ENRICO PASTORE | Iniziare il proprio festival con due pezzi d’annata di una grande riformatrice come Maguy Marin può sembrare una scelta azzardata da parte di Paolo Mohovich, direttore di Palcoscenico danza, soprattutto oggi dove ogni cosa che guarda al passato è vista come nostalgica. Tutti sono rivolti verso il futuro, uno qualsiasi, anche se ancora non si è capito quale sia.
Partire dalla memoria sembra invece un ottimo auspicio per la nuova edizione della rassegna torinese. Capire da dove si viene, per comprendere meglio che strada intraprendere, magari per ribellarsi al sentiero posto sotto i nostri piedi, ma consapevoli di quale sentiero ci ha portati fino a qui. Come diceva Benedetto Croce: «la storia è sempre storia contemporanea».
Merito di questa operazione di recupero dai fondali della memoria è da attribuirsi a MM Contemporary Dance Company di Michele Merola che ha deciso di riproporre al pubblico questi piccoli gioielli della danza. Peccato che tra il pubblico ci fosse un’esigua partecipazione di giovani danzatori a cui principalmente sarebbe stato utile uno sguardo profondo nel recente passato.

Duo d’Eden (1986): un uomo e una donna entrano sulla scena. Indossano una tutina color carne. Il costume è anche maschera. I volti sono inquietanti, deformi, con i capelli fulvi e arruffati. Potrebbero richiamare un mondo primitivo, forse innocente, sicuramente più animale, ma anche alludere ai volti dolenti dei progenitori cacciati dall’Eden dipinti da Masaccio nella Cappella Brancacci a Firenze. L’aria si riempie di suoni di pioggia e di tuoni e questo ci spinge ancor di più verso un cammino che vede nel duetto un’eco di immagini. Il tuono ci fa balenare sulla retina un’immagine persistente da La tempesta di Giorgione, quadro misterioso, allusivo delle vicende dell’eden, dove i progenitori sono già stati cacciati. E se il sodato è Adamo, in riposo dal duro lavoro, quella zingara seminuda con il bambinello tra le braccia altro non è che Eva dopo aver partorito con dolore. E la città sullo sfondo è proprio l’Eden da cui ormai sono esclusi.

Duo d’Eden, potrebbe aver quindi un’atmosfera meno serena ed erotica di quanto si è immaginato. I due corpi, così materiali ma anche pieni di grazia, si inseguono ma ricercano spasmodicamente quell’unione ormai persa, quell’essere una sola carne avanti l’incidente della mela. I corpi lottano contro la gravità e la fatica. Si avvinghiano l’un l’altro, ruotano come stelle binarie in perenne rivoluzione una sull’altro.
La grazia perduta viene dalla sprezzatura, quell’attitudine che Baldassare Castiglione diceva aver qualità di far sembrar facile quello che non è. Tutto trama contro di loro. Gli elementi vogliono la loro caduta, non importa se già avvenuta, perché avverrà, non si potrà in eterno battere la fatica. La bellezza di questa danza vive di instabilità, finitezza, precarietà. Forse proprio perché i due progenitori sono caduti nelle sabbie del tempo, nella tempesta segnata da un prima e un dopo il tuono, e solo nel tempo può vivere la bellezza, pienezza destinata a sfiorire. Nell’eternità dell’Eden, al contrario, tutto si equivale nella perfezione.

Grosse fugue (2001) è un confronto con Die Grosse Fuge op. 133 del grande Ludovico Van. Il pezzo, prima di divenire un numero di catalogo a sé stante, sarebbe dovuto essere l’ultimo movimento del quartetto d’archi n.13 in si bemolle maggiore op. 130. Gli esecutori dell’epoca lo trovarono superiori alle loro forze. Tutte quelle dissonanze, i cambi di tonalità, quella ritmica così balzana ma fortemente innovativa era impossibile da eseguirsi. Il maestro ormai sordo e incamminato verso la dissoluzione delle forme classiche, soprattutto della sonata, urlò e protestò ma alla fine riscrisse un finale più sereno e la grande fuga divenne un pezzo autonomo.
Inutile dire che oggi è considerato un capolavoro, così avanti sui suoi tempi da essere considerato dai suoi contemporanei un orrore e un’aberrazione dovuta alla sordità.
Maguy Marin si confronta con il pezzo di Beethoven non solo dal punto di vista linguistico, contrappuntando la musica con la danza, ma infondendovi nuove immagini, una vena ironica, e messaggio politico.
Quattro donne vestite di rosso entrano in scena, come le quattro frasi melodiche che si rincorrono in questa grande fuga. L’ardita composizione spinge al virtuosismo le danzatrici, costrette a rincorrersi, a stare al passo. Sia l’ascolto come la visione anelano a un momento in cui il ritmo conceda almeno un leggero calare. Improvviso ecco giungere un breve attimo di pausa, quel meno mosso e moderato racchiuso da due parentesi costituite da due allegri molto e con brio, le donne quasi si rilassano, rilasciano un sospiro di sollievo che dura troppo poco e ci strappa un piccolo sorriso. Ed ecco nuovamente a intrecciarsi con brio, a correre dietro il tempo. Non possiamo non pensare a questa vita pazza che ci siamo autoimposti, schiavi per volontà, supini al diktat di essere sempre produttivi e performanti prima che il buio cali su di noi.
Ciò che più sorprende in questi due pezzi di Maguy Marin è la loro attualità, il non essere per nulla datati, freschi come uova di giornata. Una danza tecnica, ma capace di liberarsi dal virtuosismo fine a se stesso regalando nuove immagini. Questi due pezzi brevi non si chiudono su se stessi, ma aprono porte e finestre nel palazzo della nostra memoria, facendo irrompere immagini e associazioni. Una danza di corpi coinvolgenti, mai autoreferenziali, corpi liberi perché capaci di andare al di là della tecnica, padroni del tempo, dello spazio e della gravità. Portare nuovamente sulla scena questi due piccoli capolavori di Maguy Marin, è stato un gesto di grande generosità di cui non si può essere che grati.
Torino, Teatro Astra | 21 gennaio 2025
DUO D’EDEN
coreografia e colonna sonora Maguy Marin
coreografia rimontata da Cathy Polo e Ennio Sammarco
costumi Montserrat Casanova
luci Alexandre Béneteaud
maestro ripetitore Paolo Lauri, Enrico Morelli
interpreti Lorenzo Fiorito, Fabiana Lonardo
produzione MM Contemporary Dance Company
coproduzione Fondazione I Teatri
durata 18 minuti
GROSSE FUGUE
coreografia Maguy Marin
coreografia rimontata da Dorothée Delabie
musica Ludwig van Beethoven, Die Grosse Fuge, op.133
costumi Chantal Cloupet
luci François Renard
maestro ripetitore Enrico Morelli
interpreti Matilde Gherardi, Fabiana Lonardo, Giorgia Raffetto, Alice Ruspaggiari
produzione MM Contemporary Dance Company
coproduzione Reggio Parma Festival, Festival Bolzano Danza/Fondazione Haydn di Bolzano e Trento, Milanoltre Festival
durata 20 minuti