito i personaggi, mentre la natura clownistica che pervade tutta la messa in scena li diverte e li coinvolge, comportando quel processo di identificazione e partecipazione attiva così necessario e insito nei bambini. Questi ultimi non lo possono sapere, ma allo stesso tempo i più grandi sono in grado di recepire una storia differente, interpretando segni e movimenti scenici che danno vita a una narrazione più sottile e irrequieta, una sorta di plot nascosto.
All’interno di una scena caratterizzata da un gioco sfumato di luci, prendono vita tutti i personaggi della favola: Cappuccetto Rosso con manto e trecce, i cacciatori armati con fucile, bardati con lunghi cappotti e colbacchi in pelliccia, il lupo vestito interamente di nero, una pecorella che nel corso della vicenda in qualche modo sembra anticipare o rappresentare la stessa Cappuccetto Rosso, in quanto futura preda del lupo, la mamma, la nonna.
Insieme, quali creature oniriche, danno avvio all’azione scenica che si esprime in accurati movimenti coreutici collettivi, a conferma dell’assoluta complementarità di cui godono tutti i personaggi fra loro. Tutto è inscindibile, tutto è unità, soprattutto non vi è Cappuccetto senza lupo e viceversa. Questo è il punto focale, che Campanale trasfigura in un breve valzer al chiaro di luna, mentre il fondale, caratterizzato da scenari di boschi e da frequenti voli di uccelli, dà profondità all’ambiente scenico, conducendo lo spettatore in una dimensione semplice e al contempo simbolica, con ispirazioni alla pittura romantica europea e seicentesca.
Sul lato destro dell’assito, inoltre, una poltrona e un giradischi costituiscono un microambiente in cui il lupo destreggia una sfera luminosa, una luna surrogata, segno della sua elicantropia. È un lupo complesso quello di Francesco Lacatena, un antropomorfo che attinge dalla componente umana una serie di abilità seduttive, ma soprattutto la capacità di guardar se stesso dal di fuori non più solo come singolo lupo di una favola, bensì come archetipo di paura, buio e tenebre che le fucilate congiunte e ripetute dei buffi e imbacuccati cacciatori non possono annientare. In verità, facendosi beffa della morte con un foulard rosso che estrapola dal suo petto, ci riconferma la sua irremovibile persistenza nel cammino di tutti noi, conscio della sua eterna capacità evocativa.
Nella versione dei fratelli Grimm, Cappuccetto, sviata dal lupo, si perde nel raccogliere fiori da portare alla nonna, mentre il suo antagonista le ruba il cestino e con destrezza avanza rapidamente verso la casa della vecchina. Nell’allestimento di Campanale compare persistentemente una rosa, anche in questo caso un simbolo, una figura allegorica dello stesso Cappuccetto Rosso e dell’imprescindibile legame della stessa con il lupo.
Rinforzata dall’accurata colonna sonora di Dance me to the end of love di Leonard Cohen che estrania la platea dalla tradizionale ricezione della storia e la spinge a guardare con maggior attenzione il controverso rapporto fra i due personaggi, la simbologia della rosa rossa emerge da crepe sotterranee del mondo dell’inconscio, riportandoci a contatto con una dimensione seduttiva e ambigua che già era presente nella versione di Perrault in cui la protagonista si spoglia, entra nel letto con la presunta nonna e finisce divorata in un sol boccone, senza alcun cacciatore che la salvi.
Riscopriamo così, grazie ai movimenti scenici che convergono verso il ben più positivo finale dei Grimm, che lupo e Cappuccetto sono legati da un filo perturbante, sottilmente morboso e ossessivo che nutre la natura complessa di questa figura maschile dalle fattezze umane.
Se Perrault terminava la sua Cappuccetto Rosso con un monito a giovinetti e giovinette che facilmente potevano essere insidiati da sconosciuti, ad occhi contemporanei il pericolo che vi si può leggere fra le simboliche maglie di questo modello archetipico della nostra cultura occidentale, è quello dell’amore molesto che compromette la serenità della crescita individuale e della relazione fra uomo e donna, sebbene in scena sia assente qualsiasi implicazione realistica. Il lupo è come un corto circuito che si innesca nell’intimo evolversi dell’animo femminile, un addensarsi di ombre in cui si resta presto inermi, prigioniere.
L’allestimento si fa prezioso proprio perché gli spunti di rilettura della celeberrima favola non scadono mai in riferimenti estranei al magico mondo ricreatosi. Tutto permane in un microcosmo onirico che l’arte coreutica impreziosisce e al quale dona coerenza stilistica e spessore narrativo, qui rinforzato da un sotterraneo fil rouge di presagi, di azioni anticipatorie e simboliche che poi trovano una propria determinazione nellla rappresentazione del lieto fine, quando dall’enorme pancia del lupo scivolano letteralmente nonna e nipote, quest’ultima col suo immancabile mantello rosso e dei bellissimi capelli sciolti che rappresentano inevitabilmente il passaggio dall’infanzia a una fase successiva della vita, segnato in modo inesorabile dalla conoscenza del pericolo, della paura e dello smarrimento.
Parlavamo di rappresentazione del lieto fine; infatti, nella visione di Campanale l’epilogo non coincide affatto con quello della favola (nel lieto fine dei Grimm, Cappuccetto Rosso e la nonna si vendicano del lupo, dimostrando di aver imparato la lezione), ma in un eterno ritorno dei personaggi a comporre quel quadro collettivo dell’inizio. Questa ciclicità formale nella quale tutti, Lupo compreso, ritornano insieme alla ribalta, nella loro danza cadenzata a suon di fanfare, si erge a dimostrazione del fatto che, al di là dell’apparenza meramente moralistica ed educativa della favola, permanente e vivo resta quel sottobosco di inquietudini, paure, tenebre, fatto di relazioni o di presenze che deviano i nostri percorsi verso la luce ed entro i quali continuiamo, all’infinito, a smarrirci.
CAPPUCCETTO ROSSO
drammaturgia, regia, scene e luci Michelangelo Campanale
con i danzatori della Compagnia Eleina D.
Claudia Cavalli, Erica Di Carlo, Francesco Lacatena, Marco Curci, Roberto Vitelli
coreografie Vito Cassano
assistente alla regia Annarita De Michele
costumi Maria Pascale
video Leandro Summo foto Tea Primiterra
si ringraziano Filomena De Leo, Rina Aruanno, Maria De Astis, Licia Leuci
produzione Compagnia La Luna nel letto / Associazione Culturale Tra il dire e il fare
In coproduzione con Teatri di Bari e Cooperativa Crest
con il sostegno di Scuola di danza Artinscena
Spettacolo Vincitore Festebà 2018
Premio Infogiovani young&kids FIT Festival Internazionale del teatro e della scena contemporanea – Lugano
Eolo Award 2019
Teatro Franco Parenti, Milano | 7 dicembre 2024