FEDERICA D’AURIA / PAC LAB*| La sala del Ridotto del Teatro Mercadante di Napoli pian piano si riempie. Tra il brusìo di chi si accomoda ed è lì per ascoltare, se ne sta Davide Pascarella pronto a raccontare: tutto è bianco, lui sembra un ecografista, le luci però sono calde. È la Prima Nazionale, la serata del 14 gennaio 2025, sold out per le successive fino al 19.
«Ciao a tutti! Questo è Assetati di Wajdi Mouawad». scrive in silenzio Pascarella su una sequenza di fogli in proiezione che accompagnerà tutta la narrazione. «In questo testo – continua – ci sono tre personaggi: Boon, Murdoch e Norvège; ma io ne interpreto un quarto: le parole di Wajdi Mouawad». La semplicità con cui Pascarella mette subito in chiaro tutto è la fiamma che accende un complesso gioco di una narrazione che non ha una linea spazio temporale definita ma date che si intrecciano, substrati emotivi che si rincorrono, luoghi che parlano. L’attenzione della sala è catalizzata: palpabile, ardente, non cala mai. Le luci si abbassano, Pascarella guarda il pubblico e interpreta, per un’ora e venti, tutti i personaggi.

© ivan nocera per teatro di napolii

È mercoledì 6 febbraio 1991 quando Murdoch si sveglia arrabbiato e comincia a urlare contro sua madre. L’urlo di Murdoch (che nella scena finale richiama l’Urlo di Munch per il modo in cui Pascarella si porta le mani al volto con i suoi Non so, non so, non so) è rivolto alla società, alla televisione, al consumismo, al cibo spazzatura, alla scuola, agli adulti che ai ragazzi chiedono solo della scuola, alla ripetitività della vita, alla perdita di senso che insegue il gesto quotidiano.
Boon è un antropologo forense che ha scelto questo mestiere per rendere felici i suoi genitori ( è un lavoro rispettabile e ben retribuito) e per non avere più a che fare con i vivi: l’antropologo forense, spiega, è colui il quale recupera le identità dei corpi malformati a seguito di morte traumatica. Nello specifico, i cadaveri che analizza nel tempo raccontato in scena sono stati ritrovati abbracciati e talmente deformati dalle acque da fondersi. Da bambino, Boon sognava di diventare un autore.
A quella che sembra un’ascesa al silenzio (Murdoch urla, Boon parla con i morti) si aggiunge il personaggio di Norvège, una ragazza che sceglie di chiudersi in camera e di non parlare più con nessuno. Lei, al contrario di Murdoch che attacca chiunque gli capiti a tiro, urla solo se i suoi genitori provano ad entrare in camera; ma è un grido diverso, è un grido di morte.
In che modo questi personaggi sono legati, se i fatti e i tempi sono diversi? E qui entra in scena il quarto personaggio: la parola di Mouawad.

© ivan nocera per teatro di napolii

Davide Pascarella realizza un lavoro di regia asciutto con pochissimi ed utilissimi elementi di scena: una macchina che sembra quella di un ecografo e che invece è un proiettore, una casetta beige con due grossi lampadari inquisitori e tre omini bianchi dentro, e una telecamera su di un treppiedi. Nell’inserire in questa intelligente cornice il personaggio delle parole di Mouawad, riesce a unire minuziosamente i destini dei personaggi rendendo vivi i morti e morti i vivi, cucendo la pelle di uno sulla carne dell’altra. Merito, in sincrono, di un lavoro di scomposizione e precisione del drammaturgo Alessandro Businaro su quello che è “un testo concepito per il teatro ragazzi che tratta di temi come il suicidio, il potere catartico dell’arte e il processo di elaborazione del trauma, avvalendosi di differenti linguaggi e facendo appello al campo della scienza e della cronaca”.

Il momento preciso in cui si comincia a risalire al capo dell’intreccio di queste vite è quello in cui a Boon viene assegnato in classe un tema dal titolo “La bellezza: esercitazioni pratiche”. È il momento della sete, quella che asciuga la gola dei personaggi e del pubblico. Boon trova la bellezza in suo fratello Murdoch. Sì, Murdoch è suo fratello, quello che urla e che deborda di parole anche da morto (sulla sua tomba, Boon fa piantare un albero che farà tantissimi fiori: non hai smesso di parlare). I due cadaveri trovati in fondo al fiume, pare siano quelli di Murdoch e Norvège, che a loro volta sono i personaggi mai scritti da Boon (il sogno che non ha sognato abbastanza forte lo perseguita). Norvège trova la bellezza tagliandosi la pancia e tirando fuori il mostro che l’abitava. Molta gente accetta di vivere con la bruttezza, altri si rifiutano. Anch’io mi rifiuto.

Assetati è questo e molto altro ancora. Più di tutto, Assetati è un deserto di desideri implacabili e per questo non del tutto accessibili. Nel tirare i fili opposti, dal soggetto al sogno, si crea una lacerazione necessaria. Una lacerazione che, se si corressero incontro, non si creerebbe. Quella lacerazione è la vita.

© ivan nocera per teatro di napolii

Assetati di Wajdi Mouawad (autore libano-canadese e vincitore del Premio Ubu 2024 come miglior testo straniero con Come gli uccelli messo in scena da Il Mulino di Amleto), è il progetto con cui Davide Pascarella vince il Premio Leo de Berardinis, alla sua terza edizione, per artisti e compagnie under 35. È uno spettacolo dai ritmi serrati, dove ogni elemento è un’aggiunta che esalta senza inghiottire. Davide Pascarella (autore, attore e regista) passa da un personaggio all’altro con destrezza, eleganza e zero turbolenze. Non c’è una inflessione nella voce che non sia adeguata alla narrazione e la scena, le immagini e gli oggetti (firmati da Maria Spadoni) supportano un racconto complesso reso semplice dalla maestria di un’orchestra intonata e armonica. La sete di cui parla, dal profondo di e per ciascuno è un bisogno ma anche un dolore. Si nutre, sale in superficie e urla: io voglio la bellezza, ancora e ancora.

ASSETATI

di Wajdi Mouawad
regia e spazio scenico Davide Pascarella
con Davide Pascarella
dramaturg e assistente alla regia Alessandro Businaro
immagini e oggetti Maria Spadoni
disegno luci Carmine Pierri
assistente stagista Maurizio Campobasso
direttore di scena Antonio Gatto
datrice luci Desideria Angeloni
allieva attrezzista Roberta Torriero
foto di scena Ivan Nocera
la voce registrata è di Cecilia Fabris
grazie a Édouard Pénaud per la consulenza alla traduzione
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
in collaborazione con A.M.A. Factory

Ridotto Teatro Mercadante, Napoli | 14 gennaio 2025

* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica