FRANCESCA POZZO / Pac Lab * | Un’ambientazione da dramma borghese: si apre così Come trattenere il respiro, con la regia di Marco Plini (lo abbiamo visto in prima nazionale al Teatro Nazionale di Genova).
Con la scelta di questa drammaturgia, il regista mostra ancora una volta la sua predilezione per opere contemporanee di grande intensità non solo emotiva ma anche politico-sociale, scritture prevalentemente di area nordeuropea. Un interesse che si coniuga in questo caso con una grande attenzione al testo, tradotto da Monica Capuani, e una resa contraddistinta da una pulizia sia in termini di light design che di oggetti scenici.
La scenografia, ideata dal regista stesso, consta di pochi elementi domestici: una disposizione che da una parte rispecchia la condizione di agiatezza dei personaggi, ma dall’altra sembra rappresentare un controsenso per una narrazione come quella di Zinnie Harris, che si svolge prevalentemente negli esterni. Però quando, come in questo caso, c’è di mezzo il diavolo, le percezioni vengono distorte, confondendo i piani di realtà e finzione.
Per la prima volta in Italia, il testo vincitore del Berwin & Lee Brown Awards 2015 rispecchia in pieno la cifra stilistica della drammaturga inglese, spesso impegnata a rileggere i miti del canone occidentale sotto una lente femminile e contemporanea. In questo caso la protagonista Dana (Alice Giroldini), con i suoi tratti di idealismo e umanità, richiama le caratteristiche incarnate dal Faust di Goethe; il suo incontro con l’Avversario diabolico però avviene ai giorni nostri, durante una notte di sesso occasionale. Fra lei e Jarron (Marco Maccieri) c’è complicità e al contempo una distanza sapientemente espressa dai costumi. In déshabillé, la donna fin da subito mostra il suo desiderio di connessione e “nudità” emotiva, visivamente in contrasto con il completo scuro del partner che richiama un mondo istituzionale, fatto di norme, vincoli e doveri. In ossequio a queste logiche dove nulla arriva in dono, dove tutto si monetizza, lui si propone di pagarla per il disturbo e lei realizza di trovarsi di fronte a un demonio, che per sua natura non concepisce il concetto di gratuità.

Ph Federico Pitto

Nelle prime scene la drammatizzazione viene sviluppata con la lettura del copione: le didascalie e le dramatis personae vengono enunciate da Luca Cattani, mentre gli scambi fra Jarron e Dana sono mediati dalle reazioni degli attori stessi, che tramite mimica e tono di voce distorcono il senso delle battute, creando al contempo ilarità e straniamento.
Un gioco riuscito di reazioni che scorre come binario lungo tutta la pièce e che rimanda a una tradizione millenaria che vede il patto con il diavolo come un’occasione per coniugare picchi di lirismo a una comicità grottesca.
Quando inizia lo scivolamento nella recitazione più tradizionalmente intesa, gli attori -sempre in scena e sempre partecipi- danno un’ottima prova collettiva, dimostrando affiatamento corale e ascolto reciproco. La scelta registica è quella di esasperare man mano la leggerezza iniziale, quasi canzonatoria, che non fa che acuirsi e a portare tutti verso uno stile interpretativo sempre più carico, di pari passo con la situazione, che assume pieghe sempre più disperate.
Dana deve infatti recarsi ad Alessandria d’Egitto per presentare il proprio progetto di ricerca sulla customer experience; ad accompagnarla è la sorella Jasmine (Cecilia Di Donato), incinta di pochi mesi. Nel corso del tragitto la protagonista viene più volte “tentata”, proprio come i santi della tradizione cristiana, con l’offerta di rimborsi o crediti dal valore di quarantacinque euro, proprio la stessa cifra che Jarron/il demone aveva provato a corrisponderle per la prestazione sessuale del loro incontro iniziale. All’ennesimo rifiuto il loro conflitto non è solo più personale ma coinvolgono il sistema sociale tutto: le banche falliscono e con esse anche il mito dell’Europa, con i suoi ideali di pace e giustizia.
Tramonta anche il futuro delle sorelle e l’aborto spontaneo di Jasmine regala uno dei momenti più intensi della pièce.
Insieme al divano, il proscenio è una delle porzioni maggiormente sfruttate del perimetro scenico e viene occupato spesso nei momenti “di invettiva”, in cui la protagonista cerca di sfidare la dimensione metafisica malvagia che è entrata nella sua vita. Sono questi i momenti in cui le luci dipingono un chiaroscuro sul personaggio, accentuando la drammaticità del momento. Dana, come un odierno Giobbe, è costretta a perdere la dignità e a prostituirsi pur di pagare la traversata verso l’Africa, nella speranza di una vita migliore. A guidarla è il bibliotecario (Fabio Banfo), che con le sue angelicate ali bianche e libri di auto-aiuto riposti in un passeggino, le indica la via.

Ph Federico Pitto

L’esperienza con il cliente è ciò che cambia la percezione del denaro“, mormora Dana sul barcone come una migrante, quando si rende conto di non valere nemmeno più la piccola somma che si era ostinata a rigettare.
Se il suo idealismo non vacilla, a naufragare è però la barca, e lei a quel punto deve capire come trattenere il respiro.
Il titolo dello spettacolo diventa così metafora della resistenza di lei e quando le rovesciano l’acqua sul capo, in una sorta di battesimo di realtà, la donna rimane sospesa fra la vita e la morte.
L’angelo e il diavolo devono decidere del suo destino e in un mondo esclusivamente basato sugli scambi materiali è proprio quest’ultimo a salvarla, u
na citazione diretta all’epilogo dell’opera goethiana, che si conclude con la redenzione finale; a differenza del classico dello scrittore tedesco, in questi tempi però il nemico non è più Mefistofele, ma l’Altro da noi. Nello specifico l’Altro occidentale che, abituato a benessere e privilegio, in loro mancanza si lascia andare alla bestialità. E quanta attualità pare conservare questa intuizione drammaturgica.
Il narratore legge il finale e Dana viene cambiata d’abito. Togliere un indumento intimo come il pigiama e scivolare all’interno del tailleur grigio pare una sconfitta, quasi un tradirsi e un uniformarsi al resto dei personaggi. Per la prima volta assistiamo al suo silenzio, alla sua solitudine. Ha gli occhi lucidi, un sorriso tirato e mentre attende di essere assunta, la luce si spegne su di lei.
La sala è quieta, pregna di emozione e i presenti sembrano percepire u
n’operazione riuscita nel veicolare il proprio senso grazie ai pochi, ma azzeccati segni visivi che, uniti alla coesione del corpus attoriale, veicolano la complessità di un testo incentrato sullo scotto da pagare nell’eterna lotta fra il genere umano e il Male.  

 

COME TRATTENERE IL RESPIRO

di Zinnie Harris
traduzione di Monica Capuani
regia Marco Plini
assistente alla regia Elena C. Patacchini
luci Fabio Bozzetta
produzione Centro Teatrale MaMiMò
disegno musiche originali Alessandro Deflorio
con Fabio Banfo, Luca CattaniCecilia Di Donato, Alice Giroldini, Marco Maccieri

Teatro Nazionale, Genova | 13 gennaio 2025

PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.