OLINDO RAMPIN | Fosse un vino, Unfolding, la breve coreografia di Philippe Kratz, che ha preceduto lo spettacolo di Sharon Eyal, Promise, entrambi interpretati dal Tanzmainz, la Compagnia di danza contemporanea dello Staatstheater di Magonza in Germania, in scena al Teatro Ariosto di Reggio Emilia nella stagione di danza de I Teatri, sarebbe un vino di pronta beva, cioè facile da bere, ma difficile da fare. Una creazione “beverina”, che attrae per la sua grazia immediata, per l’elegante ordito, che invita lo spettatore a un’immediata adesione verso l’esattezza dell’esecuzione delle figure disegnate dai quattro danzatori. Il corpo ha modo di esprimersi con le imprevedibili geometrie, con la superiore padronanza della propria anatomia e con il vivo senso dell’azione scenica che i quattro eccellenti danzatori, Paul Elie, Elisabeth Gareis, Oriana Oliveira, Réka Rácz, mostrano di avere in sommo grado. Si tratterebbe, quindi, di un eccellente vino da entrée.

Unfolding di Philippe Kratz – ph Andreas Etter

Fosse un vino, Promise, dell’artista israeliana Sharon Eyal, sarebbe all’opposto un prodotto più strutturato, da meditazione, oppure un distillato dal lungo affinamento in barrique. Fuor di similitudine, Promise è il frutto di una rigorosa e difficile opzione di scrittura “in levare”, dove la coralità dei sette performer, formidabili, non si esprime affatto nell’acceso dinamismo e nella bravura tecnica di azioni e movimenti d’impatto, ma in una inedita e strana forma di assolo polimorfo. Costituito, invece che da un unico danzatore, da sette performer uniti in una nuova e inedita creatura umana, i cui componenti si muovono con parsimonia anatomica, ma con perfetta sincronia e unità di intenti, come fossero un unico e nuovo essere vivente formato da sette individui: Amber Pansters, Maasa Sakano, Marija Slavec-Neeman, Zachary Chant, Finn Lakeberg, Cornelius Mickel, Matti Tauru.

I gesti, le posture, i moti sono per sé stessi brevi e semplici, apparentemente di facile esecuzione per performer di questo livello. È l’insieme del racconto corporeo, è lo sviluppo della scrittura e la sua sintassi compiuta, a dare senso all’operazione coreografica. È un poema in ottave, o una cantica, non un poema lirico. Cosa sono i danzatori se non i petali di un pulsante fiore color azzurro e carne, che ora si chiude, perché viene la sera, e ora si apre al sole del mattino, ora si intreccia con le braccia e le gambe in un intarsio orientale, ora si sfalda e disegna forme coerenti tra loro, ma sempre nuove? Non a caso, sono vestiti tutti e sette, donne e uomini, con lo stesso body e gli stessi calzini azzurro fiordaliso a metà polpaccio, come un unico organismo, sessualmente indefinito.

Promise di Sharon Eyal – ph Andreas Etter

Ciascuno dei petali umani ruota le spalle, si tocca ripetutamente il petto, si tocca le labbra e sembra mandare baci, avanza e indietreggia lentamente e ritmicamente, come in una marcia o in una danza popolare e rituale. A coppie o a gruppi si formano composizioni visive, nelle quali un volto fa capolino in mezzo ai corpi, come la corolla di un fiore; uno raccoglie e solleva un compagno, altri si staccano per eseguire semplici e ripetuti duetti, danze elementari iterate più e più volte. L’attenuazione del grado di spettacolarità e di varietà conseguente a una scrittura coreografica così sorvegliata convive con una strana energia drammatica, compressa e bloccata, come implosa.
Essa si esprime, oltre che nella iterazione continua degli stessi brevi gesti, come in una danza rituale, di origine magica e cultuale, nella espressione dei volti dei performer. Le bocche semiaperte, gli occhi ardenti d’amore e come rapiti in estasi, in una preghiera silenziosa, legati da un vincolo che sembra insolubile come quello di una comunità di adepti, i sette danzatori, stremati dalla concentrazione richiesta dal controllo di un moto millimetrico ed esatto, terminano il loro rito di iniziazione trasferendoci il senso di una liberazione e di una perdita. Applausi scroscianti, richiami in scena, ovazioni dalla platea, dai palchi e dal loggione dell’Ariosto.

Unfolding di Philippe Kratz – ph Andreas Etter

UNFOLDING
PRIMA ITALIANA
coreografia Philippe Kratz
assistente Tom Van de Ven
costumi Grace Lyell, Pauline Gudet
danzatori Paul Elie, Elisabeth Gareis, Oriana Oliveira, Réka Rácz
direttore Tanzmainz Honne Dohrmann

PROMISE
coreografia Sharon Eyal
consulente artistico Gai Behar
costumi Rebecca Hytting
composizione Ori Lichtik
luci e scena Alon Cohen
danzatori Amber Pansters, Maasa Sakano, Marija Slavec-Neeman, Zachary Chant, Finn Lakeberg, Cornelius Mickel, Matti Tauru
direzione tanzmainz Honne Dohrmann
produzione Staatstheater Mainz

Teatro Ariosto, Reggio Emilia | 15 gennaio 2025